COSMONAUTI: LA TERRA DA QUASSÙ
C’è stato un tempo in cui l’avventura dell’esplorazione spaziale venne asservita a precisi obiettivi nazionalistici: fu l’epoca della corsa allo spazio, un diverso ma ugualmente drammatico risvolto della Guerra Fredda. Se ad Occidente l’astronauta era lo space cowboy dell’ultima frontiera, oltre la cortina di ferro il modello dell’esploratore del XX secolo era il cosmonauta, entità irrimediabilmente fusa con la propaganda ma anche essere umano schiacciato dal peso di superare sempre e comunque l’avversario.
Dopo essersi ampiamente documentati, i musicisti e compositori Cristiano Bocci, Jean-Claude Oberto e Lyke Wake uniscono le loro forze per dare forma a Cosmonauti, ambizioso concept-album dal respiro decisamente epico. Tutti i miti della cosmonautica sono sviluppati con il giusto grado di approfondimento: ai sontuosi tappeti sintetici di Lyke Wake e alle sperimentazioni multitimbriche di Bocci si inserisce la voce di Oberto, intento a declamare testi che mimano antiche retoriche restituendo la muta solitudine di creature perse nel cosmo, alcune inconsapevolmente condannate alla morte.
Delle coordinate musicali ed estetiche di questo progetto ne discutiamo con Cristiano Bocci e Jean-Claude Oberto.
LG: Aspetti concettuali di Cosmonauti e genesi di un progetto collaborativo.
CB: Allora...parto da lontano. Verso il 2009 mi chiamarono a suonare il contrabbasso elettrico in un ensemble (archi, ottoni e due batteristi) per eseguire l'opera AB-Abstraction del compositore pisano Dario Ferrante. In quell’occasione, al Teatro Rossi Aperto di Pisa, lo stesso Dario dirigeva l’ensemble. Successivamente siamo diventati amici e abbiamo collaborato spesso, dando vita insieme al collettivo CASP (Centro Arti Sonore Pisa). Nell’opera di Dario, oltre all'improvvisazione elettroacustica e all'elettronica c'erano parti vocali registrate e mi colpì molto quando, ad un certo punto, si capiva che il protagonista era un cosmonauta.
In quello stesso periodo ero in fissa con gli Esbjörn Svensson Trio e il loro album Leucocyte, un album fantastico con il classico trio di piano, batteria e contrabbasso ma con suoni distorti e sperimentazioni elettroniche. Tra l'altro era appena morto Svensson e - mentre consumavo questo album - mi ascoltavo anche il resto della discografia degli E.S.T. Un brano che mi piaceva tantissimo era From Gagarin's Point of View (dal loro album del 1999) una struggente ballad jazz ma con uno sviluppo sicuramente poco standard. Ecco, questi due eventi - AB-ABstraction e From Gagarin's Point of View - sono state le prime due volte in cui ho avuto un assaggio dell’incontro tra la cosmonautica sovietica e la musica.
Nel 2021, invece, feci un concerto di improvvisazione elettroacustica con un batterista. Per come strutturammo la scaletta, alla fine decidemmo che la prima sezione dell’esecuzione si sarebbe intitolata Non siamo soli nell'universo, la seconda Stelle e pianeti (soprattutto in funzione dei granulatori e glitch che usavo), e così via. A fine concerto decidemmo di rendere le cose ancora più definite e registrare un album dedicato allo spazio e piano piano l’idea si diresse verso la cosmonautica sovietica (anche se in realtà si intendeva parlare principalmente di Gagarin). Il progetto non si concretizzò ma mi era rimasta la voglia di fare un lavoro sulla cosmonautica sovietica.
In occasione della compilation dedicata a Dj Elettrodo, Tribute to a Radio Legend - che ho ideato e curato personalmente - sono entrato in contatto con molti fantastici musicisti e ho deciso di coinvolgerne due, Jean-Claude Oberto e Lyke Wake (Stefano Di Serio), nella realizzazione di questo concept album. Ho telefonato loro, ho detto cosa volevo fare e chiesto se erano interessati e da lì è partito il progetto.
