GIANLUCA CECCARINI: ANTROPOLOGIA DELLO SGUARDO E DELL'ASCOLTO

 


 

 

Etnomusicologo senza frontiere, liutaio specializzato nella costruzione e nel restauro di strumenti antichi e chitarre da concerto, fotografo, sperimentatore nel campo dell’elettroacustica. Gianluca Ceccarini è una figura polimorfica, in equilibrio tra l’arte antica degli strumenti a pizzico e le vaste opportunità della rete, in un mutuo scambio di rimandi e suggestioni.

I suoi strumenti sono stati commissionati da Conservatori, concertisti e allievi in Italia, Germania, Austria, Svizzera, Finlandia, Ungheria, Sud America.



LG: Il tuo è un percorso complesso che parte dall’osservazione antropologica fino ad arrivare a un connubio tra flusso sonoro e immagine visiva.

GCA: Grazie Luca per avermi invitato, sai bene quanto apprezzo il tuo lavoro di divulgazione. Sono molto onorato e felice di partecipare al tuo progetto.

Il mio percorso può apparire complesso ma in realtà per me è stato qualcosa che si è andato costruendo in maniera piuttosto naturale e direi inevitabile. I diversi campi in cui mi trovo a sperimentare oggi si sono alternati, hanno convissuto e comunque mi hanno accompagnato da sempre. Il collante di tutto credo sia stata la mia formazione antropologica. Chi ha avuto a che fare con gli studi demoetnoantropologici sa bene quanto questo tipo di esperienza sia in grado di influenzare la propria vita e soprattutto lo sguardo verso l’altro e l’altrove. 

L'antropologia, prima di essere una scienza, una disciplina accademica, è essenzialmente una modalità di osservazione del mondo, una lente, diversa e sorprendente, attraverso cui scrutare la realtà per scoprirne le infinite declinazioni. Una scienza autoriflessiva e multidisciplinare e sono forse queste due caratteristiche che più hanno influenzato il mio percorso. Ho studiato etnomusicologia e durante quel periodo mi sono appassionato alla musica etnica e all’organologia. Ho quindi cominciato a sperimentare anche la costruzione, fino ad arrivare ad aprire un mio laboratorio di liuteria che ormai conta quasi 20 anni di attività professionale. Durante il periodo degli studi mi sono anche appassionato all’antropologia visuale e ai lavori fotografici che accompagnavano i resoconti etnografici di ricercatori come Franz Boas, Bronisław Malinowski, Claude Lévi-Strauss etc.

Ora mi ritrovo a sperimentare progetti in cui cerco di connettere tutte queste modalità dello sguardo e dell’ascolto.



LG: Starving Night (Laverna, 2021) è il tuo lavoro più recente. In merito ad esso Antonio Tonietti scrive: “In bilico fra natura e suono, fra silenzio e rumore bianco […] Starving Night è musica per notti affamate di suono”.

GCA: Antonio Tonietti è un caro amico che non solo ha seguito costantemente la genesi e l’evoluzione del progetto Starving Night ma è proprio grazie a lui se ho cominciato a sperimentare con i suoni elettroacustici. Ricordo con grande piacere un pomeriggio di un po’ di tempo fa quando Antonio si è presentato nel mio laboratorio “armato’’ di un arco da violino e un piccolo registratore digitale. Come un moderno rabdomante ha cominciato a perlustrare il laboratorio in cerca di suoni nascosti passando l’arco su tutto quello che poteva in qualche modo andare in vibrazione . Dopo mezz’ora eravamo al PC a montare le varie tracce, con mia grande sorpresa ed emozione. Nessuno meglio di lui poteva quindi scrivere su Starving Night, un lavoro la cui matrice è definita da Antonio “spiccatamente elettroacustica’’; non poteva essere altrimenti perchè tutto è nato nel mio laboratorio di liuteria, dove sono abituato a creare quotidianamente suoni partendo dalla materia. La definizione “musica per notti affamate” è perfetta: Starving Night è nato in maniera febbrile durante lunghe notti insonni, in un particolare periodo della mia vita in cui ho sentito il bisogno di tradurre in suono stati d’animo che molto probabilmente avrei avuto difficoltà a raccontare attraverso le sole immagini. 

 



LG: Come per altri musicisti già comparsi sulle pagine di collettivoinconscio anche nel tuo caso la produzione musicale è inestricabilmente legata agli strumenti che costruisci nel tuo laboratorio di liuteria.

GCA: Non potrei fare altrimenti. Da quasi venti anni passo la maggior parte delle mie giornate, e a volte nottate, nel laboratorio dove costruisco strumenti acustici. Non potrei quindi pensare alla creazione di suoni che non siano comunque in qualche modo legati alla materia, soprattutto lignea, e quindi alla costruzione di macchine finalizzate a generare suoni. Spesso mi ritrovo a passare giornate intere di lavoro ascoltando febbrilmente musica elettronica mentre costruisco liuti rinascimentali o chitarre barocche. Ciò potrebbe sembrare una follia ma credo evidenzi la mia ormai naturale propensione verso un approccio basato sulla mescolanza e la fusione di suoni e immaginari anche apparentemente lontanissimi. La maggior parte dei suoni di Starving Night provengono dal mio laboratorio, non solo dai vari strumenti musicali percossi o fatti vibrare nei modi più disparati ma addirittura dai macchinari che normalmente uso per lavorare. Il brano Nothing like before, ad esempio, è costruito quasi interamente usando tracce di una registrazione acquisita prendendo letteralmente “a martellate” la lama della mia sega troncatrice. Altri suoni di cui ho fatto largo uso vengono invece da uno strano strumento che costruii tanti anni fa durante gli studi etnomusicali - ora che ci penso il primo strumento che ho costruito nella mia vita - un piccolo arco musicale, con una zucca sarda (di quelle usate dai pastori sardi per contenere acqua e vinaccia) usata come cassa di risonanza. Una sorta di piccolo berimbau brasiliano che faccio vibrare con un arco da violino o percuoto con un bastoncino di bamboo.



