CAMILLA PISANI: INESPLORATE GEOGRAFIE SENSORIALI
Camilla Pisani è un’artista eclettica che compie una ricerca sonora e audiovisiva estremamente personale; il suo lavoro più recente, Nausea is a Noble Feeling, è immerso in una stasi non contemplativa ma foriera di un malessere che inevitabilmente dilaga inondando le tracce. Textures ritmiche dal sapore concreto e spigoloso si sovrappongono ad arpeggiatori kraut erigendo una complessa architettura sonora perfetta per controbilanciare il fascino concettuale delle sue opere.
LG: Nausea is a Noble Feeling è il tuo ultimo lavoro, impreziosito da una cornice concettuale molto elaborata, con rimandi al pensiero di Simone de Beauvoir. In che modo questa intellettuale francese ha influenzato la stesura di quest’opera e la scelta delle atmosfere e dei colori timbrici?
CP: Nausea is a Noble Feeling è un progetto ancora in divenire in quanto, sarà pubblicato in formato fisico, dall’etichetta americana Flag Day Recordings, in autunno 2021 e vedrà l’aggiunta di tracce inedite alle quali ancora sto lavorando.
Esso si ispira al concetto d’amore professato dell’intellettuale francese Simone de Beauvoir, la quale lo definisce “ la forma più alta di libertà personale e rigenerazione dei rapporti sociali”.
“Desidero che ogni vita umana sia pura e trasparente libertà.”
Influenzata dal pensiero di Heidegger, comprende come l’essere umano, una volta gettato nel mondo con la sua nascita, sia condannato dalla sua stessa libertà, perché costretto a essere responsabile di tutto ciò che fa. Di conseguenza, l’esistenza dell’individuo precede la sua essenza: ognuno di noi è definito non dalla propria natura, ma dal suo pensiero che si trasforma sempre in azione. La responsabilità individuale, oltre che essere la dimostrazione della libertà che caratterizza la condizione umana, è allo stesso tempo un fardello da portare per tutta la vita, che si manifesta in ogni momento in cui si è chiamati a prendere una decisione: scegliere è concepito come un processo privato e sociale insieme. Quindi lei stessa ambisce all’incoscienza della purezza dei sentimenti e all’intelligenza di saper piegare il tempo, dell’abbandonare tutto per poi ritrovarlo…
Questo ultimo concetto viene reinterpretato a livello sonoro come la generazione di un flusso dinamico e molteplice, vivo, libero, pulsante, organico e tattile; come un elemento percepito attraverso l’utilizzo di più sensi.
LG: Inner Spaces è un altro lavoro in cui rifletti sul rapporto tra psiche e immagine (non solo mentale ma anche come strumento dei mass-media) e l’occasione per creare un ambiente sonoro claustrofobico particolarmente riuscito. Quale importanza riveste per te l’elaborazione di un concept per un progetto musicale?
CP: Concepisco ogni progetto, ogni nuovo album come una ricerca differente dalle precedenti; sono mossa da un’idea specifica, in cui mi pongo degli obiettivi e cerco di lavorare su un aspetto in particolare del suono, come in Inner Spaces Like Anechoic Chambers, basato sulla contrapposizione di atmosfere dark-ambient e di ritmiche industriali ossessive e martellanti; oppure su una tematica a me cara, come nel caso di Frozen Archimia, in cui ho indagato lo stretto rapporto tra il suono e l’architettura.
Ad essere unico però, è il modo in cui affronto e sviluppo questa mia ricerca, ovvero, facendo interagire più forme espressive, in particolare, il segno grafico, il suono e lo spazio. Più nello specifico, in Frozen Archimia, queste entità sono intimamente unite da una connessione spirituale. Le tracce disegnano una fluttuante struttura seguendo il ritmo della fantasia, le sue gradazioni timbriche sono “wallpaper songs” organiche da conformare ed adattare a superfici solide ma al tempo stesso “vive”. Le vibrazioni spaziali che costituiscono i suoni sono determinate sia da masse plastiche che da vuoti: sono materia evanescente, astratta, che attraverso particolari alchimie ritmiche cercano di far proiettare l’ascoltatore in una dimensione di estrema distanza spaziale, ovvero, in nuova condizione di atemporalità e di molteplicità connessa alla virtualità.
