MARCO MILANESIO: TRASVERSALI OGGETTI SONORI

 

 



In una Torino da sempre ricchissima di fermenti artistici anche se spesso poco visibili a causa del fumo delle industrie e di un certo andamento generale che vede con sospetto tutto ciò che esula dalla seriosa routine giornaliera si aggirano musicisti alieni nello spirito, mossi dal bisogno incondizionato di comporre, registrare, suonare. Nel quartiere Aurora si trovano gli O.F.F. Studio e all’interno di essi Marco Milanesio, come un artigiano, tesse con cura i fili dei suoi progetti personali, di innumerevoli collaborazioni e produzioni di altri valenti musicisti che si affidano alla sua esperienza.



LG: Quali analogie e differenze vi sono tra il tuo progetto solista più recente,9cento9, e lo storico DsorDNE ?


MM: Ciao Luca, un saluto ai tuoi lettori e un ringraziamento a te per questa intervista.

DsorDNE nasce a metà degli anni 80 come evoluzione della band post punk NOVOSTJ.

Sostanzialmente si configurava come collettivo musicale ma che faceva perno principalmente su di me e su Ongaro Roberta come autori delle musiche e dei testi, un collettivo che si apriva alle collaborazioni e di volta in volta negli anni venivano coinvolti altri amici musicisti.

Tra quelli più presenti voglio citare Luciano Gelormino e Cristiana Bauducco.

9cento9 nasce invece per realizzare i miei lavori solisti mantenendo per DsorDNE, ancora attivo, i progetti portati avanti sempre in collaborazione con altri musicisti.

Tra i dischi realizzati cito su tutti l'album E' UN SOLE, originariamente prodotto per l'etichetta HAX Materiali per la comunicazione, anch'essa gestita come collettivo da DsorDNE, Marco Pustianaz (fondatore di SNOWDONIA), Massimiliano Gatti (fondatore di BEKKO BUNSEN e LUNHARE) e Guido Lusetti. Il disco è stato successivamente ristampato nel 2018 da DARK ENTRIES.



LG: Reflected affronta in modo inconsueto il tema dell’isolamento e dell’emergenza sanitaria, trasfigurandolo come fosse un incubo kafkiano: ti ritrovi in questa affermazione?


MM: Assolutamente sì, Reflected nasce, come per molti lavori di una miriade di musicisti e artisti, durante il lockdown.

In quella situazione anomala Reflected ha voluto rappresentare per me ciò che sarebbe dovuto restare alle spalle, come anche un percorso che potesse attraversare quegli spazi deserti e quei momenti inaspettati ed estranianti disegnandone i contorni. Il lavoro si snoda attraverso più steps creando diverse fasi legate a stati emozionali prendendo spunto anche dai panorami sociali che sembravano delinearsi. Era ormai evidente la consapevolezza che ciò che si continua tuttora a definire normalità fosse oramai una fase superata e che il cambiamento nella vita umana che già in passato veniva evocato sembrava concretizzarsi davanti a noi.

Si trattava di considerare questo evento straordinario come un’occasione.

Purtoppo;come abbiamo potuto verificare, l'occasione è stata sprecata. I propositi si sono infranti contro il muro delle abitudini e dell'incapacità di riuscire ad operare il cambiamento mettendo in luce le debolezze del genere umano oramai assoggettato a schemi ormai vetusti e incompatibili con le attuali necessità della maggior parte della popolazione mondiale. Schemi però compatibili con quella minima parte della società che da questa situazione avrebbe tratto i propri profitti.

Un evento di portata mondiale di cui si è sottovalutata la capacità di poter portare verso un cambiamento.

Come dici giustamente una trasfigurazione del tema dell'isolamento e dell'emergenza sanitaria che non ha avuto tenuta sia nel contenere il virus che nel salvaguardare le altre emergenze affossando quella sanità sempre meno pubblica e ancora più inefficace nei confronti delle fasce più deboli.

 

 



LG: La città di Torino sembra essere il nostro comune denominatore: gotica, un po' misteriosa, allo stesso tempo elegante e vittima del degrado, alimenta da sempre oscure leggende. Raccontaci cosa significa essere musicisti in questa città, colma di arte eppure troppo spesso poco incline a promuoverla.


Essere musicisti in una città come Torino trovo che, come in passato, ancora adesso continui ad essere stimolante. Per mia stessa esperienza posso affermare che l'arricchimento nato dalle collaborazioni é stato spesso di buon livello; certo ora è un momento in cui ancora si è in confusione a causa dell’emergenza sanitaria ma voglio sperare che continuando ad esplorare si traccino nuovi sentieri.