JCO: La conoscenza di Cristiano Bocci ha preso le mosse dalla trasmissione del Dj Giacomo Elettrodo “Prove Tecniche di Trasmissione”, in onda sulle frequenze di Radio Onda Rossa, un vero e proprio collettore di sensibilità affini e intenti comuni. La pubblicazione di un tributo collettivo a Elettrodo, come benefit per R.O.R. - ideato e coordinato dall’inimmaginabile impegno di Cristiano - è stato un primo stimolante terreno di gioco per la collaborazione a venire.
Il dialogo con Stefano Di Serio era invece stato in qualche modo preceduto dalla mia personale ammirazione per il suo storico progetto Lyke Wake. Con Stefano avevo anche pubblicamente dibattuto, in videoconferenza, in occasione di una sorta di seminario dedicato alla musica post-industriale tenutosi nel 2023 a Ivrea e organizzato dall’amico Bruno Cossano, a corollario della sua trasmissione radiofonica “Plancton”. La “convocazione”, diciamo così, da parte di Cristiano per un concept album sui Cosmonauti di sua ideazione – per di più in compagnia di Lyke Wake! – ha rappresentato per me una chiamata a cui non potevo assolutamente sottrarmi e un’occasione di confronto incommensurabilmente appassionante.
LG: Nell'immaginario collettivo il suono del sintetizzatore ha descritto per decenni l'esplorazione dell'universo. In Cosmonauti ha però uguale importanza il monologo di un ipotetico narratore. La voce, lo strumento più antico contrapposto al più avanzato.
CB: Sicuramente i sintetizzatori sono spesso stati usati per le colonne sonore di film di fantascienza, forse anche per una sorta di connessione tra i sintetizzatori - che sono comunque strumenti elettronici, analogici prima e digitali poi - e l'immaginario di una stazione spaziale o di un'astronave piena di macchinari. Piena, si potrebbe dire, di pippoli (come spesso definiamo in gergo faders e manopole dei nostri sintetizzatori). Un po’ come il theremin che è spesso stato utilizzato non solo in film di fantascienza (pensiamo alla colonna sonora di Star Trek) ma anche in film horror, con quel suono un po' “ghosty” che sa creare.
In Cosmonauti c'è, diciamo, un connubio. Dopo aver sentito i brani di Lyke Wake, sia per la compilation per Elettrodo sia in altri suoi lavori e collaborazioni, ho deciso che mi piaceva quel tipo di suono per creare i substrati, i droni ma anche le melodie e le armonie nell'album. Diciamo che volevo un coautore di soundscapes insieme a me che nell’album suono il basso e faccio sound design. Ma prima ancora di chiamare Lyke Wake avevo proposto la cosa a Jean-Claude Oberto perché per me un concept album sulla cosmonautica non può escludere la voce come mezzo comunicativo ed espressivo.
Alla fine, anche per esperienza con le collaborazioni più disparate che ho avuto in passato, credo che ogni ensemble di strumenti diversi possa creare suoni interessanti. In questo caso specifico, l’organico di synth-voce-basso-elettronica mi sembrava perfetto e direi che lo è stato.
JCO: Non posso non situare le mie origini espressive presso alcune antiche propaggini artistiche e letterarie - debitrici della poesia visiva e sonora - che sono poi in qualche modo confluite nelle tattiche situazioniste come nell’estetica del punk. Nel corso degli ultimi trent’anni ho tentato di portare forme di scrittura poetica non convenzionali negli interstizi di altri moduli espressivi, trovando diritto di cittadinanza per lo più in situazioni legate all’arte contemporanea.
Diverse sono state le ambientazioni sonore di spazi espositivi a cui ho preso parte, in Italia e all’estero, collaborando a installazioni artistiche ospitate da gallerie, spazi istituzionali e luoghi alternativi.
