ROPSTEN - EERIE



 
ROPSTEN
EERIE (Seahorse Recordings, 2018)
 
 
Contrariamente a quanto possa sembrare l'Italia ha un cuore elettronico vivo e pulsante che batte ormai da molti anni. E nonostante il continuo avvicendarsi di mode, ritorni e improvvise amnesie culturali sono ancora molti i musicisti italiani che scelgono volontariamente di avventurarsi in un percorso complesso e non sempre anche fruibile come l'elettronica, genere che continua a declinarsi in miriadi di sottogeneri e misteriose ibridazioni. 
Non a caso si è usato l'aggettivo "misterioso": Eerie è il titolo del nuovo disco dei Ropsten, band che pur arrivando da Treviso e non dal nord Europa ne possiede almeno quanto basta la natura ombrosa e individualista. Nati nel 2009 e ora al loro primo vero album di debutto, "Eerie" fin dalla copertina suggerisce un mondo artificiale e plastificato dominato da uno schermo televisivo assurto a idolo di una terrificante religione dell'immagine che incombe su di una folla inerme e inerte. 
Si potrebbe pensare alla cover di Radioactivity e a come nei decenni la televisione si sia sostituita alla radio come mezzo di comunicazione in grado di plasmare (anche drammaticamente) il comportamento umano. Se i Ropsten avessero realmente intenzione di rappresentare graficamente una distopia non è del tutto chiaro ma certo è che il loro mondo musicale non è rassicurante. 
A partire dall'introduttiva Ylie ci accorgiamo che il passato e il futuro della musica elettronica si intersecano e diventa subito difficile ingabbiare la band in un unico genere. 
Si parla di Eerie come di un disco krautrock ma questa definizione non deve ingannare l'ascoltatore immaginando ritmiche analogiche e lunghi tappeti sintetici. Siamo piuttosto di fronte ad un krautrock mutante, combinato al disilluso idealismo del post-rock e irrobustito da una sezione ritmica precisa e dinamica e da chitarre inacidite e penetranti come strumenti chirurgici, evidenti ad esempio nei toni pessimisti di Globophobia, nella carica muscolare di Kraut Parade e nella lunga, conclusiva 180mmHg in cui l'atmosfera si fa di minuto in minuto sempre più tesa, visionaria e psichedelica, come se le nostre coscienze stessero per essere irrimediabilmente fagocitate dal monolitico monitor della copertina. 
In tutte le tracce dell'album non è possibile stabilire esattamente dove termina l'elettronica e inizia il post-rock (e viceversa) ed è in questa capacità di amalgamare senza forzature più generi che risiede la vera forza della band. Eerie è anche un disco che dimostra quanto gli album strumentali possano ancora essere attuali: non riceviamo il conforto di una voce solista che si fa carico delle nostre emozioni e quindi il viaggio è più inquietante. 
I Ropsten hanno senza dubbio molto da dire e sarà interessante osservare come si evolverà il loro suono nei prossimi dischi. Nel frattempo possiamo immergerci nelle atmosfere di Eerie sempre che non temiamo i viaggi cosmici il cui ritorno non è assicurato.
 
 
Per approfondire:
rpstn.bandcamp.com

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