ORMA IMMEMORE, VASTITÀ IDEALE: INTERVISTA A MARIO LINO STANCATI



La mente di Mario Lino Stancati è costantemente assetata di conoscenza e mossa da inguaribile curiosità. Nel corso degli anni ha percorso strade culturali e artistiche spesso intrecciate tra loro, lasciando chiari segni del suo passaggio sotto forma di composizioni poetiche, antologie filosofiche, performances teatrali. In campo musicale il recente Cross the Desert (2020, Unexplained Sounds Group) è uno scrigno di perle elettroacustiche ed elettroniche in cui l'invenzione compositiva non è succube di uno sperimentare fine a se stesso bensì utilizza un ventaglio iperbolico di scoperte sonore per dare forma ad una dimensione parallela, vicinissima e inaccessibile, in cui l'uno e il tutto sono indistinguibili.



LG: Attore, regista, drammaturgo, poeta, pittore, musicista, saggista: chi sei realmente?

MLS: I vari ambiti espressivi che hai gentilmente elencato e che, ad oggi, caratterizzano la mia produzione autoriale sono fra loro legati da un preciso filo rosso: la sete di conoscenza. 

Laddove conoscenza, per quanto mi riguarda, sta a significare, anzitutto, ricerca di se stessi. Ricerca che non può che tradursi in un'investigazione graduale e continua, inquieta e multiforme, sempre in atto e, proprio per questo motivo, mai pienamente compiuta, come arcobaleno etereo, fiamma spirituale sempre in fieri

A fuoco spento, ossia a cuore fermo, si potrà forse dire ciò che ha realmente rappresentato questo viaggio interiore e le varie opere che lo hanno via via accompagnato. Compito che, miracolo magico e macigno fatale dell'esistere, toccherà inevitabilmente ad altre persone. 

In breve, la fiamma arde e non si conosce mai, perchè è la vita stessa.

 

LG: Cross the Desert: cosa aggiunge a Voxigena? E a quale deserto si riferisce?

MLS: L'album "Cross the Desert" raccoglie brani composti in circa quattro anni di sperimentazione sonora e segna il graditissimo incontro con Raffaele Pezzella, responsabile della importante etichetta discografica Unexplained Sounds Group, che ha prodotto e pubblicato il lavoro in questione. Senza la solida professionalità di Raffaele, la sua determinazione e la sincera fiducia che ha saputo infondermi, un'opera del genere non avrebbe visto la luce.

Il deserto a cui si fa riferimento, lungi dal rappresentare alcunchè di soffocante e inospitale, è bensì da intendere come orizzonte aperto, vastità ideale, ove brilla e rifulge la stella più bella. La stella della libertà assoluta, a nulla e da nulla legata, incondizionata, pura. "Cross the Desert" è proprio questo travaglio sperimentale che si trasfigura in canto di liberazione, in grido di gioia, e in cui convergono tutti i passi, gli inciampi, le cadute, gli ostacoli affrontati: semenze preziosissime di questo corposo dramma sonoro, intimo e spietato, ma aperto a tutti gli illuminati viaggiatori notturni e agli eroici amanti della libertà espressiva.

 

LG: Collaborare con altri musicisti è di per sé un’arte sottile e nel tuo disco si alternano diversi ospiti (Walter Fini, Maria Todaro, Wilfried Hanrath) con eccellenti risultati. Ritieni ci siano delle linee guida da seguire quando si decide di ospitare performances altrui nei propri lavori?

MLS:Nutrirsi e godere delle passioni altrui è un'occasione rara e spesso foriera di risultati originali e di spessore. Incontrare anime affini alla propria sensibilità artistica, l'ho sempre considerato come un dono speciale e un'opportunità per ampliare le proprie vedute mentali.

Maria, Walter e Wilfried, prima di ogni altra cosa, sono persone a cui mi sento legato da un forte sentimento d'amicizia e stima personale. Collaborare assieme è stato, in fondo, un altro modo per dire loro: "Siete preziosi! Vi voglio bene".

Per quanto riguarda le ipotetiche linee guida da seguire quando si collabora con altri musicisti, a cui facevi riferimento nella tua cortese domanda, rispondo con un breve passo, tratto dalla presentazione di "Cross the Desert": "Perdere, anzitutto, le coordinate comuni, gli appigli sicuri, le certezze consolidate, dimenticando partiture, confini e giudizi".

 

LG: I titoli delle tue composizioni sono spesso imperscrutabili: c’è un intento preciso dietro questa scelta, una chiave di lettura univoca?

MLS: Le parole non fanno altro che confonderci. L'illusione più grande in cui possiamo cadere in quanto essere umani, è quella di credere che le parole siano nostre, ossia sotto il nostro dominio. Quando, invece, è il linguaggio stesso ad imporsi quale presupposto principe di ogni concetto di alienazione: non esser mai padroni di se stessi. Casa del caos. Fonte di ogni conflitto. Persino la voce, com'è noto fin dalle lontane origini del teatro greco, non è che maschera, menzogna sociale, nascondimento pubblico. Per fortuna esiste la mente e quindi l'arte: entrambe ci salvano dal tedio della comunicazione ordinaria e dall'intrattenimento vacuo dei salotti chiari, distinti, quotidiani.

Superare l'illusione del dominio e negare la tortura delle convenzioni, la nostra unica e sola speranza. Questo anelito, evidentemente, ha mosso la mano che ha scritto quei titoli "spesso imperscrutabili". Forse perchè, in fin dei conti, dare voce al mistero è la sola preghiera sincera in grado di realizzare quella fede. 

 


 

 

LG: Portraits è un distillato di eccellenza elettroacustica che ti vede a fianco di altri due prestigiosi compositori: come è nato questo progetto?