E' vero anche che riesce ad essere città elegante ma al tempo stesso degradata: è il dualismo una delle sue caratteristiche principali. Ha una grande storia ma è stata anche bistrattata dagli insediamenti industriali che ne hanno trasfigurato la portata culturale economica e di organizzazione sociale.

La FIAT è il caso emblematico: per decenni ha imposto orari e abitudini e offerto una qualità della vita e del lavoro mano a mano sempre più livellata verso il basso. Entrambe queste caratteristiche hanno però dato modo alle sensibilità degli artisti di trovare le argomentazioni per realizzare le proprie opere con contenuti sia a tema sociale, direi anche politico, sia culturale, diventando parte attiva nel proporre alternative e disegnare il tessuto sociale.

Negli anni 80 Torino, se non sbaglio, vantava il più alto numero di band di ogni altra città italiana e con il tempo è arrivata a produrre artisti di talento.


LG: Sei fonico, produttore e sound-designer. Nell’era delle produzioni digitali DIY questi ruoli vengono spesso confusi e i musicisti si ritrovano (per scelta a volte ma sovente per ragioni economiche) a dover saltellare da un ruolo all’altro. Posto che non è possibile improvvisarsi produttori puoi comunque elargire qualche prezioso consiglio in merito all’arte di registrare i suoni?


MM: Coltivo la mia idea di registrazione sonora nello studio OFF insieme a Fabrizio Modonese Palumbo, con il quale è diventata oramai ventennale la collaborazione, e Paul Beauchamp.

Come giustamente dici non è possibile improvvisarsi in tutti quei ruoli che la registrazione di una produzione musicale richiederebbe e meriterebbe, per poter arrivare a compimento. Certo, è noto che la tecnologia ha reso possibile ai musicisti arrivare a gestire con poche attrezzature molto di quel lavoro che anni fa era possibile realizzare solamente rivolgendosi ad uno studio di registrazione professionale... ma va da se che non basta avere solo le macchine, e in ogni caso su queste macchine, software o hardware, il consiglio è di spenderci del tempo per comprenderne al meglio il funzionamento.

Solitamente, come dici, le ragioni di questo improvvisarsi sono di ordine economico (tralascio volutamente di commentare chi lo fa per scelta). Ed è dato di fatto che ora come ora produrre un'opera musicale non porta certo nella maggior parte dei casi ad avere guadagni tali per potersi permettere le figure professionali adatte.

La perla di saggezza che posso permettermi di dare per sommi capi (di certo la risposta dovrebbe essere più articolata e magari approfondita in altra sede se ci sarà modo) è di gestirsi in autonomia quanto è alla propria portata ma di avvalersi anche delle capacità di un professionista quando si affrontano le fasi più delicate come ad esempio una ripresa microfonica complessa, oppure un arrangiamento, o dare corpo al mix del brano per una produzione ottimale.

Per quanto possa sembrare scontato occorre precisare che una registrazione casalinga del cantato o di una batteria quasi sempre risulta scadente, mentre magari una parte di tastiere o una programmazione può risultare più convincente.

Purtroppo il fai da te raramente porta al compimento di una produzione degna di nota e consiglio da sempre di investire due soldi nel proprio lavoro.

Una realizzazione che si avvicina il più possibile all'idea musicale che si ha in mente ha maggiore possibilità di venire notata ed apprezzata ed è più facile raggiungerla se si coinvolgono le figure adatte. Se realizziamo un opera che non ci soddisfa, limitando le possibilità di lavorarci, va da se che molto probabilmente non andrà a buon fine scontentando tutti per i troppi compromessi.

 

 





LG: Nel corso dei decenni hai avuto modo di confrontarti con le diverse tecniche di sintesi, dalla sottrattiva alla FM, dal sampling alla sintesi granulare. Ritieni siano tutte complementari ed indispensabili oggi per coloro che fanno ricerca timbrica? Nel campo dell’elettroacustica stiamo invece assistendo ad un graduale allontanamento dai sintetizzatori a favore di tecniche miste, del field recording, della manipolazione di campioni provenienti dal mondo reale. E’ il preludio ad un cambiamento nel modo di intendere la musica elettronica?


