REMO DE VICO: RADIOONDE DA MAGONIA

 


 

Remo De Vico è compositore e disegnatore sonoro, autore di sontuose opere sperimentali e immaginifiche (alcune anche utilizzate come soundtracks per produzioni cinematografiche) come Omicron Nocturne, Il tempo sospeso di pallido volto, Five door handles, The hysterical world of Lucy che hanno ricevuto l’attenzione della critica e del pubblico più attenti alla ricerca.

La cifra stilistica di questo autore è la genuinità e sincerità di ispirazione, una perenne curiosità nei confronti della materia sonora, il totale disinteresse ad allinearsi alle mode e alle convenzioni del momento e uno visione musicale insieme tormentata e incantata, come se fosse un bambino intento a esplorare un’altra dimensione. Il risultato è un continuo cortocircuito emotivo e visionario che pervade l’intera sua produzione.



LG: Scorrere la tua discografia su Bandcamp mi ha ricordato il contenuto di una antica rivista dada/surrealista: un concentrato eterogeneo di opere assolutamente stravaganti per tematiche, realizzazione e atmosfere, governate unicamente dalle leggi della logica dell’inconscio. Ti senti surrealista nello spirito?

RdV: Non posso certamente negare l’importanza che ha avuto nella mia formazione musicale lo studio dell’inizio del XX secolo.

Molte sperimentazioni che oggi trovano una via decisamente più legata alla tecnologia e alla musica elettronica hanno una grande relazione con il periodo dadaista e futurista.

Mi ritengo però un artista libero e mi piacerebbe rimanere al di fuori di qualunque corrente artistica, mi piace studiare e capire i movimenti del passato e del presente ma è mia natura ricercare la libertà espressiva.

Nondimeno sarebbe molto interessante che la critica andasse ad approfondire alcuni esperimenti musicali di inizio ‘900 che spesso vengono messi in secondo piano rispetto alla letteratura e alle arti visive.

Ridurre quasi tutto alla figura di Russolo mi sembra ingiusto.



LG: Nella tua discografia trovano sovente spazio reinterpretazioni radicali di composizioni appartenenti alla tradizione sinfonica: esiste una volontà dissacratoria, iconoclasta in queste operazioni?

RdV: No assolutamente, anzi, c’è un grande amore per queste composizioni che si traduce in una forma di studio immersivo.

Dare ad alcuni brani del passato una veste nuova mi permette di entrare nella materia musicale, analizzare questi brani al microscopio, guardando le diverse linee, studiarne l’armonia, cercare di reinventare intuizioni che hanno avuto i grandi compositori del passato.

Imparare e rubare direttamente dai maestri è fondamentale.

Potrebbe sembrare un qualcosa di dissacrante ma non lo è: utilizzo il materiale di Beethoven, di Tchaikovsky, di Chopin, di Respighi o di Shostakovich come se fosse materiale nato nel mio studio, tagliando e riscrivendo quello che non mi serve.

Questo ha suscitato qualche critica da chi fa di questi compositori divinità intoccabili, d’altro canto mi ha regalato anche diverse soddisfazioni per quanto riguarda alcune committenze e apprezzamenti.

Amo questi compositori e mi piace giocare insieme a loro, d’altronde non c’era volontà dissacratoria nei lavori di Wendy Carlos ed Isao Tomita.




LG: Ti senti più un osservatore o un artefice del suono?

RdV: Forse nessuno dei due, forse entrambi.

Sono come un’antenna, cerco di captare e farmi attraversare costantemente dal suono, dall’idea del suono, dalla materia musicale, dalle possibili strutture, dalle storie da raccontare, dai sogni celati, da visioni, incubi.

Vorrei sicuramente avere la stessa capacità di astrazione di Hildegarda von Bigen.



LG: Quanta parte ha la tecnica del field recording nel tuo lavoro di composizione?

RdV: Direi che è molto importante, adoro registrare e campionare qualunque cosa.

Una parte imprescindibile del mio lavoro è quella di prendermi cura costantemente dell’archivio sonoro che è in continua espansione.

Darsi premura dei propri suoni (intesi come colori, samples, timbri, patches), significa avere attenzione ed amore per gli atomi fondamentali da cui poi nascerà una nuova idea musicale, un nuovo racconto, un nuovo dipinto.


 

LG: La Ballata del Piccolo Esercito è una composizione che all’ascolto mi ha lasciato un profondo senso di malinconico smarrimento: rappresenta la fine degli ideali per cui si è combattuto?

RdV: Questo brano è stato scritto a quattro mani con Alessandro Rizzo, un bravissimo compositore e ingegnere del suono, compagno di molte battaglie musicali, tra cui la creazione della netlabel Studiolo Laps.

Non c’è la volontà di rinunciare a nessun ideale: non si può davvero vivere senza una lotta da portare avanti.

Ed è proprio una nuova lotta quella che stiamo portando avanti con lo stesso Alessandro Rizzo, Dario Della Rossa e Massimo Palermo. Grazie all’interessamento del M.I.A.I.( Museo Interattivo di Archeologia Informatica) stiamo mettendo in piedi il primo centro di ricerca musicale e computer music della Calabria e siamo speranzosi di poter far crescere questo progetto e creare nuovi ponti e collaborazioni.



