SOME MINUTES WITH DANIELE SANTAGIULIANA

 



La musica di Daniele Santagiuliana  e' allo stesso tempo solida e rarefatta, immersa in un'atmosfera quasi atemporale, metafisica come le piazze vuote di De Chirico.  In occasione della pubblicazione di The Night Land Daniele Santagiuliana mi ha dedicato un po' del suo tempo rispondendo ad alcune domande che ho il piacere ora di condividere.

LG: The Night Land è il tuo ultimo lavoro discografico: raccontaci come è nato e dove ti ha portato.

DS: “The Night Land” (ora uscito per la Hellbones Records) è un lavoro a cui tengo molto, il primo lavoro che io abbia mai eseguito emotivamente solo ed adulto in vita mia – dai 18 fino ai 35 anni ho sempre avuto vicino qualcuno, ma in quest’ultimo anno sto sperimentando per la prima volta la solitudine da persona cresciuta. Dunque come il romanzo da cui prende il nome e “On The Silver Globe” di Zulawski (a cui anch’esso è ispirato il disco), il tutto nasce dall’ambientarsi in nuovi spazi finora mai scoperti prima, talvolta ostili ma non privi di un certo fascino. Non so dove questo lavoro mi porterà, ma di sicuro a volte i calci nei denti fanno crescere, e nella mia scrittura, produzione ed arrangiamento di tutta la release c’è stata una maturazione.

LG: La tua discografia è sconfinata al punto da lasciare disorientati: se dovessi selezionare tre tuoi dischi che ti rappresentano quali sceglieresti e perché?

DS: Sono felice che la discografia sia estesa ed in estensione, perché, lo dico senza peccare di presunzione ma come dato di fatto oggettivo all’ascolto, ogni release è stata necessaria per la mia crescita personale. Dovendone scegliere 3 su oltre una settantina è tosta, ma rimanendo solamente su Testing Vault, direi, escludendo “The Night Land” (troppo recente perché io sia obbiettivo) potrei dire che mi sento rappresentato da Amnesia Milk (2019) un disco in cui ho cercato di omaggiare Alan Lamb ed in cui il concept era così chiaro per me da essere visibile e rappresentato con suoni precisi. È un album piuttosto “cerebrale”, nessuna deriva noisy, ma al tempo stesso con il suo silenzio, molto rumoroso. Cities Of The Red Lights (2011) questo disco ha segnato un punto di svolta per svariati motivi: la lunghezza, essendo stato il mio primo doppio album è divenuto quasi una sorta di durata normale per me da quel momento in poi – e le influenze, non più limitate a Coil o nomi post-industriali ma anche ad Angus MacLise ed alla sua quasi misconosciuta produzione musicale, al Theatre Of Eternal Music, a Terry Riley ed alla tape manipulation.
Thebigghostanimal (2018) un box di 3 dischi in cui ho portato all’estremo alcune situazioni in cui creo e durante il quale ho avuto una sorta di strana rivelazione nei mesi in cui lo registravo. Dal punto di vista musicale credo sia molto completo ed anche graficamente mi sono ritrovato a sperimentare con la tripla esposizione con risultati sorprendenti.

LG: Quali autori e quali dischi hanno contribuito alla tua formazione musicale?

DS: Oh, tanti nomi che vi aspettereste, davvero, nessuna sorpresa… credo che in molti sorridano quando avvicino i nomi “sacri” di acts come Throbbing Gristle, Cyclobe, Coil, Current 93 e Nurse With Wound a Madonna Wayne Gacy nei Marilyn Manson, ma lui è stato il primo che mi fece chiedere “cos’è quel suono?” – non erano suoni che provenivano da strumenti canonici, e mi terrorizzavano a morte. Come giovane 12enne, quello fu il mio primo approccio al “rumore”. E riesce ancora ad affascinarmi. Era davvero bravo in quello che faceva, e non mi sorprende che Reznor lo abbia voluto accanto quando mise mano alle cose altrui di Bowie e Lynch. Poi, oltre ai nomi già fatti, potrei citare Ghédalia Tazartès e Anna Homler, assieme ad Angus MacLise e Ake Hodell ed i nostri Gianluca Becuzzi e Simon Balestrazzi. Insomma ho moltissime influenze, potrei anche dirti che adoro Max Richter, Skullflower  e  Thelonious Monk alla follia – tutti entrano nel farmi imparare qualcosa, la lista è virtualmente se non infinita molto lunga…

LG: Descrivici la tua strumentazione: quali macchine (reali e virtuali) utilizzi più frequentemente e perché?

