DANIELE LEDDA: MONOLITI MECCANICI TRA LE SABBIE LUNARI

 


 

Compositore, artista multimediale, docente di Musica Elettronica presso il Conservatorio di Cagliari, autore di ambienti sonori per mostre d'arte: Daniele Ledda è un instancabile esploratore di crateri gorgoglianti nella cui oscurità si amalgamano scrittura, parola, visione e ascolto. 

Emblematico a questo riguardo è il suo progetto Clavius, radicale ridefinizione del concetto di strumento musicale, non più simulacro inviolabile con cui il compositore deve scendere a patti ma artefatto suscettibile di drammatiche mutazioni.

 

 

LG: Nascita ed evoluzione di Clavius, il tuo progetto più recente.

 

DL: Clavius è un progetto di costruzione e modifica che si snoda attorno agli strumenti a tastiera tradizionali. Il primo strumento, Clavius_8, ha richiesto la scomposizione dello strumento pianoforte, separando il sistema tastiera-martelli, che costituisce la meccanica, dalla cordiera, e sostituendo quest'ultima con una serie di altri oggetti che vengono percossi dai martelli modificati.
Il secondo strumento, Clavius_3, è un clavicordo ibrido che usa il sistema a tangenza e la tecnica "tapping" chitarristica; ha inoltre delle corde libere messe in vibrazione da un campo elettromagnetico e da un arco.

Il terzo strumento, Clavius_7, prevede l'aumentazione del pianoforte tradizionale che viene privato della naturale risonanza acustica per favorire un trattamento elettronico complesso del suono. Inoltre prevede l'aggiunta di alcuni pedali che creano delle variazioni timbriche sulle corde e dei sensori che tendono a rendere lo strumento aumentato. Sono attualmente in fase di studio strumenti che prevedono la modifica e l’ibridazione di un organo a fiato, di una tromba e di un sintetizzatore gestuale.
Il nome Clavius è un riferimento al cratere lunare e indirettamente al film 2001 Odissea nello Spazio. Il suffisso "clavi" è presente in varie lingue per indicare la tastiera negli strumenti musicali e questo è il legame con lo strumento della mia formazione, cioè il pianoforte.

 

LG: Gli strumenti che utilizzi per le tue performances sono da te pesantemente modificati: in un momento storico come il nostro in cui è possibile accedere ad ogni tipo esistente di sintesi (potendole anche incrociare tra loro) hai scelto decisamente la strada più complicata per un musicista.


DL: L’era digitale ci ha sradicato dalla fisicità degli strumenti. Per questo motivo ho sentito la necessità di recuperare questo rapporto, non in senso passatista ma con l’idea di aumentare la dimensione fisica con quella virtualizzata del software. Pur insegnando al Conservatorio Informatica Musicale ritengo opportuno andare verso una digitalizzazione che recuperi la fisicità, un panorama tecnologico che non dimentichi il nostro bisogno tattile e sensoriale. Del resto il recupero di tecniche analogiche in fotografia (Polaroid) o nel disco in vinile hanno questo significato.

Quindi in definitiva sono per l’aumentazione, la convivenza parallela di uno strato fisico ed uno virtuale-digitale. Tutti i miei strumenti hanno queste due dimensioni.







LG: Lo Studio III sembra una amalgama di arte concettuale, John Cage e ossessione informatica: una performance sonora che trascende nel teatrale.


DL: Quelli che hai elencato sono in realtà tutti gli elementi che in sostanza mi interessano. John Cage lo ritengo un artista concettuale, quindi sì, la concettualità è piuttosto importante ma non preponderante, del resto anche la scelta di costruirsi uno strumento è un concetto “politico”, dove alla base c’è un rifiuto nell'accettare gli strumenti “dati” dalla tradizione, dall’industria, dalla tendenza. Lo Studio III mette assieme alcune cose: un testo lasciatomi da un amico musicista, delle mie opere fotografiche ottenute con la tecnica fotochimica “cameraless”, (quella della fotografia analogica in bianco e nero), il confronto tra la digitazione per la scrittura e la digitazione per il suono, la ricerca della luce (in questo video gli strumenti sono illuminati dall’interno), quindi sì, sicuramente una azione performativa che va oltre il suono.


LG: Lo Studio X è un interessante esempio di composizione che si allontana dalle sonorità elettroacustiche ed elettroniche rielaborando in chiave molto personale alcune suggestioni delle avanguardie storiche. I rintocchi sinistri del piano annegano in un tappeto di echi percussivi, sordi boati risalgono dalle tenebre. C’è una forte valenza cinematografica nelle tue composizioni, rimarcata anche da un montaggio video di alto livello.


DL: In questo studio, convive un assetto digitale con il suono tradizionale del pianoforte, che si porta però un suo doppio virtuale che tende a “sporcare” le linee armoniche e melodiche. La parte digitale viene comunque sempre “suonata”: non è mai riprodotta, mandata semplicemente in “play”. C’è una sezione lirica, una fortemente ritmica ed una astratta, direi che rappresentano il mio trittico ideale. C’è inoltre un sistema che non è visibile, alcuni tasti possono essere abbassati con dei pedali. La produzione del video è parte integrante dei pezzi, cosa che ho realizzato da solo, luci, riprese e montaggio. In alcuni casi il montaggio video ha influenzato la forma finale dello studio. Del resto le tecniche compositive sono dei princìpi comuni in molti linguaggi espressivi, suono, parola, visione.

 


 

 

 

LG: La tua esibizione a Spaziomusica è un’ulteriore prova che la ricerca sonora di molti autori contemporanei si stia inoltrando sempre più all’interno dell’inconscio dell’uomo, alla ricerca di vie d’accesso verso realtà psichiche intangibili. Mi chiedo se l’attuale visione sempre meno lineare della Fisica contemporanea possa aver contribuito ad alimentare questo interesse.


DL: Sono molto interessato al limite verso il quale siamo diretti, un percorso dove scienza e filosofia si fondono indistinguibili spiegandosi, dove la fisicità stessa dell’uomo è messa in discussione, e dove non esisterà più una condizione “naturale”. Ma allo stesso tempo ci dobbiamo confrontare con un sentire contemporaneo, in presa diretta con il reale, un inorganico estremamente vivo e sensibile.

 

LG: Grazie.

 

DL: Grazie a te per l’interesse verso il mio lavoro. La mia sfera professionale è costituita dalla mia ricerca sul costruire nuovi modi di espressione, o forse il mio modo espressivo, che spesso passa per fabbricare da zero lo strumento, il tramite di questa espressione. Ma tengo a precisare che una parte importante di questa sfera è data dal mio lavoro di insegnante di musica elettronica al Conservatorio. La trasmissione, la condivisione e lo scambio con i miei studenti è di fondamentale importanza, per me e spero anche per loro.



 

 

Per approfondire:

www.danieleledda.com

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