MLS: Sono onorato e molto contento del tuo apprezzamento in merito all'album "Portraits". Il progetto nasce dalla bella idea di Raffele Pezzella, il quale ha inteso dare inizio ad una serie di pubblicazioni discografiche, targate Unexplained Sounds Group, che vedranno coinvolti, di volta in volta, tre musicisti di una determinata area geografica, scelti quali rappresentanti attivi nell'ambito della ricerca sonora alternativa e non convenzionale.

Ciò che mi preme sottolineare quale pregio oggettivo di questo album è il grande respiro compositivo e la varietà acustica in esso presente. La sua qualità multicolore, a mio modesto avviso, sfata il discutibile e a volte troppo leggero pregiudizio, secondo il quale la musica elettronica, specialmente quella sperimentale, sia tutta uguale, monotona e dunque priva della possibilità di esprimere originalità autoriali. Ognuno di noi ha il suo cuore, la propria visione del mondo. La creazione artistica non può essere isolata da questo battito, da questo miraggio personale.

 

LG: E’ arduo inquadrarti in uno stile specifico: ritieni abbia ancora importanza parlare di generi musicali?

MLS: E' importante parlare di generi musicali per chi intende, per chi ha interesse, per chi ha bisogno di parlare di generi musicali. Può sembrare una tautologia, ma è esattamente la risposta più sincera che posso offrire.

Detto in altri termini, è innegabile che, in determinati contesti, un più che comprensibile principio utilitaristico regoli i processi d'identificazione categoriale, il quale si esplica attraverso l'abitudine formale di ricorrere ad "etichette" di facile e larga comprensione oggettiva.

Ciò comporta, in modo inevitabile, l'emergere di operazioni classificatorie basate essenzialmente su metodologie analitiche, grazie alle quali, giocoforza, gli ambienti tematici, i segmenti specifici, i compartimenti generici, le cosiddette "nicchie" che fungono appunto da caselle settoriali o punti di raccolta identificativi, prolificano in maniera direttamente proporzionale al procedere stesso di tale tendenza, di per sè dissezionatrice, anatomica, atomistica.

La corposa frammentarietà degli elementi risultanti, dunque, è l'ovvio esito e il risvolto effettivo del metodo d'indagine adoperato e del fine comunicativo a cui si mira.

Tutto ciò è lecito e, come detto, più che comprensibile. Ma mi permetto di osservare quanto la musica sia innazitutto fantasia, immaginazione, creatività. Bisogna dunque fare molta attenzione, affinchè non si finisca col ridurre a fredde salme codeste potenze vitali, in sè incommensurabili.

 

LG: Il tuo metodo compositivo si basa sulla manipolazione di campioni e frammenti audio pre-esistenti oppure senti la necessità di un contatto fisico con la tastiera? Esiste nel tuo studio una macchina che ha un ruolo predominante rispetto alle altre?

MLS: Il mondo della composizione digitale ed elettronica, preso nel suo insieme, è la negazione concreta della noia della vita. Non si finisce mai di studiare, apprendere, scoprire. Dovrebbe essere adoperata come arma benefica contro l'aumento costante dei casi di suicidio fra i giovani. Chi incontra questo mondo stupendo, prima o poi dispererà di avere a disposizione soltanto una vita. Campo sconfinato, dunque, rappresentazione perfetta della potenza creatrice dell'ingegno umano. L'ingegno che crea meraviglie. Ricerche che regalano sogni, linfa essenziale, desideri reali.

Il mio strumento preferito non è una macchina, bensì la curiosità, la volontà di spaventarmi, la voglia di commuovermi, di perdermi nel profondo eco di un distacco ineffabile, come orma immemore sulla riva argentea dei giorni. Appena impressa è già svanita, al vibrar infinito d'un'altra onda.

 

LG: Esiste per te qualcosa al di là dell’esistenza materiale?

MLS: Chiudo gli occhi e il mondo scompare. Chiudo la bocca e risuona il silenzio.

Occhi e bocca possono essere chiusi, da qui il valore aureo dell'attenzione e dell'introspezione.

Se vi è una materia, essa è materia in quanto appare a degli occhi e si argomenta per il tramite di una bocca. Senza occhi e bocca non avremmo neanche la possibilità di ragionare circa l'interessante quesito in oggetto. Ma gli occhi non sono il vedere, così come la bocca non coincide con l'argomentare. Vedere e argomentare sono attività della mente. La mente in questione, non è nè mia nè tua: è mente di tutti, dacchè tutto appare come mente.

Al che la domanda iniziale si ritrova ribaltata: esiste la realtà materiale?

Il suono, forse, potrebbe rivelarci qualcosa di molto suggestivo in merito: come, infatti, chiudere le orecchie? Infine, anche le mani, a volte, sembrano sussurrarci: grazie a noi hai scoperto di essere fatto di cielo.

 

LG: Cosa vedi nel buio?

MLS: Nel buio vedo la possibilità della luce, sento il loro legame indissolubile, vivo grazie al loro abbraccio incontrovertibile. Il buio e la luce sono due fratelli d'amore. La vita autentica è il loro padre eterno. Eppure credo che l'arte non abbia nulla a che vedere col buio, nè tantomeno con la luce. Ad essa pertiene il vuoto, l'enigma dell'esserci, il dolore del nulla.

Essa mi insegna a morire ogni giorno, a dimenticare gli addii, benedire l'assenza che dimora nel sangue, e scorre come fuoco, brucia come stella, perde perchè trova, piange mistero se sogna, goccia di sale celeste, a che un altro tramonto intoni gioie d'altrove. 

 

LG: Grazie.





Per approfondire:

unexplainedsoundsgroup.bandcamp.com/album/cross-the-desert



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