LG: "È la povertà a donare un impianto elettrico scadente” è un passo tratto dalle note di copertina dello studio I problemi elettrici del Farfisa. È uno dei tuoi lavori più interessanti perché unisce alla sperimentazione una sottile ironia sociale. Ritieni che l’artista debba avere un ruolo come osservatore della natura umana?

RdV: Avrei voglia di rispondere alla tua domanda con una domanda, ovvero, è possibile creare senza osservare? Credo proprio di no.

L’artista dovrebbe innanzitutto cercare di fare bene il suo lavoro, come tutti d’altronde.

La cura per le cose che ci circondano è il miglior esempio possibile, questo sta all’artista come al panettiere, al disoccupato o allo studente.

Sicuramente ogni artista dovrebbe interrogarsi sul linguaggio musicale e capire che ad un arricchimento di questo corrisponde un arricchimento dell’espressione umana, cercare nuove strutture, nuovi timbri, significa creare una nuova consapevolezza, quindi nuovi strumenti per osservare meglio, per interrogarsi.

Sulla povertà che accompagna l’arte invece ci sarebbero molte cose da dire, non basterebbe un trattato probabilmente, basti pensare a quanti grandi artisti si siano trovati in ristrettezze economiche; è però un momento fondamentale della propria formazione.

Credo che la povertà sia una grande risorsa per la creatività: quando hai poche possibilità il cervello comincia a pensare alla migliore strada possibile, quella che richiede meno spostamenti e fatica, troviamo lo stesso fondamento nel trattato armonico di Schoenberg.

La povertà è una sorella della creatività, non bisogna davvero averne paura, perciò musicisti abbandonate i vostri piani B, fatti di una fittizia stabilità economica e tornate a suonare.

Non è un caso che immaginare e fare l’amore siano due attività gratuite nonché le più belle.




LG: Il Disincanto del Professor Aronnax è una composizione per clarinetto e nastro magnetico registrata con la collaborazione di Mariagaia Di Tommaso. Curiosamente non ci sono note che espletino il senso di questo titolo che sembrerebbe richiamare un racconto di fantascienza degli anni 50. Puoi dirci qualcosa di più in merito?

RdV: Sono contentissimo di parlarti di questo lavoro, scritto con Mariagaia Di Tommaso, clarinettista dal timbro intimo ed unico, tra i giovani strumentisti più interessanti della realtà contemporanea.

Abbiamo composto questo brano per L’acusmonium dell’Auditorium di San Fedele a Milano, durante il concorso internazionale di composizione che la fondazione San Fedele organizza.

In realtà dobbiamo andare ancora più indietro rispetto alla fantascienza degli anni 50, siamo nella seconda metà dell‘800 ed il professor Aronnax ascolta, da dietro una porta del Nautilus, il capitano Nemo suonare delle strane armonie sul suo organo.

Nello scritto di Jules Verne, tra tecnologie e scoperte scientifiche, al Capitano Nemo non manca neanche una spirito musicalmente avanzato. Abbiamo immaginato quale fosse questa musica suonata su questo strumento autocostruito e quale fosse la sensazione del professor Arronax nel sentire queste sonorità mai ascoltate prima.

C’è un piccolo scritto che accompagna questo lavoro ma è accessibile solo dopo aver scaricato il brano su Bandcamp.



LG: Nonostante tu abbia nel corso degli anni realizzato musiche per il cinema e il teatro e gestito anche una netlabel sei e rimani una voce del tutto indipendente nel panorama della ricerca sonora. Non temi che il tuo lavoro possa essere col tempo inghiottito dalla rete?

RdV: È una problematica a cui non presto particolare attenzione, sarebbe un poco come avere timore della morte.

Sapevo benissimo a cosa andavo incontro abbandonando lo schema tradizionale del mercato musicale, che vuole una catena di eventi del tipo: annuncio dell’uscita con prepromozione, lancio discografico, concerti ed eventi promozionali.

Credo di sentirmi più vicino ad un pittore che ad un musicista, amo lavorare nel mio studio ed essere in continua creazione, ad oggi promuovere a tempo pieno un disco sarebbe solamente un ostacolo alla nascita di nuovi lavori.

Del resto non posso proprio lamentarmi, sono i committenti che vengono a bussare al mio studio e mi sento abbastanza fortunato di questo.

Il merito di questa libertà espressiva e compositiva va condivisa con i miei pochi ma buoni ascoltatori, che con il loro supporto, soprattutto su YouTube e Bandcamp, rendono possibile la creazione di alcuni lavori che non avrei potuto realizzare con le mie sole forze.

A loro un sentito ringraziamento!

E un ringraziamento anche a collettivoinconscio per questo spazio dedicato alla mia discografica minore della quale è tanto difficile parlare.

LG: Grazie.




Per approfondire:

remodevico.bandcamp.com

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