RITA TEKEYAN: L'IDENTITÀ DELLA MEMORIA

 

 


 

 

Il sofferto lirismo di Rita Tekeyan si arricchisce di un nuovo capitolo, Green Line (2021, Seahorse Recordings), opera che approfondisce le tematiche già affrontate nel precedente (e oltremodo interessante) Manifesto Anti-War: un’artista capace di trasformare la propria esperienza di vita nell’affresco corale di un popolo perseguitato, fino a far cadere le barriere nazionali e culturali a favore di una vera e propria missione di pace tradotta in musica, contro ogni forma di ingiustizia, odio, oppressione e violenza.



LG: Hai esordito con ‘Manifesto Anti-War’ e ora siamo giunti a ‘Green Line’: nel tuo percorso artistico le ingiustizie, la guerra e la discriminazione sono ancora al centro della tua ricerca poetica e musicale. Perché è così importante al giorno d’oggi che l’arte non sia solo intrattenimento ma che abbia il coraggio di affrontare simili tematiche?

A mio parere lo scopo ultimo dell’arte non è l’intrattenimento. Larte è un linguaggio per comunicare, trasmettere messaggi, emozioni; l’intrattenimento ha uno scopo diverso, deve divertire le persone e catturare la loro attenzione.

Nell’arte a volte le risposte sono scomode, è un processo che risveglia l’anima e lo spirito. Essa non riproduce la realtà ma rende visibili le cose, come dice Paul Klee, ha una storia da raccontare mentre l’intrattenimento vuole stupire, apparire, trasgredire solo per fare scena, brillare; è un processo passivo che fa perdere all’artista il suo significato per diventare una figura che deve piacere al pubblico. L’involucro perde il suo contenuto e si svuota, come se contasse più la forma e non la funzione, come una facciata finta che copre un edificio, un muro vuoto, un confine, l’esatto opposto di ciò che l’arte dovrebbe essere ossia una porta da oltrepassare verso un mondo da scoprire.

Le tematiche della guerra e del genocidio purtroppo rimangono sempre attuali, nonostante i grandi passi compiuti in campi come tecnologia, scienza, economia e biologia. Nonostante ciò c’è chi ancora è avido e causa le guerre, manipolando la gente per potere e denaro.

L’arte deve denunciare queste cose perché essa proviene dall’anima dell’artista arrivando al cuore delle persone, comunicando quello che altrove viene oscurato. Risvegliare l’anima degli altri è un dovere di chi ne è consapevole. Purtroppo le nuove generazioni sono sempre più succubi della nuova era; computer, telefonini, videogiochi sono l’espressione di un sistema che controlla, addomestica e anestetizza le persone, le distrae deviando continuamente l’attenzione dal vero problema, da ciò che sta veramente succedendo nel mondo. Il linguista e intellettuale Noam Chomsky ha scritto le dieci regole del controllo sociale che rispondono perfettamente a queste osservazioni.

Ogni tanto qualcuno ha il coraggio di parlare della guerra e dei genocidi ma è sempre molto poco rispetto alle attenzioni che vengono date ad altre notizie superflue.

Avendo vissuto una parte di quella esperienza chiamata guerra, avendo conosciuto attraverso le parole dei miei nonni rimasti orfani il Grande Male, come è chiamato il genocidio armeno, mi sento in dovere di raccontare tutto questo per conservare la mia identità e per preservare i miei ricordi, custodirli in questa fiaba surreale, dove gli orrori e il dolore si trasformano in bellezza e arte.

L’intrattenimento ha il solo scopo di monetizzare ma le nostre vite sono così tanto condizionate dal dio denaro da dimenticare che tutto ciò non ha valore: quello che conta è lasciare qualche ricordo, qualche racconto, la nostra memoria alle future generazioni.

LG: L’atmosfera che si respira ascoltando Green Line è sacrale, quasi liturgica: ritieni che la combinazione di voce, poesia e musica sia in grado di ampliare le nostre percezioni permettendoci di accedere ad un livello di coscienza più intimo?

