NÀRESH RAN: L'INDEFINITO EQUILIBRIO DEL BUIO
Nàresh Ran è il fondatore dell’etichetta Dio Drone, da lui stesso definita “un riparo accogliente per una famiglia di emarginati, una terra di nessuno in cui progetti sperimentali coesistono e ballano insieme sotto stelle scure”. A una dichiarazione d’intenti così intensa e sincera corrisponde una continua ricerca di talenti provenienti dalla scena “altra” della musica italiana, dai connotati tormentati e introspettivi, affiancata da una personale discografia in crescendo costellata di opere ispirate come il recente “Re dei Re Minore”.
LG: Nàresh è Dio Drone? Qual è il confine (se c’è) tra le due entità?
NR: A livello puramente materiale sì, Nàresh e Dio Drone sono la stessa entità. Dio Drone è un’estensione del mio credo musicale, un approccio al mondo sonoro dettato dall’attitudine che mi ha sempre accompagnato dall’adolescenza evolvendosi con me fino ad oggi. E’ il mio personale contributo a un ambito artistico che mi ha dato davvero tanto, da sempre.
Il modo in cui affronto i miei progetti più personali non si discosta da questo stato mentale ma cerco di non sovrapporre troppo spesso i livelli per non chiudermi in una bolla in cui esisto soltanto io.
Il confronto è una parte integrante del mio fare musica.
LG: In Re dei Re Minore a un itinerario geografico ne corrisponde uno sonoro, rumori dal mondo reale che successivamente hai elaborato elettronicamente. Questo processo, oltre alla ricerca, per te ha anche un significato catartico?
NR: Il fattore più catartico alla base di RDRM risiede proprio nella stretta correlazione tra suonare ed essere in viaggio costante, un elemento quest’ultimo che nella mia vita ha sempre rappresentato una parte profonda di ciò che sono, in senso pratico e metaforico.
L’elaborazione dei suoni in sé non rappresenta una vera catarsi, è più una ricerca di comunicazione con lo spazio circostante, un pensiero che ho continuato ad elaborare anche dopo la realizzazione del disco e che mi ha portato rapidamente più al largo.
LG: La drone music e piu in generale l’elettronica/elettroacustica di confine ha spesso a che fare con l’inconscio e l’oscurità (intesa anche come reale assenza di luce), utilizzando la logica dei sogni e i simboli degli incubi. Che ruolo rivestono i sogni e gli incubi nel tuo immaginario e di conseguenza nella tua produzione musicale?
NR: Il mio immaginario è stato significativamente influenzato dal cinema, una passione di famiglia che ha accompagnato di pari passo il mio interesse per i suoni. Per certi versi fatico a trovare una vera linea di confine tra sogno e incubo. Nei periodi più difficili della mia vita avevo difficoltà a ricordare i sogni una volta sveglio, ed era come se non fossi più in grado di sognare. Ho capito di stare definitivamente meglio quando il processo si è invertito. Sogni o incubi che siano non ha importanza, sono comunque segni che dentro di me c’è un equilibrio stabile. Questo contrasto indefinito finisce indubbiamente per contaminare il mio immaginario musicale e grafico, che in realtà a me non sembra mai così tanto nero, e forse per questo devo ringraziare mia madre che mi ha insegnato a non avere paura della mia oscurità.
LG: Cos’è per te il caos? Una forza primordiale insopprimibile? O un’entità in grado di rimescolare le carte proponendoci un modo nuovo di vedere la realtà? Ad esempio, a me capita spesso di osservare i quadri alla rovescia; capita anche a te? E da un punto di vista musicale esiste un punto in cui equilibrio e caos convergono?
NR: Per me il caos è uno degli elementi che compongono il quadro generale delle cose, una componente imprescindibile con cui tutti dobbiamo confrontarci in qualche modo a più riprese. Non definirei caos osservare un’immagine al contrario, così come non userei questa parola per descrivere il mio destrutturare i suoni. Caos è una parola che incute rispetto, e che sta all’equilibrio come l’oscurità sta alla luce.
LG: Con la tua label hai contribuito a diffondere il suono di band e dischi davvero inusuali in un contesto – quello italiano – ancora imprigionato da un certo provincialismo e da una insopportabile ottusità. Credi che l’underground di oggi possa diventare la storia di domani? Ci sarà una graduale scoperta di questo sottobosco così denso di fermenti artistici?
NR:
Ti ringrazio. A dire il vero però non trovo la sfera musicale
italiana particolarmente restia alle sonorità più spinte. Tendo
anch’io a chiamarlo sottobosco, ma vedo questo tipo di ‘scena’
come un magma molto forte e indistruttibile che è riuscito ad
arrivare in superficie un pò ovunque.
C’è sempre stata
musica più mainstream contrapposta a quella underground, termine che
non va inteso come ‘non conosciuto’ o ‘non famoso’, ma che
rappresenta per molti uno stile di vita.
Mi
piace pensare che questa cultura sia la storia di adesso, del qui e
ora, che certamente deve le sue radici a correnti passate. In questo
senso sono assolutamente certo che l’underground di oggi sarà
anche la storia di domani, a disposizione di chi avrà voglia di
addentrarvisi.
LG:La musica mantiene un potere
salvifico anche quando rovista negli anfratti più dolenti
dell’anima?
NR: Senza alcun dubbio. La musica mi ha letteralmente salvato, e sono certo di non essere il solo a dirlo. Proprio perchè è stata in grado di scavare a fondo dentro di me prima che potessi riuscirci con i miei stessi mezzi. Mi ha parlato quando ancora non ne conoscevo il linguaggio e mi ha regalato la dimensione di cui sentivo la mancanza. Ed è solo grazie a lei se ora so chi sono.
LG: Cosa è per te il buio?
NR: A pelle, di getto, ti risponderei che il buio è silenzio. Ma non è vero perchè anche il silenzio è un suono. E buio non significa per forza assenza, perchè persino la materia oscura del cosmo non è vuota. Mi piace pensare che l’oscurità sia un luogo in cui a volte troviamo il coraggio di spingerci per uscirne più consapevoli e arricchiti.
Qualcuno che conosco la chiamava ‘Diamante Street’, un nome come un altro per descrivere quello stato d’animo che a volte è necessario raggiungere e passeggiarci dentro.
LG: Vorrei concludere chiedendo il tuo parere su una mia considerazione: ritengo che quella che noi chiamiamo oggi Drone Music in realtà sia sempre esistita, nei culti misterici, nei mantra dei guru, nella radiazione cosmica di fondo.
NR: Assolutamente. Il drone si rifà totalmente ai mantra e ai bordoni, sonorità tipiche di alcuni culti spirituali. E ha senso, dato che non c’è nulla di più spirituale del suono.
LG: Grazie.
Per approfondire:
nareshran.bandcamp.com
diodrone.bandcamp.com
Commenti
Posta un commento