"FU UNA BELLA STORIA": LIBERO DIALOGO CON ARLO BIGAZZI - PARTE TERZA

 

credits: Alex Dematteis

 

 

LG: Di Sempre Sofia citerei Non si rendono conto che ha una splendida linea di basso e un synth che mi ha fatto pensare a Becalmed di Eno (da Another Green World). Pezzo intenso come tutto il disco del resto.


AB: Sì, è possibile. Anzi: sicuramente. Anche se me ne rendo conto solo adesso con la tua osservazione. Come fare a non rimanere influenzati da Brian Eno? Qualche reminiscenza ci sta che esca fuori, non è possibile altrimenti. L’ho pure attentamente studiato quando produssi e partecipai come bassista all’album di Arturo Stateri, CoolAugust Moon. Ventun’anni fa, cavolo... Era un lavoro dedicato a una rilettura delle musiche originali di Eno in chiave acustica, per pianoforte e, in alcuni brani, con un ensemble quasi cameristico.


LG: Fuori dal Pozzo invece è una tua produzione che inizialmente mi ha disorientato: le atmosfere della traccia di apertura non mi erano del tutto congeniali ma proseguendo devo essermi gradualmente allineato alle coordinate sonore del disco che si è rivelato infine molto viscerale.

 

AB: Già, Fuori dal pozzo. Disco realizzato con Enrico Fink, cantante e studioso di tradizioni e musica ebraica. Con lui ho lavorato una dozzina di anni, un paio di CD, tanti e diversi spettacoli dal vivo. Molto ancorato alla tradizione, pur rivisitandola con stili diversi. A un certo punto nacque l'idea di scrivere brani originali ma che prendevano spunto da melodie, armonie e testi della tradizione e dalla cultura ebraica. Fu progettato e arrangiato per un organico che vedeva solo arpa, salterio, percussioni, violino, ovviamente il basso ed Enrico voce e flauto. Poi decidemmo di coinvolgere l'organico di Cantierranti, con il quale avevamo fatto vari concerti e il DVD Senza Padrone. Nella mia testa c'era l'idea di usare suoni acustici e tradizionali ma con approccio rock, se non elettronico. Non so se ci sono riuscito, di certo mi sono divertito. 

La collaborazione discografica con Enrico era iniziata con la produzione del suo Il ritorno alla fede del cantante di jazz. Avevo lavorato per una parte delle musiche di un suo spettacolo teatrale, Yohna, lui ne era rimasto contento e mi propose di produrgli il disco a cui stava lavorando ma dove non riusciva a tirarci fuori le gambe. Coinvolsi Guglielmo Ridolfo Gagliano, adesso collaboratore fisso dei Negrita, che mi aveva affiancato come tecnico alle musiche dello spettacolo. Il progetto è sul canto sinagogale di tradizione italiana. Io suono il basso in qualche brano e – con Guglielmo – intervenni pesantemente negli arrangiamenti e con l’uso di suoni elettronici o campionati. Mi sembra un lavoro interessante anche se ho avuto l’impressione che non sia stato molto apprezzato dalla comunità ebraica e della quale Enrico fa parte. In fin dei conti sono preghiere e forse eravamo stati un po’ troppo “blasfemi”…  

 

 

credits: Monica Conserotti

 

 

LG: Un tuo disco che ritengo davvero notevole è Polvere nella mente. Il brano Van A Borrarme l’ho riascoltata più volte e l’ascolterò ancora. E’ disarmante. Tutto il lavoro è di grande suggestione, coeso ed equilibrato. 

 

AB: Mi fa molto piacere quello che dici. Van A Borrarme è uno dei miei brani preferiti, insieme a The Dream of Imber. So che piacque molto a Claudio Rocchi che lo inserì mentre mi intervistava su Radio RAI. Dopo aver lavorato per una decina di anni come produttore e tecnico del suono, decisi di provare a fare un album mio. Troppo facile intervenire e criticare la musica degli altri... Cercavo un tema che mi ispirasse e mi venne l'idea di dedicarlo ai nativi americani, per i quali avevo un debole fin dall'adolescenza. Dimenticai Custer e Ombre Rosse appassionandomi alla loro cultura quando, nel ‘73, scoppiò la rivolta nella riserva di Pine Ridge. Quindi mi feci una bella scorpacciata di libri e articoli per cercare di capire cosa diavolo suonassero. Non era ancora scoppiata la moda, poi finita, dei nativi ed era piuttosto difficile procurarsi materiale. Avevo solo un vecchio disco pubblicato da Albatros. Iniziai a lavorarci tra il ’90 e il ’91, su Atari 1040. Da buon masochista invece di provare a cavalcare l'onda che esplose nel ’92 per le attenzioni che provocò il cinquecentenario della scoperta delle Americhe, aspettai che passasse la polemica e il CD uscì nel ‘94. È l'unico album dove mi ricordo la maggior parte della lavorazione. 