La combinazione di voce, poesia e musica certamente risvegliano l’anima. I miei brani nascono da un messaggio che voglio comunicare, una storia che voglio raccontare, alcuni eventi con la descrizione degli spazi specifici con riferimento agli elementi che risvegliano i sensi; odori, sapori, colori, il gusto e il tatto. Cerco sempre di scrivere musica che non risulti sovraccarica, rimanendo più minimale possibile per mantenerne l’essenza. Io cerco di sperimentare con la voce che è il mio strumento principale, a volte non so nemmeno io come si evolverà la musica e il brano. Faccio delle improvvisazioni vocali finché non ottengo qualcosa che mi piace e mi convince. Nel mio caso i brani sono un continuo ‘work in progress’: non è detto che siano finiti, può darsi che continuino a cambiare, è il processo che conta non il prodotto. Quello che cerco di fare viene dal profondo dell’animo e spero che raggiunga il cuore dell’ascoltatore.

 

 


 

 

LG: E’ doveroso parlare di Y, traccia che affronta una crudele pagina di storia, il genocidio armeno.

Y’ (Why?) è ispirato a scene tratte dal libro di mio nonno Avedis Tekeyan, ‘La Tragedia Degli Armeni di Behesni 1914-1918’ pubblicato a Beirut nel 1956. Il libro, in lingua armena e con le pagine ingiallite, racconta le testimonianze dei sopravvissuti del genocidio armeno (Il Grande Male). ‘Y’ si sofferma sugli episodi narrati nel libro che mi hanno più colpito e mi hanno riempita di rabbia; mi domandavo il perché di tutta questa crudeltà. Come è possibile che un essere umano sia capace di tanta malvagità nei confronti dei propri simili?

Il brano è accompagnato da un video reperibile in rete. Il regista Enrico Fappani ha saputo cogliere il senso delle mie idee e tradurle visivamente in quest’opera in cui ciò che conta è l’identità e la forza dell’anima per ricordare e per non dimenticare, per testimoniare la nostra presenza e la nostra vincita sul Grande Male: noi siamo qui nonostante il loro desiderio e la loro volontà di annientamento, il nostro albero genealogico è stato interrotto ma non hanno potuto annientarci nonostante il loro negazionismo. Non è per caso che il mio album ‘Green Line’ è uscito il 24 Aprile di quest’anno, giorno della Memoria del Genocidio Armeno.

Con la cultura, la musica e le tradizioni la nostra identità non verrà cancellata.

LG: Cosa rende il pianoforte uno strumento così speciale per te?

Mi piace il suono del pianoforte, è cosi romantico e puro, è speciale. Le mie composizioni nascono tutte al piano perché è lo strumento che accoglie e risponde alle mie esigenze. È stato lo strumento che ho studiato al Conservatorio Libanese e che ha accompagnato il mio percorso musicale.

LG: Cos’è per te il buio ?

Il buio è l’oscurità, l’assenza della luce, è la tristezza, il dolore, lo smarrimento, quella sensazione che si prova quando la gravità ti trascina verso gli abissi più profondi, che dà anche quel senso di soffocamento ed incapacità. Ma il buio è anche il momento in cui chiudi gli occhi, è un momento di meditazione, di pace e tranquillità, consapevole che nel buio c’è sempre un poco di luce che penetra e ti guida. Quella meditazione, quel viaggio apre le porte all’inconscio, alla scoperta del sé interiore. Alcuni dei miei brani di ‘Green Line’ potrebbero descrivere il buio e il viaggio introspettivo, penso a ‘Weight of Pain’, ‘DK’, ‘You Sin’ e ‘Devil’s OB’. Quest’ultimo è accompagnato da un video sempre diretto da Enrico Fappani, filmato a Brescia nell’area dove vivevano le streghe bresciane e dove sono state messe al rogo.

LG: Grazie

 


 

 

 

Per approfondire:

soundcloud.com/rita-tekeyan

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