FOLWARK - VIMANA
FOLWARK
VIMANA (Seahorse Recordings, 2019)
Per chi come me si interessa di ufologia il termine Vimana non è una novità: nei testi religiosi indiani essi sono veri e propri costrutti volanti impiegati nelle epiche guerre della mitologia indù.
Nell'ambito della controversa teoria degli antichi astronauti i Vimana sarebbero stati antichi UFO e i loro occupanti entità biologiche aliene venerate come divinità dai popoli dell'antichità. Ora non ci è dato sapere se all'inteno dei Vimana si ascoltasse anche musica ma forse i Folwark potrebbero avere le idee più chiare in merito.
Questa introduzione ci permette di inquadrare meglio questo album interamente strumentale composto ed eseguito da Francesco Marcolini (chitarre, synth) e Tommaso Faraci (percussioni e theremin).La crudezza interpretativa e i riffs ruvidi e catramati evidenti sin dalla prima traccia (The Riddler) inquadrano subito l'album in un contesto hard-space-rock d'annata, con rimandi a Hawkwind, U.F.O. (non potevamo non citarli) e ai Black Sabbath di "Paranoid".L'album è dominato da una ipervalenza metallica ma fortemente controllata: non vi sono deragliamenti caotici o momenti di stanca. Le tracce sono brevi, fulminanti. Bwommi (traccia n.4) è emblematica per i repentini cambi di umore che sfociano in un vero e proprio tsunami sollevato dalla chitarra di Francesco Marcolini. Tommaso Faraci alla batteria scandisce colpi precisi come fossero chiodi elettrici con cui puntella ogni singola traccia. Le performances dei due musicisti sono pregevoli: in tutte le tracce vengono eretti veri e propri walls of sounds nei quali è evidente la loro esuberanza tecnica e il pathos interpretativo. La tensione strumentale è pressochè continua.Il disco scorre veloce all'ascolto anche per le sue dimensioni ridotte (circa 22', poco più di un EP) ma le otto tracce sono ben concatenate quasi a formare un'unica suite, un motore meccanico e magico allo stesso tempo, testimone di un inconoscibile passato mitologico che dona alla musica, anche quando è ruvida e sferzante, un mood straniante, a suo modo contemplativo (Floyd, traccia n.6). Steps (traccia 7) spiazza per il suo intro post-rock subito stravolto da una virata heavy pesante come una colata nera.Tutto è un crescendo vorticoso, fumoso, temporalesco (come suggerisce la cover) con un unico intenso momento di quiete e catarsi nella conclusiva Weather P.
Un aspetto che in futuro potrà ancor meglio definire il suono dei Folwark sarà l'eventuale inserimento di maggiori componenti elettroniche a spezzare il muro sonoro di chitarra e percussioni (il theremin di Faraci ad esempio, sempre in secondo piano ma meritevole di più spazio).
In definitiva un disco vigoroso e potente.
Per approfondire:
folwark.bandcamp.com/releases
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