In tali occasioni il binomio voce/synth è risultato per me da sempre come una dicotomia estremamente suggestiva, proprio perché le sonorità sintetiche si configurano come un terreno ideale per l’articolazione delle mie sequenze verbali. Nel caso della mia personalissima pratica di scrittura, tuttavia, la parola vorrebbe offrirsi, per lo meno a tratti, come significante che si tramuta immediatamente in significato: un elemento espressivo che si manifesta anche come materiale sonoro autonomo, universale, primordiale, quasi come ritorno all’universalità della lallazione infantile. Per queste ragioni tendo a considerare l’elettronica e la voce naturale (o effettata talvolta all’esasperazione) come ingredienti di un unico impasto piuttosto che strumenti in rapporto dialettico fra loro.
LG: Cosmonauti: antichi eroi o servi della propaganda?
JCO: Al di là della percezione dei cosmonauti nell’immaginario collettivo e delle vicende storico-politiche novecentesche, credo non andrebbe dimenticata – sullo sfondo dell’epopea della cosmonautica sovietica – la scia d’influenza culturale esercitata dal cosiddetto “cosmismo” russo, una corrente di pensiero filosofico sviluppatasi a partire dall’opera di Nikolaj Fëdorov nei primissimi anni del secolo scorso, dai tratti decisamente visionari, che ha in un certo senso immaginato la possibilità di rimodellare radicalmente l’universo, intuendo utopicamente alcune possibilità dell’esplorazione spaziale prima ancora che questa potesse venire tecnicamente sviluppata.
CB: Forse, più che servi sono stati credenti nella propaganda ma comunque mossi dalla passione e dall’ambizione a fare determinate cose. Ad ogni modo - e in base alle mie ricerche - molto era prestabilito dalla propaganda sovietica di allora. Per fare un esempio, ad un certo punto della sua carriera a Jurij Gagarin venne negato il permesso di volare perché era ormai ritenuto un simbolo vivente del partito in quanto primo uomo nello spazio. A pensarci, la sua tragica fine è quasi paradossale visto che comunque è morto volando.
Nel suo Manuale del cosmonauta Cobol Pongide scrive che “c'è una profonda differenza tra un astronauta e un cosmonauta. Il primo è un libero imprenditore del coraggio, il secondo un adepto operaio del progresso interplanetario”. Quindi sì, alla fine, pensando anche al mondo della ricerca in cui lavoro, l'astronauta è quell’individuo che decide di compiere un determinato percorso di studi con il preciso obiettivo di volare oltre l’atmosfera terrestre, nello spazio. Per contro, nel caso dei cosmonauti c’era un substrato propagandistico a modellare quegli eroi; pertanto, alla fine io li vedrei, nell'ottica del comunismo di quegli anni, come degli operai.
LG: 'In ascolto da Torino' rispolvera l'affascinante esperienza radioamatoriale dei fratelli Judica Cordiglia (di cui mi occupai pure io in un mio vecchio album).
JCO: In itinere e a lavoro concluso ci siamo imbattuti in diversi lavori, tra cui il tuo, ispirati ai fratelli Judica Cordiglia e al centro di ascolto di Torre Bert. La loro vicenda è divenuta un caso esemplare delle intersezioni e interferenze praticabili fra la storia con la “S” maiuscola e la divorante passione che anima vicissitudini solo in apparenza ordinarie. Il brano In ascolto da Torino (SOS a Tutto il Mondo) è stato quello in cui ha prevalso il mio contributo poetico in maniera solista.
Una precisa scelta formale è stata quella di escludere citazioni d’intercettazioni originali a favore dell’impiego della mia voce, come fonte sonora quasi onomatopeica, tra fruscio e modulazione, quasi a voler rappresentare il solitario paesaggio sonoro radioamatoriale e il sentimento dell’attesa che lo caratterizza.