DS: Usavo un campionatore Akai S2000 finché non l’ho fulminato. Un KaossPad3 mi è tornato utile. Per il resto, un microfono, un mixer a 4 tracce, e qualunque cosa su cui riesca a mettere mano: sax, basso, registratore a bobine, microcassette, vinili, tubi idraulici, dentiere, cavi elettrici… “con ogni mezzo necessario” porto a casa insomma quello che ho in testa in quel momento. Il perché non c’è, se non mancanza di denaro nell’avere magari un qualche strumento più grosso, ma la realtà dei fatti è che ho tutto quello che mi serve – non posso affatto lamentarmi.

LG: Oltre a comporre musica sei anche pittore: senti la necessità di tradurre in immagini il tuo universo sonoro?

DS: Sono due cose separate… quando dipingo non ho in mente la musica, o suonerei – e viceversa. Sebbene sia molto preso da entrambe le cose, sono molto distinte tra loro per tipo di sensazioni che mi fanno arrivare. Però sì, credo di voler raccontare cose che ho anche cercato di dire con i brani incisi… soffro di una lieve forma di sinestesia, in cui sento cosa disegno e voglio ricreare la stessa palette di colori in musica. Questa è una cosa interessante che davo per scontata avessero tutti con un po’ di immaginazione… ed invece no, sembra di no :D il che spiega perché io non riesca a trovare differenze tra le mie attività creative, sebbene una sia visiva e l’altra sonora.

LG: Ghosts are Thin and full of Filaments è il titolo di grande impatto di una traccia di The Night land. Il riferimento ad entità incorporee è dettato dal semplice gusto estetico o ritieni che esista una dimensione impalpabile oltre ciò che noi percepiamo come esistenza?

DS: Quella frase la scrissi anni fa in seguito ad un sogno lucido estremamente partecipe e vivido. Mi alzai e scrissi pagine di flusso di coscienza – questa frase mi rimase “appiccicata dentro”, perché era ciò che avevo visto e percepito. E sono convito che l’essere umano, che percepisce 3 dimensioni (ed una quarta – il tempo – soggettivamente) su un totale di 11 nella fisica, abbia molti “muri” che può interpretare come “buchi nella materia”, “presenze”, “Interferenze”… insomma è una visione Gnostica dell’esistenza che può ricordare molto ZEBRA e Philip K Dick – solo, non credo ci sia una intelligenza artificiale dietro a tutto ciò. Cosa ci sia non lo so e la cosa mi manda ai pazzi. Ma c’è qualcosa di insolito nell’universo tutto. Ed è tutto ciò che posso dire.

LG: Molti ritengono che in campo musicale tutto è stato già scoperto e sperimentato. Secondo te esiste ancora una nuova frontiera sonora da esplorare?

DS: Al di là dei discorsi sul suono dell’universo, la metafonia et caetera, ciò che non conosciamo e ci esalta è ciò che dobbiamo esplorare… per te sarà una cosa, per me un’altra – l’entusiasmo nel guardarsi intorno trovo sia la vera linfa vitale per poter dire “ok, questo è stupendo, è nuovo, è eccitante”. Una volta che hai curiosità, entusiasmo e voglia di sentire DAVVERO della musica e di godertela, non di analizzarla chirurgicamente, allora avrai di sicuro qualcosa di nuovo per te – a livello di arrangiamento, di produzione… certo, non arrivano più dischi che fanno a pezzi tutto quello che sapevi della musica in 40 minuti oggigiorno – Scott Walker era uno dei pochi che ancora ti mandava fuori di testa, ma poi, ne vedo gran pochi di “innovatori tout-court”, e va bene così, si va avanti a piccoli passi, l’importante è che siano decisi. Suona sciocco ma per me è così.

LG: Grazie infinite Daniele.

 

 

Per approfondire:  

testingvault.bandcamp.com 

danielesantagiuliana.bandcamp.com

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