DISSOLVERSI NEL SUONO: INTERVISTA A ALESSANDRO RAGAZZO

 

 


Cinque Studi sul Paesaggio (Dissipatio, 2020)  di Alessandro Ragazzo è l'ultimo capitolo di una  discografia complessa che esplora il paesaggio sonoro non solo da un punto di vista musicale ma anche concettuale e filosofico. Incrociando field recording e sintesi, pulsazioni intermittenti e echi sinistri l'autore crea un sostrato sonoro di grande intensità emotiva. 

 

LG: “Cinque studi sul paesaggio” approfondisce ulteriormente il concetto di “paesaggio sonoro” già presente nei tuoi precedenti lavori. Esiste un intenzione narrativa nella descrizione di un ambiente sonoro?

AR: Per nulla, anzi, cerco di sfilacciare la narrazione. Nell’ultimo anno di studi e ricerche ho capito che è meglio lasciare la narrazione (simbolica) a persone che fanno dell’intrattenimento, io non devo intrattenere nessuno, tantomeno me stesso… Non mi interessa nemmeno avere un approccio ontologico alla materia dell’ambiente sonoro e a quella sperimentale.

LG: la tua produzione artistica è fortemente permeata dall’utilizzo del field recording. Quando hai iniziato a sperimentare questa tecnica? Ritieni esista qualcosa di subliminale, di segreto nelle registrazioni ambientali che non percepiamo a livello cosciente?

AR: Dovrebbe essere stato verso il 2008, con un piccolo microfono da pochissimi soldi. Più che subliminale è una sorta di esplorazione e ricerca, tenendo sempre presente che nella ricerca non si trova mai nulla, non si deve trovare, altrimenti sarebbe finito il viaggio; certo che può muovere nell’intimo anche qualcosa ma penso che siano quasi sempre delle idee rappresentative sbagliate che l’ascoltatore si fa spesso. Non essendo “musica” semplice viene travisata, dando sempre un valore simbolico a tutte le cose altrimenti non allieta la coscienza o l’essere. Per semplificare, la tipica circostanza in cui l’ascoltatore scambia fischi per fiaschi.

LG: la costruzione di paesaggi sonori è un lungo processo di stratificazione, erosione e rimodellamento della materia sonora molto simile all’azione degli elementi naturali. Richiede concentrazione e – spesso – l'auto isolamento. Vedi qualche similitudine con le pratiche spirituali e il misticismo?

AR: Sicuramente: bisogna sparire, fare dell’io una cosa minuscola, soprattutto durante le esecuzioni dal vivo, permettere che avvenga la sottrazione del proprio essere-interiore. Sto leggendo delle cose interessantissime a riguardo, ad esempio la mistica Sufi e indiana; il suono inteso come tramite per arrivare al “nulla” (attenzione, non ho scritto dio). In un periodo poi dove vedo che ci sono sempre più “scuole” (strane fusioni di New Age e del cristianesimo più becero) che per curare il povero cittadino della comunità umana malato di qualche mancanza gli fanno delle belle iniezioni di essere, gonfiando la sua volontà... queste letture non ci stanno male.

LG: Quali sono le fonti extra musicali – pittoriche, letterarie, filosofiche – che ti hanno permesso di definire le tue coordinate artistiche?

AR: Come ho già scritto tempo fa, adesso da un anno e mezzo sono alle prese con Arthur Shopenhauer che devo dire non ha eguali nel pantheon della filosofia, lo farei leggere e studiare nelle scuole. Mi rammarico di averlo conosciuto tardi, a metà del mio percorso biologico; poi Kant, sicuramente.

Legando a queste fonti i miei studi di pittura a belle arti di Venezia mi viene in mente il mio amore viscerale per Francis Bacon, che ha influenzato notevolmente il primo percorso delle mie ricerche sonore. Qualcuno potrebbe domandarsi il perché di questo interesse nei confronti di un pittore e non piuttosto di un album o di un musicista.

Tutto nasce dalla visione degli ambienti dipinti da Bacon, scene e visioni di macellazione umana, ambienti che immagino permeati da un continuo sottofondo di lunghi fischi o toni sordi, che prendono il nervo acustico e non solo il nervo ottico.

LG: Quali sono le difficoltà intrinseche nel portare in live una produzione sonora nata in studio dalla manipolazione di nastri?

AR: Sicuramente preferisco questo approccio (la manipolazione dei nastri, ndr), più analogico che digitale; poi è ovvio che durante un live può capitare l’incidente di percorso: per questo motivo bisogna sempre avere pronto un piano B.

LG: Qual è il tuo rapporto con il mondo della discografia? Ritieni ci sia maggiore attenzione nei confronti della musica di ricerca rispetto al passato?

AR: Vorrei far uscire più cose ma non è semplice creare relazioni e contatti, ci sono etichette che hanno tantissime uscite già schedulate,addirittura fino al 2030: in questo modo chiudono la possibilità di proporsi perché affollati di lavoro.

Purtroppo vedo sempre troppo poca l’attenzione per la ricerca, lo abbiamo visto pure per la Sanità in questo ultimo periodo, figurarsi per la ricerca sonora. Pochi gli spazi e quei pochi sono legati ad una montagna di pratiche burocratiche e zero incentivi; insomma, potrebbe passarsela meglio.

LG: Quando da musicista torni a vestire i panni dell’ascoltatore senti la necessità di confrontarsi con stili e generi musicali più strutturati e definiti? Quale disco non tuo ti accorgi di ascoltare più spesso di quanto credevi?

AR: Ascolto molta radio, ovviamente tutta musica classica, a volte trovo interessante e curiosa la musica tradizionale Araba o Turca, ma prevalentemente l’ascolto della vita quotidiana e le sue delicate sfumature la fanno sempre da padrona durante il corso della giornata.

LG: Grazie Alessandro.

AR: A voi…

 

Per approfondire:

dissipatio.bandcamp.com/album/cinque-studi-sul-paesaggio

 

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