ADRIANO ZANNI: IL FUTURO NON E' MAI ARRIVATO




 

 

Adriano Zanni compie una ricerca trasversale utilizzando come casse di risonanza la fotografia e la manipolazione dei suoni per trasmettere una visione della realtà in cui, in un mondo prossimo al collasso, è l’ordinario ad essere l’unica fonte di stupore. Oggetti e ambienti (visivi e sonori) divengono ultimi simulacri della realtà tangibile, incompatibili con l’inarrestabile accelerazione verso il nulla della società ma anche di molta arte contemporanea verso cui Zanni mantiene le distanze preferendo la ricerca introspettiva.



LG: È nato prima Adriano fotografo o musicista? Quando e come le due strade hanno iniziato a convergere?

AZ: La pratica del field recordings è lentamente e naturalmente confluita in quella fotografica. Si tratta di osservazione, assimilazione e costruzione di una memoria. Che sia tratti di fonografia o fotografia fa poca differenza o comunque ne fa molta meno di quanto si potrebbe essere portati a pensare.

 

 


 


LG: Passato, presente, nessun futuro è definito come una serie di appunti sonori e visivi dai primi vent'anni del nuovo millennio. I panorami musicali contenuti in questo lavoro sono per lo più nichilisti e claustrofobici: sopravvivremo al futuro?

AZ: Il futuro di fatto non è mai arrivato. Mi interrogo spesso su come ci aspettiamo il futuro e come poi nel presente questo si manifesta; pensa, ad esempio, alle aspettative che avevamo da bambini riguardo l’arrivo del nuovo millennio o alla simbolica data dell’anno duemila. Per stare al presente, la pandemia ha definitivamente chiarito ogni dubbio: dal futuro ne usciremo male o comunque molto peggio di quanto stavamo prima di entrarci. Questo è il nostro tempo.

 

 



LG: In Songs to the sirens si respira un'atmosfera meditativa, come se l'incessante muoversi delle maree faccia cadere in una lieve trance nella quale ci si immerge in ciò che Mirco Salvadori descrive come "il suono sconosciuto che si cela nel suo profondo". Cosa è e cosa non è per te il mare.

AZ: Il disco è stato concepito durante il primo lockdown. Il non poter uscire anche solo per una semplice passeggiata in spiaggia mi ha portato a riflettere sull’importanza che nella mia vita ricopre, più o meno consapevolmente, il mare. La sua mancanza è stata la molla che ha fatto scattare la realizzazione del disco. Attingendo alla memoria contenuta nei miei archivi acustici e fotografici ho cercato un modo per ovviare all’assenza fisica del mare, anche se difficilmente ci si può riuscire fino in fondo. Il mare è un’esperienza totalizzante, acustica, visiva, olfattiva ma soprattutto percettiva. Parlo di percezioni psicofisiche che variano: dalla paura di trovarsi in mare aperto al fascino irresistibile dell’osservarlo da riva fino alle mille suggestioni e sensazioni che ne derivano. Difficilmente potrei vivere a lungo in un luogo lontano dal mare.

 




LG: L'arte fotografica è principalmente un esercizio di attesa del momento esatto in cui il mondo inizia a trasfigurare per poi tornare ordinario.

AZ: In generale sono sempre intimorito e poco attratto dal termine Arte. Sono troppe le persone convinte di essere creatori d’Arte e sempre in troppi finiscono col prendersi sempre così maledettamente sul serio. Sono molto lontano dall’essere o dal considerami un artista. Scattando fotografie sono principalmente attratto dall’assoluta meraviglia dell’ordinario, dagli aspetti più apparentemente banali e marginali della quotidianità. Ci sono sempre meraviglia e bellezza nell'ordinario, basta osservare con occhi curiosi per scovarle. Per il resto non so risponderti.

 


 


LG: Sono passati vent'anni da MU, il tuo disco d'esordio.

AZ: Non cadrò nella tentazione di rispondere con frasi del tipo “cavolo, sembra ieri”. Sì, sono passati vent’anni, mi sono tutti piombati addosso e ne sento il peso come se fossero quaranta. Ci sono state e sono successe molte cose. Passato, presente, nessun futuro. Siamo qui, ora, ed è già tanto, poi si vedrà.

 


 


LG: La cura degli alberi solitari rientra nell'ambito di un progetto multidisciplinare che curi ormai da molto tempo. Le forme di vita vegetali suscitano da secoli una profonda curiosità nell'uomo, soprattutto negli artisti. Attendiamo da decenni di ascoltare un messaggio proveniente dallo spazio profondo eppure piante e alberi sono quanto di più alieno possa esserci se confrontato con l'essere umano.

AZ: Simbolo per eccellenza della vita e metafora della vita stessa, l’albero parla di noi, l’albero siamo noi. Nulla a che vedere con l’aspetto colto legato alla sua poetica, con la classificazione latina dei suoi nomi o con il romanticismo del suo valore decorativo ed estetico. Tanto meno con la nobiltà di pensiero legata all’essere testimoni del tempo attribuita a quelli secolari o all’aspetto magico e fiabesco di boschi e foreste, ma albero come la vita di tutti giorni, come la gente comune. Non si sceglie dove nascere, il vento può trasportare un seme nei luoghi più impensati, si tenta di restare aggrappati alla vita, si resiste ostinatamente, talvolta non ci si riesce e si soccombe. Mi piacciono gli alberi solitari, selvatici, malfermi, tenaci e resistenti, arrendevoli ed abbattuti, nati dove non ti aspetteresti di trovarli, quelli finti, immaginati o anche solo percepiti, quelli storti, robusti, esili oppure imponenti. Alberi, appunto. 

 

 


 


LG: Grazie.


Per approfondire:

https://adriano-zanni.bandcamp.com/

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