KUAN: IL SANTUARIO DELLE STELLE MORENTI

 

 


 

Nel mese di ottobre 2021 i fiorentini Kuan (Lorenzo Squilloni e Lorenzo Vicari) rilasciano due dischi di grande fascino, Death of a Sun e Sanctuary (quest'ultimo presentato come un'unica traccia che raccoglie gli outtakes di Death of a Sun). L'improvvisazione chitarristica è il fulcro del loro suono e in particolare Sanctuary ci permette di gustare una vera e propria session in cui le invenzioni timbriche e melodiche si susseguono senza sosta: il paesaggio sonoro rimanda inevitabilmente al krautrock, al minimalismo elettrico, con epici ed improvvisi roghi doom che aggiungono drammaticità ad un lavoro di ampio respiro. 


 

LG: Quale percorso vi ha portati a fondare il progetto Kuan? Quale messaggio si nasconde dietro il vostro nome?


KUAN: Il progetto è nato dallla volontà di sperimentare con amplificatori valvolari ad alto volume, per capire come reagissero a quei livelli. Per questo ci siamo trovati in sala prove, unico posto in cui una cosa del genere sia fattibile, e abbiamo iniziato a improvvisare, con in mente generi quali drone, doom e kraut rock (Lorenzo Squilloni aveva in mente l’album Cluster dell’omonima band).

Per quanto riguarda il nome tutto il merito va a Lorenzo Squilloni, è lui che lo ha trovato e io ero pienamente d’accordo. In particolare mi piaceva molto il significato dell’esagramma Kuan nell’I-ching, ovvero “contemplazione”. Penso si addica bene alla nostra musica, che credo evochi vari paesaggi sonori.


LG: Come per altre band dal suono sperimentale anche voi sembrate subire il fascino dell’Oriente.


KUAN: Sono d’accordo, ma penso che questo non sia intenzionale. Sicuramente il nome richiama quelle atmosfere e l’uso di alcune scale può ricordare quei mondi, ma penso che la nostra musica possa evocare molteplici paesaggi, non limitandosi ad una particolare area.

 

 



LG: Nei vostri lavori è evidente una decisa deriva psichedelica: quali canali mentali è necessario aprire per essere trasportati nel santuario?


KUAN: Prima di tutto penso che sia fondamentale avere tempo a disposizione vista la lunghezza delle nostre tracce. Oltre a questo sicuramente ci ispiriamo tra le altre cose a generi quali la psichedelia degli anni '60 e il kraut rock, quindi credo che conoscere quei generi possa aiutare.

Oltre a questo in conclusione direi che la nostra musica possa fare presa su qualcuno che voglia ascoltare qualcosa di nuovo e magari non già sentito, visto che non penso si possa inquadrare in un genere particolare, ma sia frutto di una miscela di varie ispirazioni.


LG: La cover art di Sanctuary è in contro tendenza rispetto allo stile grafico odierno: mi fa pensare a Xanadu di Coleridge.


KUAN: La cover art, come le cover di altri nostri album, è stata fatta dalla nostra amica Ambra Corso.

Anche lei, come noi, fa l’artista per passione e ci piacevano molto le sue opere.

Quindi è stato naturale utilizzare i suoi dipinti, come abbiamo utilizzato per l’ultimo album, Death of a Sun, le opere di Zabuba Nevresky, altro nostro amico.

Siamo autoprodotti e ci autodistribuiamo, tutto il progetto è orgogliosamente DIY quindi ci fa molto piacere collaborare con altre persone che coltivano la loro passione nonostante tutto.

 

 



LG: Il concept alla base di Death of a Sun è intrigante: quale relazione esiste tra il ferro, il suo numero atomico e il contesto del disco?

 

KUAN: Normalmente noi creiamo il disco e poi pensiamo ad un ispirazione per il titolo.

Anche per quest’ultimo dopo averlo registrato l’idea del titolo è arrivata da Zabuba Nevresky che ci ha fatto la copertina e ci ha dato questo concept della morte di una stella, che in una delle ultime fasi produce appunto ferro, il cui numero atomico è il 26.


LG: In Sanctuary si respira un’atmosfera di estasi improvvisativa: le idee sonore e melodiche si susseguono come strati di un’unica densa nube che lentamente si espande.


KUAN:Tutti i nostri lavori si basano sull’improvvisazione. Può capitare di arrivare in sala con un’idea musicale da cui partire, ma poi il resto arriva spontaneamente attraverso il flusso del suono.

Ci piace molto questa idea, non escludiamo magari in futuro di lavorare con qualcosa di più strutturato, ma per ora siamo molto soddisfatti di questo “format”.

Siamo entrambi molto influenzati dal jazz quindi crediamo che per ottenere suoni “nuovi” e non convenzionali l’improvvisazione sia un elemento molto importante.

Crediamo anche al tempo stesso che tale aspetto possa penalizzarci di fronte al pubblico generalista, visto che capiamo come tracce molto lunghe possano scoraggiare l’ascoltatore casuale, ma alla fine suonare ci dà gioia, quindi non ci importa se la nostra musica rimarrà un po’ di nicchia.


LG: I mantra elettronici (chitarristici nel vostro caso), tra glissando, ripetizioni minimali e progressive moltiplicazioni di echi sono la rappresentazione contemporanea dei viaggi spirituali?


KUAN: Moltissime persone, nel descrivere la nostra musica, hanno utilizzato il termine viaggio ed effettivamente penso sia azzeccato per quello che facciamo.

Al tempo stesso penso che qualsiasi musica preveda la ripetizione ossessiva di alcuni passaggi (si pensi al drone, ai raga indiani, a certa musica elettronica) favorisca un senso di viaggio e di riflessione su noi stessi.

Credo che nel mondo contemporaneo sia molto importante per le persone trovare momenti e spazi da dedicare alla riflessione e credo che la musica possa essere un ottimo modo di farlo.


LG: Grazie.

 

KUAN: Grazie a te per averci intervistato.

 

 


 

 

Per approfondire:

kuan.bandcamp.com


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