MONICA MELISSANO: IL SALTO OLTRE IL BARATRO

 


 

Da oltre vent'anni Monica Melissano lavora nel campo musicale: dopo aver gestito a partire dal duemila la label Suiteside è titolare del progetto A Giant Leap, che si occupa di promozione, booking e management a livello europeo. 

Ma prima di tutto questo Monica è e rimarrà sempre una donna con un inestinguibile spirito rock'n'roll, spirito che spesso si scontra con il disarmante appiattimento culturale del nostro tempo.

 


LG: Da oltre venti anni sei legata al mondo della musica, passando dal giornalismo alla radio, dalle labels fino a A Giant Leap. In un arco di tempo così vasto hai osservato i profondi mutamenti di questo settore. Di solito ci si concentra sugli aspetti negativi del processo, cosa si è perso e cosa non funziona più come prima. È davvero solo una lunga discesa verso il baratro oppure esistono anche aspetti positivi da sottolineare?


MM: Per poter rispondere dovrei avere vent'anni adesso ma è anche vero che di recente una ragazza di vent'anni mi ha detto con grande invidia: "Che figata, hai vissuto negli anni Novanta!". 

Cosa si è perso...l'attenzione, l'andarsi a cercare le cose. Siamo governati da algoritmi che vogliono decidere per noi cosa ci deve piacere, che credono di conoscere i nostri gusti. Come fossimo monoliti, come se non contasse quell'effetto sorpresa di quando ascolti qualcosa di inaspettato per la prima volta, smuovendo montagne dentro e aprendo mondi. Il sovraccarico di informazioni crea un corto-circuito per cui tutti, giornalisti, discografici, si rifugiano nelle sicurezze del già familiare.

Non è un baratro, è una palude.


LG: Nel tuo confrontarti con chi produce musica ritieni ci sia ora una maggiore consapevolezza riguardo alle meccaniche alla base del mondo discografico e promozionale oppure ancora troppi artisti non le comprendono?


MM: E' che sono molto cambiate anche le dinamiche promozionali, a volte riesce difficile anche per me capire che per un gruppo di millennials gli ascolti e le playlist Spotify sono più importanti di una recensione su un mensile di una firma autorevole. Da un lato arrivi direttamente al pubblico, dall'altro l'arco temporale di vita di un album diventa molto breve, non si crea una vera fanbase. Credo che gli artisti debbano imparare a usare meglio i media, a usare più contenuti video, a parlare di più con chi ascolta. Farsi auto-interviste, approfondire e condividere i propri ascolti. Per quanto riguarda le recensioni, io continuo a ripetere che valgono e contano quelle scritte bene e da chi è competente e seguito. 

Venti copia-incolla su siti web che leggono in dieci non servono a nulla.

 

 




LG: Un elemento imprescindibile del tuo lavoro è il rapporto con gli artisti e le bands: immagino non sia sempre stato facile.


MM: No, per le band il manager diventa spesso il capro espiatorio quando le cose non vanno bene, tanti credono ancora che la chiave sia essere sotto contratto con qualcuno che ha i soldi. Ma se una band non ha carattere puoi buttarci miliardi, al massimo dura due singoli. Se non sai stare sul palco, se sei ingestibile, non c'è multinazionale che tenga. Detto questo, di band che non sanno stare sul palco ne ho avute raramente. Di band che sul palco e su disco erano pazzesche ne ho avute tante, a partire dal primissimo gruppo con cui ho lavorato, i Rollercoaster, con cui è rimasta una bella amicizia. Ma ho avuto anche tante band che col tempo son diventate ingestibili, per ambizioni frustrate, rapporti personali interni che si deteriorano – i tour sono la prova del fuoco – e sì anche per eccesso di droghe o alcol. 

Ma va bene così, per me è rock'n'roll prima che business.