Ogni ambiente assume un volto a me familiare, racconta storie effimere appartenenti al mio vissuto; è un viaggio fluido attraverso le pareti sensibili della mia immaginazione.
LG: NINF (è l’acronimo di Nausea is a Noble Feeling, ndr) è contraddistinto dall’utilizzo di sequencer e arpeggiatori che emergono da fosche nebbie sintetiche, un connubio di stasi e ripetizione ritmica che rimanda ai pionieri del kraut-rock. Quali autori e musicisti hanno contribuito a modellarre il tuo gusto e la tua sensibilità musicale?
CP: Ritengo che l'arte debba essere libera evoluzione ed inoltre sono una persona molto curiosa, con una formazione versatile, aperta a diversi linguaggi artistici e che si lascia contaminare da tantissimi campi e generi, ma quelli che più di tutti mi hanno influenzata sono la poetica dell'arte astratta, in particolare le opere di Kandinskij, Klee, Klein, il minimalismo del movimento Bauhaus (da cui traggo la linearità nella composizione), l'organicità dell'architettura scandinava, le sinestesie di Proust, la sensibilità di Pavese, Calvino e Majakovskij, la riblessione di Irvine Welsh, il cinismo di Kafka, le rappresentazioni "graphic score" di Cage, Eno, Ligeti, Iannis Xenakis e Roman Haubenstock-Ramati; il cinema espressionista tedesco ed esistenzialista francese; la fotografia evanescente di Andrej Tarkovskij, la multimedialità di Bill Viola, di Studio Azzurro e di Ryoji Ikeda.
Musicalmente, per quanto riguarda il progetto audiovisivo, l'etichetta 12K e in particolare l'album "Haunt Me, Haunt Me Do It Again" di Tim Hecker; per il progetto Blue Like a Paradox la scena dark-industrial, new wave, post-punk, synth-pop, ebm degli anni ottanta e/o artisti/band più recenti come Tropic of Cancer e/o appartenenti a labels come Minimal Wave, Dais Records, Mannequin Records, Pinkman Records, Veyl Records; per entrambi, i padri dell'elettroacustica e della musica concreta (più di tutti Stockhausen) e la scena minimal-techno con gli artisti della Raster, Polar Inertia, Ancient Methods, Silent Servant, Varg, GAS, SHXCXCHCXSH.
LG: In quanto artista audiovisiva sei consapevole dell’effetto dirompente che si ottiene combinando musica e immagine e ora tra realtà aumentata e dispositivi per vivere nuove esperienze immersive sembra si stiano per varcare nuove frontiere in questo campo. Esistono secondo te confini che non dovrebbero essere oltrepassati?
CP: Il progetto che porto avanti dal 2013 si alimenta della mia formazione audiovisuale in quanto si basa sul concetto wagneriano, poi ripreso da Kandinsky, di “Arte Totale” e dalla potenza conoscitiva della “sinestesia”. Dunque, ciò che mi interessa è l’interazione di più forme espressive, in particolare, del segno grafico, del suono e dello spazio che cerco di plasmare servendomi della tecnologia e dei nuovi media digitali, con l’intento di proporre esperienze di fruizione multisensoriali e multimodali, segnate dal contemporaneo coinvolgimento della dimensione corporea, emotiva, cognitiva e sociale.
Più nello specifico la musica, per me, non è fatta di sole frequenze ma, ad ogni nota o passaggio, corrisponde un’immagine, un luogo ben definito. Per questo motivo ogni brano si presenta come una storia da percepire con molteplici sensi.
Il mio intento è quello di creare dei “suoni visivi” e delle “architetture sonore”, ambienti immersivi, mondi paralleli, installazioni multimediali, performance interattive in cui le persone si lascino avvolgere e si immergano totalmente così da poter sentire le loro vere emozioni/paure.
