SOME MINUTES WITH ALESSANDRO PACINI

 

 

E' appena uscito per Seahorse Recordings Pausa Siderale, il nuovo lavoro di Alessandro Pacini. Per quanto intriso di introspezione, amarezza e disincanto il disco è sorretto da un'invenzione musicale e stilistica fluida ed elegante con una cura quasi maniacale per gli arrangiamenti (complice la mano sapiente di Paolo Blessed Child Messere).


LG: Pausa Siderale: quale legame ha con il precedente Cremisi e in cosa si differenzia?

AP: Il nuovo album è la continuazione e l’evoluzione del percorso stilistico intrapreso con “Cremisi”. La gestazione di “Pausa siderale” è durata tre anni e diversi brani contenuti nel disco sono stati scritti sulla scia del primo album. L’approccio a entrambi i progetti è stato molto introspettivo e sofferto, improntato su una ricerca continua, sia musicale sia di scrittura personale. Il nuovo album rispetto al primo è più amaro e turbolento; in alcuni brani questi aspetti emergono particolarmente.


LG: Molti tuoi testi sono scritti in prima persona: quanto c’è di autobiografico nel disco?

AP: Molto di quello che scrivo è frutto di esperienze personali o pura espressione della mia interiorità e dei miei stati d’animo. Altre volte sono i libri, il cinema e l’arte in generale a ispirarmi nella scrittura dei testi; in quelle occasioni lo spunto nasce sempre dall’incontro con qualcosa che mi affascina profondamente e in cui ritrovo un lato della mia personalità, una parte del mio essere.


LG: In questo lavoro Paolo Messere ha contribuito ad impreziosire le tracce con le sue performances strumentali. Parlaci di questa collaborazione.

AP: Ho voluto coinvolgere Paolo Messere nella realizzazione del nuovo disco perché ritengo sia un artista e un produttore eclettico, con un ampio sguardo su diversi generi musicali. In studio, sin dall’inizio, si è creata una forte sintonia e tutto è venuto fuori molto spontaneamente, dalla registrazione delle tracce agli arrangiamenti. Siamo stati immersi in un flusso creativo ininterrotto per due settimane. È stata un’esperienza davvero intensa e coinvolgente.


LG: “Il Torrente” è una delle tracce più intense dell’intero disco: come è nata?

AP: Il brano risale alla scorsa estate ed è l’ultimo che ho composto in ordine cronologico. Come accade per quasi tutti i miei brani, la musica è nata da un’improvvisazione strumentale. Successivamente ho definito e affinato armonia e melodia. Una poesia che adoro di Cesare Pavese intitolata “You, wind of March” mi ha in parte ispirato nella scrittura del testo. “Il torrente” parla di una separazione tra due persone che non hanno smesso di amarsi. Lui la attende ancora, ma lei cerca inutilmente di dimenticarlo cominciando una nuova vita. In questa attesa angosciosa, la speranza di un ricongiungimento si fa sempre più vana con il passare del tempo.


LG: Parlaci del tuo percorso musicale.

AP: Il primo contatto con la musica è avvenuto a quattordici anni, nel 2005. In quel periodo passava in radio “Fishing for a dream” un brano dei Turin Brakes, duo folk-rock inglese. Affascinato dalla loro musica ho deciso di cominciare a studiare chitarra folk e solo in seguito mi sono iscritto a canto moderno. Nel 2008, insieme ad alcuni amici ho formato una rock band, i Sunbeams, con cui mi sono esibito live suonando prevalentemente cover anni ’60 - ’70, tra cui diversi brani dei Beatles che stavo cominciando a scoprire in quel periodo. Negli stessi anni mi sono avvicinato alla scrittura e ho composto alcuni brani da solista che poi ho riposto nel cassetto come “sfoghi adolescenziali”. Dopo aver lasciato la band ho fondato i Bridgesky: duo acustico in stile britpop con cui ho proseguito l’attività compositiva e con il quale mi sono esibito dal vivo per diversi anni. Nel 2012, intorno ai vent’anni, ho cominciato a scoprire ed esplorare nuovi territori musicali alternativi e questo è stato un passo fondamentale per la mia evoluzione e crescita musicale. Solo dal 2016 in poi, in seguito allo scioglimento del duo, sono riuscito a focalizzare tutta l’attenzione sulla mia vera essenza artistica, facendone emergere i lati rimasti nascosti e allargandone gli orizzonti.


LG: I tuoi eroi, musicali e non.

AP: Ho diversi punti di riferimento musicali che mi hanno accompagnato durante il mio percorso artistico, alcuni più importanti di altri. Sia in ambito musicale sia in altri campi, artistici e non, ci sono diversi personaggi che stimo e ammiro per ciò che fanno o hanno fatto in passato, ma non credo di avere dei veri e propri eroi in assoluto.


LG: Cantare nella propria lingua è una precisa scelta stilistica o un’esigenza?

AP: Entrambe le cose. Nonostante il mio background musicale sia in prevalenza straniero, ho scelto di scrivere in italiano perché mi permette di esprimere efficacemente dei concetti più ampi e articolati riuscendo così a comunicare in modo più profondo quello che ho da dire nei miei brani; da questo punto di vista è un’esigenza espressiva personale. Inoltre è una scelta stilistica perché con l’italiano riesco a spaziare maggiormente e a compiere una ricerca personale sulla scrittura. Ritengo che si adatti molto bene al mio stile di composizione attuale.


LG: La seconda parte del disco (diciamo da “Il Torrente” in poi) assume un tono decisamente più dimesso e lunare fino a Profumo, traccia sofferta e dolente sia nel testo sia nell’arrangiamento. Hai strutturato volutamente il disco in questo modo?

AP: In parte sì. Ho definito la tracklist solo a disco concluso. È stata una cosa che ho fatto abbastanza intuitivamente, cercando un equilibrio a seconda di come suonava l’accostamento tra i brani.


LG: L’ultima traccia sembra porsi l’antico dilemma filosofico della ricerca della verità: nel testo inviti a cercarla non nell’immensità del cosmo quanto nel nostro spazio interiore. A quale verità alludi? Qual è il tuo rapporto con il mistero, l’insondabile, il divino?

AP: Considero la divinità un’invenzione dell’uomo per sopportare il peso della vita, per darle un ordine e un fine rassicurante affinché egli possa sopravvivere al mondo. Io preferisco non aggrapparmi a false certezze. Mi piace coltivare il dubbio e trovo consolazione nell’insondabile mistero che avvolge la nostra esistenza e l’origine dell’universo: nel brano, infatti, definisco quest’ultimo come una “macchina complessa e instabile…un mistero che mi conforta”. Sono abbastanza convinto che non siamo soli e che ci siano altre forme di vita sconosciute in qualche punto remoto dello spazio. L’universo è troppo vasto e l’uomo ne conosce solo una piccola parte, quindi al momento non ci è dato saperlo. La forma di verità a cui alludo nel testo è la nostra essenza, la nostra sostanza, quella che possiamo tentare di scoprire nel nostro spazio interiore. Cercare questa verità significa provare a raggiungere una maggiore consapevolezza di noi stessi come esseri umani, attraverso la ricerca interiore. Solo analizzandoci a fondo possiamo arrivare a comprendere chi siamo e cosa stiamo cercando, riuscendo così a dare un senso alla nostra esistenza nel caos della vita.


LG: Grazie Alessandro.

 

Per approfondire:

https://open.spotify.com/album/1gZtUUJXOaiuTNmfG6usNh

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