LG: L’emergenza sanitaria è stata un macigno che si è abbattuto su di un settore, quello discografico e musicale, già in profonda crisi. Dobbiamo necessariamente ripensare al ruolo dei musicisti e dei compositori (nonché di tutti coloro che scrivono e parlano di musica) nella nostra società. Siamo obbligati ad un radicale cambio di rotta?


MM: No, è la società che dovrebbe cambiare rotta. E smettere di usare come capro espiatorio chi ha l'unica colpa di aver scelto, anche con rinunce, un'esistenza diversa dal produci-consuma (online) e crepa. Da questo punto di vista, gli artisti dovrebbero avere maggior coscienza del loro essere un'alternativa a un sistema che ci vuole passivi e impotenti. Non facendo adunate alla Salmo senza mascherine e distanze, ma ribadendo con forza che vivere in maniera creativa, facendo quello che amiamo fare, è possibile, è sano, è giusto. Chi addita l'arte come inutile o colpevole è solo invidioso e frustrato. 

Non siamo funzionali ma è il sistema che è sbagliato, non noi.

 

 




LG: Gli autori italiani sono mediamente molto critici nei confronti del nostro Paese: quanto di vero c’è in questo? È davvero sempre e solo colpa delle istituzioni e di un’industria discografica invecchiata male oppure è tempo che anche i musicisti compiano un autoesame?


MM: Mah, a metà Duemila tutti o quasi i gruppi italiani si son messi a cantare in italiano, anche chi cantava in inglese, perchè se no “non mi fanno un contratto, non mi fanno suonare”. Quindi se fai questa scelta di che ti lamenti? Sei tu per primo a essere provinciale. Io lì ho chiuso l'etichetta, Suiteside, perchè per me sarebbe stato snaturarmi. Se devo stare nella musica per fare cose che non mi piacciono, faccio altro. Son rimasta comunque nella musica, anzi! Vivendo due anni a Londra e facendo booking in tutta Europa. Anche per gruppi italiani, e ho visto band italiane “anglofone”, mie e non, suonare in festival importantissimi e fare tour ovunque: Soviet Soviet, Kill Your Boyfried, Sonic Jesus, Throw Down Bones, Rev Rev Rev. E dell'Italia non si lamentano neppure, perchè si considerano, giustamente, europei. Io poi non concepisco proprio i nazionalismi. 

Fare musica per rivolgersi solo al pubblico di una nazione...ma che senso ha? 

 

LG: Da diversi anni sei supporter di Amnesty International e Greenpeace.


MM: Al momento più psicologicamente che in pratica, ma inviavo lettere per Amnesty quando ero al Liceo e a 17 anni ero iscritta a Greenpeace. Con delle mie amiche vendevamo a scuola quaderni e agende in carta riciclata. Mi lascia attonita che dopo 35 anni si sia ancora ai Fridays for Future. Ma quale Future? Onestamente, se un virus decimasse la popolazione umana del Pianeta Terra, al Pianeta Terra farebbe solo bene. 

Siamo parassiti.

LG: Nel 2003 hai pubblicato il volume “Le canzoni dei Radiohead”. Su quale artista o band odierna (italiana o straniera) scriveresti ora?


MM: Bhè quel lavoro me l'avevano commissionato, bisognerebbe chiedere a una casa editrice su chi mi farebbero scrivere. Visto che ho scritto anche diverse Guide Rock (Inghilterra e Irlanda), ossia guide turistiche basate su fatti e luoghi della scena musicale di quei paesi, mi piacerebbe scriverne una sull'Islanda, paese che amo molto, e che è da decenni fiorente e stimolante per Musica e Arti, grazie all'attenzione del settore pubblico che incentiva e promuove le iniziative culturali, ma anche perchè per la popolazione locale la dimensione creativa e artistica fa parte della vita quotidiana, che sia suonare una strumento fin da bambini, dipingere o disegnare abiti.

LG: Grazie Monica.


MM: Grazie a te Luca, lunga vita a collettivoinconscio!




 



Per approfondire:

www.agiantleap.info


Commenti

Post più popolari