Che domandona questa. Di base resto del parere che più tecniche si conoscono e si utilizzano più alta è la possibilità di dare corpo all'idea che si ha in mente per cui posso dire che le reputo complementari anche se non indispensabili. Dipende anche molto dal genere musicale: alcuni generi non richiedono una ricerca sonora particolarmente sofisticata al contrario di altri nei quali invece la ricchezza e la precisione timbrica sono una parte imprescindibile.

Personalmente le tecniche miste sono quelle che preferisco adottare. Completare un suono ottenuto in sintesi missandola con una registrazione in field recording o viceversa, mi aiuta tantissimo a realizzare un timbro sonoro, oltre al fatto che mi diverte parecchio.

Vale sia per la produzione musicale che per la sonorizzazione. Praticando entrambe le discipline alla fine vengo stimolato nel fonderle per realizzare magari tessiture sonore più complesse, più mirate.

Ma non lo ritengo un cambiamento, piuttosto l'evoluzione di un discorso che trova le sue radici già negli anni 50 e 60 con i primi esperimenti di elettronica ed elettroacustica. Chiaramente, come detto prima, ora è molto più agevole rispetto al passato sperimentare. Ricordo che quando si operava solo con il nastro e non con un software avevi un solo tentativo per realizzare una stratificazione di suoni o un taglio del nastro. L'analogico non permetteva il ctrl (o cmd) z!

Poi voglio pensare che il modo di intendere e utilizzare il suono possa venire comunque associato a una condizione motivata piuttosto che semplicemente ad inventare una timbrica fine a se stessa.

Per quanto mi riguarda, quando faccio ricerca desidero poter utilizzare il suono per vestire un concetto, un’idea, una scena o un paesaggio... è un oggetto sonoro.

Nel caso di una composizione musicale capita che l'approccio a volte debba e possa essere diverso ma di base sono la melodia e la parte strumentale suonata che mi ispirano per trovare il suono adatto.

Aggiungo ancora che comunque resto sempre affascinato quando mi capita di lavorare con musicisti che fanno del timbro del loro strumento la loro cifra stilistica, ad esempio sfruttando le capacità timbriche della chitarra e del suo ampli o dello strumento acustico a corda, fiato o percussivo.

Il gesto di chi sa gestire il proprio strumento spesso vale più di mille ricerche timbriche.... mi scuso per la mancanza di linearità nell'esprimere questi concetti ma la parte visionaria è sempre trainante per me sia quando realizzo una canzone sia quando esploro un territorio sonoro.

 

 



LG: 6601 è la traccia conclusiva di Nastrophy, disco appartenente ad un altro tuo progetto, 0X0 (insieme a Antonio Caputo): nelle note di copertina viene definita “post-everything”. Quando tutte le correnti sonore si saranno calmate e tutte le rivoluzioni musicali combattute, in un tempo forse in cui non esisteranno più etichette discografiche e la musica che oggi si definisce liquida sarà evaporata del tutto, cosa si potrà mai ascoltare?


Non ho mai nemmeno immaginato si potesse arrivare a non poter più ascoltare musica. Ma viene comunque spontaneo associare la sovrapproduzione musicale attuale ad una situazione analoga al non ascoltare. Il proliferare di produzioni nel formato cosiddetto liquido fa sì si che chiunque possa pubblicare qualunque cosa. Questo se da una parte rappresenta la possibilità di potersi anche autoprodurre, liberandosi ad esempio dal dover dipendere da una etichetta discografica o di dover comunque passare al vaglio di produttori esecutivi, dall'altra parte questa libertà offre però come controcanto il finire per saturare il mondo delle realizzazioni musicali rendendo sempre più difficile districarsi nella ricerca di nuove proposte.

In passato era necessario produrre su un formato fisico il che comportava dover investire forze e finanze nella stampa e nella distribuzione. Era un filtro naturale che permetteva di fare in modo di arrivare a quel punto con un lavoro che si riteneva organico e degno di venire proposto. Per degno non intendo entrare nel merito di giudicare della musica bella o brutta (per me esiste musica che piace o che non piace) ma evidenziare che lo sforzo vincolato alla realizzazione su supporto fisico non ti faceva pubblicare, come purtroppo sta succedendo, tutto tutto … ma proprio tutto...

 

LG: Grazie.

 


 

Per approfondire:

https://9cento9.bandcamp.com

https://humancreative.bandcamp.com

https://bandcamp.com/tag/o.f.f.-studio-torino

E-mail: dsordneofficial@gmail.com

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