Gli strumenti "prìncipi" sono la chitarra acustica ma con pick-up, suonata da Paolo Lotti, Fabio Capanni e Alessio Monsecchi che erano principalmente chitarristi elettrici e spesso, nelle parti improvvisate, li obbligavo o mi raccomandavo che suonassero poche note, su microscale, visto che così facevano i nativi. Poi il flauto traverso (suonato sempre da Paolo Lotti) e il clarinetto e clarinetto basso suonato da Orio Odori. Il basso è usato poco. M'interessava lavorare sui suoni (Song For P è un tentativo di ambient acustica, per capirsi) e poi ero anche alquanto arrugginito e poco interessato al basso, preso come ero dal lavoro in studio. Discorso particolare andrebbe fatto su Paolo Lotti. Alchimista dei suoni e amico, scomparso nel ‘97. Ti suggerisco di cercare qualcosa di lui e del suo gruppo Cudù, ad esempio Delivery, il primo album che ho veramente prodotto, registrandolo e mixandolo pure, per Materiali Sonori (il primissimo fu Altrove dei Diaframma e pubblicato dalla Contempo). Tante ingenuità ma mi sembra un lavoro ancora interessante.

 

credits: Federico Cassandrin


LG: Di Polvere mi ha colpito come non hai fatto un uso citazionistico della musica nativa ma hai preferito mutuarne alcune peculiarità inserendole in un contesto sonoro già tuo. Direi che è indiano nello spirito e secondo me è un grande risultato. Troppa world music è spesso un frullato posticcio di culture: qui invece si nota uno studio e un’assimilazione del sostrato culturale a cui si fa riferimento.


AB: Sì, cercavo altre vie per fare world music. Concordo pienamente sul “frullato posticcio” di certe produzioni del genere. Diversamente da queste, volevo rimanere “europeo, ricco e colto” – perché questo siamo – ma che riconoscesse l’importanza della cultura dei nativi e anche il disastro che avevamo combinato. Un genocidio in piena regola. Mi sarei sentito stupido a far finta di fare il Sioux. A questo punto ci sarebbero ancora un paio di lavori che vorrei citare ma non vorrei che tu arrivassi ad odiarmi…

 

 

credits: Monica Conserotti



LG: Non preoccuparti, sono altre le cose che odio nella vita... Piuttosto inizio a non starti più dietro con gli ascolti ma gradualmente recupero. Fatico a trovare un equilibrio in questo periodo tra le mille attività da seguire…


AB: Va sempre trovato un equilibrio. Lo troverai. Allora chiuderei con Keen-O - Nobody knows how and why ossia Il lavoro dove più mi riconosco, seppur composto e realizzato con Pier Luigi Andreoni, Roger Eno e Blaine L. Reininger. 

 

LG: Di questo disco è molto, molto bella Elegy of Himself, un’atmosfera di raccoglimento quasi sacrale. E il contrasto tra gli archi e il primitivismo cibernetico delle percussioni che percorre tutto il lavoro lo rende estremamente interessante.


AB: Elegy è una sorta di preghiera laica di un condannato a morte. E Blaine è stato fantastico nell’interpretarla. I brani originali provengono da un lavoro che avrebbero dovuto realizzare Pier Luigi e Roger.

 

Io – per Materiali Sonori che avrebbe stampato l’album – avrei solo dovuto seguire le registrazioni, dare un mano ma senza intervenire più di tanto nella produzione. Il problema fu che mi nacque la figlia proprio in quei giorni (settembre ‘97 e Roger fu il primo a venire in ospedale…) e non fui in grado di presenziare neppure a un giorno di studio. D'altra parte avevo da tenere tra le braccia la mia migliore co-produzione. Il problema loro fu che arrivarono a capo di niente e le registrazioni rimasero negli hard disk. Mi sembra fu nell’estate del ‘99 che mi ascoltai quelle registrazioni. Ormai mi stavo abituando ai ritmi del padre e riprendevo a organizzarmi la vita. Era roba interessante. Non ricordo bene, ma credo di aver messo mano a suoni e strutture di un paio di brani e di averle poi inviati a Pier Luigi. "Che ne pensi? E se mettessi mano a tutti?". Decidemmo così che sarebbe divenuto un disco a tre e decisi di avvalermi del supporto di Lorenzo Tommasini. La pre-produzione me la feci a casa e poi passai da lui per le sovraincisioni e mix. Non contenti, pensammo bene – oltre ad altri amici - di coinvolgere anche Blaine L. Reininger. Ci toccò rincorrerlo per un anno e mezzo per trovare quattro o cinque giorni dove potesse venire a registrare in studio. Avrebbe dovuto registrare su tre/quattro brani e finì come è finita: ha suonato e cantato praticamente in tutto l’album e ne valse la pena. Il clima tra noi era veramente ottimo. Con Pier Luigi, che eravamo i maggiori responsabili, ci fu un’intesa totale. Spesso non ricordavamo se un intervento lo avevo fatto io o lui. E Lorenzo, praticamente, divenne il quinto elemento.

Fu una bella storia.



LG: Mi fermerei qui. Il materiale è tanto e ci vorrà tempo per organizzarlo.


AB: Sì, direi. Mi sembra già tanta roba anche se tanta l’abbiamo lasciata da parte. Ma direi che va bene così.



Grazie a Arlo Bigazzi



credits: Federico Cassandrin

 

 

Per approfondire:

https://it.wikipedia.org/wiki/Arlo_Bigazzi

https://it.wikipedia.org/wiki/Materiali_Sonori

http://www.matson.it/





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