Non sono però mancati, nel testo che rievoca la vicenda dei fratelli Judica Cordiglia, alcuni riferimenti puntuali alla toponomastica torinese e canavesana, a me famigliari per ragioni squisitamente personali, e che altro non fanno che confermare Torino e il Piemonte teatri di narrazioni storiche sorprendenti.
CB: Ammetto che non conoscevo l'esperienza dei fratelli Judica Cordiglia prima di Cosmonauti. È una storia che ho scoperto andando a fare ricerche sulla cosmonautica sovietica per cercare ulteriori argomenti da inserire nell'album.
I fratelli Judica Cordiglia vengono citati nell’ambito dei cosiddetti cosmonauti fantasmi, non tanto nel senso di cosmonauti morti (chiaramente ci sono state molte morti che non sono venute fuori per molto tempo, com'era usuale per il regime e/o la propaganda di quel periodo) ma riferiti a tutti quei cosmonauti da cui si ricevevano messaggi radio in un’aura di non-ufficialità delle eventuali missioni.
Chiaramente, in un periodo in cui l'Unione Sovietica era molto riservata su tutte le ricerche che faceva in ambito spaziale - e le pubblicizzava solo quando otteneva un successo - queste voci erano misteriose e affascinanti. Ma, secondo me, è soprattutto affascinante quello che è stato il loro excursus ossia partire da un piccolo impianto radio e arrivare a creare Torre Bert, un sistema estremamente complesso e potente. Ed erano solo radioamatori!
Per quanto riguarda la traccia che citi, essa è stata composta da Jean-Claude Oberto e contiene solo ed esclusivamente la sua voce.
LG: Comporre un album a più mani è un'operazione delicata: oggi è possibile condividere le takes in tempo reale ma rimane sempre necessario trovare una lettura concorde del materiale. Quale metodologia avete seguito?
JCO: Il lavoro di collaborazione si è svolto in un clima di sorprendente disinvoltura laboratoriale, ritengo dovuta principalmente alla presenza di pregressi e robusti comuni denominatori che hanno accompagnato il lavoro sin dalla fase embrionale. Innanzitutto, si è palesato un autentico atteggiamento sperimentale (nell’accezione più avventurosa del termine). Non meno importante si è poi manifestata una piena disponibilità nel lasciarsi sorprendere da proposte e curiosità non necessariamente familiari. Infine, un gusto condiviso per l’esplorazione e la scoperta ha davvero ricalcato i temi evocati nei diversi brani – davvero tutti spaziali – dell’ignoto, dell’imprevisto, dell’oscurità, della solitudine.
CB: Guarda, se si esclude il mio album Live in Milano con gli Hum (un quintetto elettroacustico) tutti gli altri miei albums recenti in collaborazione sono realizzati a distanza passandoci le takes.. o quasi perché il mio modo di lavorare prevede che io riceva materiale sonoro da altre persone per poi rimodellarlo. Per fare un esempio, nella traccia conclusiva di Cosmonauti ho chiesto a Lyke Wake di realizzare un'intro “sinfonica” e poi di mantenere un lungo tappeto sonoro su cui ho sovrapposto estratti di tutti i brani precedenti, diciamo un patchwork dell'album, per concludere con una parte finale che è una specie di yin e yang rispetto al primo brano.
Tornando alla tua domanda relativa alla metodologia seguita per Cosmonauti, abbiamo iniziato raccogliendo materiale storiografico - ad esempio su Jurij Gagarin, su Alexei Leonov, su Laika, sulla propaganda in generale nonché sui vari programmi spaziali.
In primis, per ogni traccia decidevamo insieme l’argomento e chi avrebbe iniziato a lavorarci. Abbiamo preferito non seguire un format standard: se, ad esempio, avessi iniziato tutti i pezzi io, inevitabilmente lo si sarebbe sentito. Invece, a volte si è partiti dai synths, altre volte dalle parole di Jean-Claude o da un basso arpeggiato o ancora dalla registrazione del suono di viti che cadono su lastre di metallo.