Tornando alla tua domanda, sì, credo che esista un confine ma a volte, anzi spesso, lo si confonde e lo si trascura. Per me, non si dovrebbe oltrepassare “l’idea come generatrice dell’arte”. Essa ha il compito implicito di trasmettere un messaggio, uno stato d’animo, un periodo storico/culturale, una sensibilità, un’emozione, un punto di vista, un’interpretazione, un’opinione, una protesta, un gusto… Purtroppo, si assiste, sempre di più, nella musica come in altri linguaggi artistici, alla realizzazione e diffusione di progetti privi di qualsiasi significato e limitati alla pura, sterile e vacua estetica. Quando accade questo non si può e non si deve parlare di “arte” in quanto si supera il limite di cui sopra ed essa non adempie più al suo fine unico e solo.
LG: Nel corso degli anni molti artisti e sound-designers modificano più volte il loro set-up fino a che non trovano la combinazione perfetta di macchine e DAW. Stai percorrendo anche tu questo viaggio tecnologico? Hai delle macchine a cui non potresti più rinunciare oppure ti stai allontanando dai sintetizzatori a favore di nuove esplorazioni elettroacustiche?
CP: È proprio per la versatilità del modo in cui viene generato un suono, grazie anche allo sviluppo ed uso della tecnologia e dei dispositivi digitali, che la musica elettronica appare a me così affascinate.
Infatti, attualmente, si possano produrre suoni dignitosi con qualsiasi mezzo; che sia esso un bastoncino di legno strofinato su una superficie e ripreso da un microfono, registrando voci in una piazza o campionando un acquario, fino a riprodurre un determinato strumento o addirittura, un’orchestra intera attraverso la programmazione di un software.
Quando ho iniziato a produrre creavo la maggior parte dei suoni attraverso vsti (gli strumenti virtuali disponibili per Mac/PC ,ndr) oppure con la chitarra che stretchavo e modellavo digitalmente. Allo stato attuale, invece, effettuo un lavoro di sovrapposizione, “un taglia e cuci” di campioni creati con strumentazione analogica o field recordings e poi modellati in modo da ottenere qualcosa di uniforme. In particolare, per la produzione dei pad e delle atmosfere drone utilizzo il Minilogue della Korg e il Lyra 8 della SOMA. La bassline con il sintetizzatore Roland SE-02 e il Moog Mother 32 e il Subharmonicon; le parti ritmiche con drum-machine Roland e DFAM della Moog; suoni più generativi e randomici con 0-Coast della Make Noise.
Da un paio di anni ho iniziato ad acquistare qualche modulo in quanto volevo creare un piccolo sistema eurorack che mi garantisse una maggiore versatilità e possibilità di sperimentazione nonché di divertimento. Ci tengo a precisare che non sono una fanatica dell’analogico e il mio non è feticismo ma la strumentazione che ho acquistato negli anni era necessaria per la creazione di determinate sonorità che volevo ottenere. Questo, per me, deve essere il motivo principale che spinge un musicista a preferire e ad utilizzare uno strumento piuttosto che un altro.
CP: Vorrei continuare a portare avanti la mia ricerca indagando inesplorate geografie sensoriali, ponendomi nuove sfide ed elaborando inedite combinazioni sonore e visive. Più precisamente, entro l’estate dovrò consegnare le tracce aggiuntive di NINF.
Subito dopo, vorrei dedicarmi (quasi) esclusivamente al mio secondo progetto musicale, Blue Like a Paradox, la mia anima dark e surrealista. Ricavando un po’ di spazio e in maniera molto lenta, cercare di lavorare al nuovo album di “Camilla Pisani” per il quale vorrei concepire anche un progetto editoriale e creare una mia graphic score (da animare successivamente).
Poi, diverse collaborazioni con entrambi i nomi e, in ultimo, mi piacerebbe realizzare qualche altra installazione e sonorizzazione e interagire ancora con le realtà museali.
LG: Grazie.
Per approfondire:
camillapisani.bandcamp.com
Commenti
Posta un commento