SIMON BALESTRAZZI/PAOLO SANNA: INTERRUZIONI IMPROVVISATE

 

 


 

 

 

Simon Balestrazzi, musicista elettronico ed elettroacustico.

Paolo Sanna, percussionista.

Insieme creano e modificano in modo estemporaneo le loro visioni sonore.

Disrupted Songs (Dissipatio, 2021) è la testimonianza del loro metodo compositivo: un esempio colto e maturo di ricerca sperimentale libera da schemi.



LG: iniziamo dal titolo del vostro lavoro più recente, Disrupted Songs, letteralmente “canzoni interrotte”. Non esistono canzoni in questo lavoro. Perché allora scegliere un titolo simile?

 

Paolo: Per ironia. O anche per visioni varie che fanno nascere i titoli da percorsi mentali tortuosi. Ci piaceva considerare questi pezzi delle songs.

Simon: Delle canzoni con nessuna possibilità di diventare veramente tali.

 


LG: Esiste un rapporto diretto tra libera improvvisazione e misticismo?

 

Simon: Faccio molta fatica ad immaginare un rapporto diretto, di certo non nel nostro caso. In alcune occasioni e contesti un approccio “estatico” all’ improvvisazione free form magari potrebbe portare a stati altri ma per noi si è trattato di una scelta di campo, la scelta di una prassi esecutiva.

Paolo: L’improvvisazione è una delle prassi esecutive possibili. Spesso in occidente si fa l’errore di associarla alla sperimentazione e a mio parere non c’è cosa più sbagliata, infatti una musica non scritta non è necessariamente una musica improvvisata. Basta pensare alla musica di un gamelan, ad un raga, che è legato a stagioni, ore del giorno o della notte e a moltissime altre musiche classiche e popolari del Mondo. Considero la libera improvvisazione la prassi esecutiva più complicata da usare in musica, perché bisogna avere notevole padronanza tecnica degli strumenti suonati, buon gusto, giuste visioni creative.



LG: Disrupted Songs mi è parso come un ritorno all’origine stessa del concetto di musica, prima dell’avvento della visione matematica di quest’arte, come se aveste voluto riavvolgere il nastro del tempo fino al principio in cui c’è solo voce e istintualità e immediatamente dopo il rumore come indagine primaria sul suono.

 

Paolo: Per me Disrupted Song è l’incontro tra due creativi che pongono la sperimentazione al centro dei loro interessi utilizzando come prassi esecutiva la libera improvvisazione.

 

 

 


 

 

LG: Quali elementi del vostro background artistico e musicale avete sentito indispensabili per affrontare Disrupted Songs?

 

Simon: Tutti e nessuno… ogni esperienza rimane con me, latente od esplicita che sia. Di certo ci siamo impegnati a scardinare la bag of tricks che ogni improvvisatore porta con se e il fatto di avere in passato suonato insieme in così tante occasioni ci ha sicuramente favorito.

Paolo: Io e Simon ci conosciamo da prima che si stabilisse in Sardegna. Ci incontrammo nel mio spazio/studio perché cercava un gong da comprare e io ne avevo uno in vendita. Lo prese e lo strumento è ancora con lui. Siamo tra i fondatori del MOEX Ensemble, un collettivo elettroacustico che ha ospitato tra i vari collaboratori Tim Hodgkinson, J.M. Montera, Victor Nubla e altri. Il punto in comune tra noi è che siamo degli sperimentatori con proprie visioni, io sono un percussionista acustico, Simon è un musicista elettroacustico, anche se in realtà è riduttivo definirci tali. L’incontro tra noi, per tutti questi motivi, è stato molto piacevole oltre che semplice…

Simon: tra l’altro proprio quel gong è stato usato da Paolo per queste registrazioni…

 

LG: La collaborazione tra due artisti è spesso vista come una lama a doppio taglio perché è necessario ridimensionare la propria personale visione artistica per lasciare spazio alla controparte.

 

Simon: Sinceramente non vedo nessun ridimensionamento nel lavorare con un altro musicista, anzi lo trovo uno stimolo fondamentale ed indispensabile. Anche lavorando, come abbiamo fatto, in territori contigui all’improv non idiomatica, lontana dall’utilizzo di linguaggi più o meno formali ma precostituiti, si viene a costruire una terza visione che è spesso più potente della somma delle due.

Paolo: Considero il duo come la migliore possibilità che posso affrontare per praticare la libera improvvisazione. Certamente come dicevo prima ci vuole parecchia conoscenza per praticarla e svilupparla durante una performance. Il “vantaggio” tra noi due è ciò di cui appunto dicevo prima.

 

LG: Il rumore, quando non è inserito come elemento marginale in un contesto musicale canonico ma è lasciato libero di propagarsi nell’aria acquista una particolare energia da un punto di vista sonoro.

 

Simon: Non sono mai riuscito a considerare il “rumore” come altro rispetto alla “musica”. Il mio principale interesse è l’organizzazione del suono, qualsiasi ne sia la fonte. Le mie prime esperienze musicali sono state come chitarrista classico ma ho smontato e preparato la mia prima chitarra quando avevo solo 15 anni…

Paolo: Ormai da talmente tanti anni non mi pongo più il problema di distinguere il suono dal rumore, non sono interessato a farlo, qui parlo delle mie visioni, molto personali, legate a tecniche estese, strumenti preparati, sciamanismo di diverse parti del Mondo, sculture sonore che creo o assemblo. Interessandomi anche di field recording lascio aperta ogni possibilità possibile che trovo interessante. Le varie collaborazioni che negli anni sono arrivate e sono state documentate su disco lo dimostrano chiaramente. Un lavoro come Kio Ge, per citare il primo cd che mi viene in mente, in trio con Jeph Jerman e con Giacomo Salis, percussionista creativo come pochi, lo dimostra chiaramente. In questo lavoro abbiamo usato una mole di oggetti sonori recuperati.


LG: Grazie.


Simon e Paolo: Grazie a te.

 

Per approfondire:

 https://simonbalestrazzi-paolosanna.bandcamp.com/album/disrupted-songs


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