Diciamo che in generale questo è il modo in cui abbiamo interagito dal punto di vista compositivo, anche se alla fine io mi sono occupato, come una specie di macro-compositore, della forma generale dei singoli brani, soprattutto dal punto di vista dei mixaggi.
LG: A decenni dall'inizio della corsa allo spazio, cosa ci rimane di quell'esperienza? Paradossalmente ci saremmo dovuti avvicinare alle stelle ma ora io le vedo gelidamente distanti.
CB: Ma guarda, secondo me siamo andati molto, molto lontani nei viaggi spaziali. Ci siamo avvicinati? Di fondo alle stelle non ci potremmo mai avvicinare perché la più vicina, Proxima Centauri, dista circa 4.37 anni luce dalla terra. Quindi, o troviamo un modo di viaggiare più veloci della luce o troviamo un modo per, come si vede nei film di fantascienza, metterci in uno stato di sonno criogenico (mah!).
Credo che non andremo su nessuna stella oltre il nostro sistema solare ma tutte le missioni su Marte - con la varie sonde, orbiter, lander e rover - sono a mio avviso veramente significative.
Sicuramente le stelle restano distanti, fredde; le stelle restano stelle. Nonostante questo, secondo me - e qui parla il me scienziato - il mondo della ricerca dei viaggi nello spazio non deve avere come unico fine raggiungere letteralmente le stelle quanto sviluppare una conoscenza di quello che è il cosmo in generale. Abbiamo inviato sonde anche al di fuori del nostro sistema solare (senza equipaggio ovviamente) con il compito di trasmettere dati e immagini sulla Terra. Oppure pensiamo al telescopio spaziale Hubble e al suo ruolo centrale nella comprensione dell’Universo.
Questo modo di fare ricerca è una cosa che mi affascina e che apprezzo per cui ritengo che sia stato fatto tanto dall'inizio della corsa allo spazio. E i successi iniziali sono stati ottenuti anche grazie a un “fantastico” (le virgolette sono d’obbligo) periodo di guerra fredda che ha creato questa corsa a chi faceva prima e meglio e che ha portato a risultati notevoli. Tuttavia, lo ammetto, preferisco quando i vari stati uniscono le forze in nome della scienza, al di là di credi politici, religiosi e nazionalistici.
Sicuramente hai ragione: non ci siamo avvicinati alle stelle. Ma la corsa allo spazio non ci deve avvicinare alle stelle, piuttosto deve permetterci di osservare la Terra da lontano. Nel testo dell’ultima traccia di Cosmonauti si afferma: “dovrebbero vederla questa Terra da quassù”. Il senso di quell’ultimo brano è proprio questo: la Terra è una, da lontano siamo tutti uguali ed è assurdo fare guerre.
JCO: In questi nostri tempi recenti avverto drammaticamente l’assenza di una prospettiva umanistica “cosmica”. Siamo “materia di stelle”, come declamo io stesso in un brano, e forse abbiamo preso a somigliare a “stelle spente”. A costo di risultare patetico mi auguro però, davvero dal profondo del cuore, che questo mio desolante pessimismo possa venire un giorno clamorosamente smentito da tracce di segno opposto. Non voglio smettere di tentare ostinatamente di captare segnali positivi che indichino la possibilità di praticare un’esperienza di vita (e di arte) diversa, liberata dall’incredibile rapacità che depaupera inesorabilmente il nostro pianeta Terra. La storia ha tanto da insegnare eppure l’umanità impara a fatica. In tal senso, anche e soprattutto in quanto docente che insegna nella scuola pubblica, il mio impegno è costantemente rivolto alla crescita culturale e critica, a fronte della complessità del futuro che attende tutti noi.
LG: Grazie.
https://cristianobocci.bandcamp.com/album/cosmonauti
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