LG: Nel corto Preferisco le Tenebre del regista Salvatore Insana è stato utilizzato un estratto di Starving Night. La tua visione ideale del rapporto tra elettroacustica e cinema sperimentale a confronto con la reale - e certamente non sempre lusinghiera – condizione in cui versa l’arte cinematografica e musicale italiana.

GCA: Quella con Salvatore Insana è una recente collaborazione di cui sono estremamente felice e che potrei prendere ad esempio come visione ideale di rapporto tra musica e immagini. Sono un ammiratore dei lavori di Salvatore (regista e fotografo) ed Elisa Turco Liveri (ballerina performer), membri fondatori del collettivo multidisciplinare DEHORS/AUDELA.Ho fatto ascoltare Starving Night a Salvatore proprio in un momento in cui stava lavorando al montaggio di un corto fortemente legato alla sfera notturna. La fusione delle sue immagini con la title-track del mio album è apparsa da subito sorprendentemente perfetta, non abbiamo avuto bisogno di fare nessun intervento. Forse proprio perchè entrambi i lavori sono nati “sul lato notturno di ogni vita”, la bellissima espressione con cui Salvatore presenta il suo corto.

Sulla situazione in cui versano le arti cinematografiche e musicali italiane onestamente non mi sento di dare giudizi, non sono così esperto e non è un tema su cui rifletto spesso. Attraverso il web ed i social sto scoprendo ogni giorno un mondo underground fatto di tantissimi artisti visuali e musicisti che fanno cose meravigliose, aperti a collaborazioni di ogni natura. Questa cosa mi piace molto e mi fa avere un’idea positiva sulla salute della creatività, anche in Italia.

La sensazione che ho è che più ci si allontana dai grandi circuiti, dalle Gallerie, dagli ambienti accademici e dal cosiddetto mainstream – e in ambito artistico da ciò che M.Tonelli definisce come il sistema dell’arte transfunzionale – più si scopre un mondo vivo, effervescente, aperto e fortemente creativo.

Inoltre, forse proprio a causa della mia formazione antropologica, raramente mi capita di ragionare per stili o scuole geograficamente determinati, come ad esempio “cinematografia italiana” o “musica elettronica italiana”. In una contemporaneità ormai così fortemente multietnica e, come direbbe Massimo Canevacci, fatta di realtà aumentata, soggetti ubiqui, sincretismi culturali e metropoli comunicazionali, bisognerebbe cominciare ad avere una visione della realtà, e anche delle forme artistiche, sempre più svincolata dalle categorie a cui siamo da sempre abituati ed influenzati.

 



LG: Genesi e evoluzione del collettivo SARAB.

GCA: SARAB è un’idea nata durante un viaggio nel profondo deserto iraniano mentre io e mia moglie Nahid Rezashateri osservavamo il fenomeno dei miraggi, chiamati appunto sarab in lingua persiana.

Creato da me e Nahid nel 2018 come collettivo dedicato inizialmente alla fotografia, nel tempo si è arricchito ed ora è diventato un laboratorio attivo nella Fotografia di Ricerca, Video Art, Grafica, Editoria e Sound.

Proveniamo da studi ed esperienze diverse. Nahid è grafica, ha studiato arte e fotografia in Iran e si è diplomata in Media Art all'Accademia in Italia. Ci è sembrato così da subito stimolante provare a fondere i nostri interessi per dare vita a qualcosa che ci permettesse di esprimerci e soprattutto di raccontare storie. SARAB è anche condivisione, abbiamo infatti creato Sarab Magazine, uno spazio di condivisione attraverso il quale pubblichiamo progetti fotografici di altri autori, ed è anche una etichetta indipendente di zine e libri fotografici.

SARAB è in breve un laboratorio attraverso il quale tentiamo di raccontare storie con un approccio multidisciplinare e aperto alle contaminazioni. I temi dei lavori visuali sono spesso quelli classici delle discipline demoetnoantropologiche quali identità, memoria, rapporto uomo territorio etc., temi che vorrei declinare anche attraverso il suono, se è vero come scriveva Rousseau che la musica è prima di tutto "segno memorativo", quindi fenomeno fortemente legato alla sfera culturale e identitaria.

La contaminazione tra antropologia e fotografia, due modalità di osservazione della realtà che secondo me hanno molto in comune, è un aspetto che ci interessa molto in questo momento. Proprio recentemente alcuni nostri progetti fotografici hanno ricevuto importanti riconoscimenti da realtà che si occupano del rapporto tra fotografia di ricerca e pratiche etnoantropologiche come il Visual Ethnography Journal, Folklore Elettrico, Urbanautica Institute, la Società Italiana Antropologia Applicata e la rivista di Antropologia Pubblica.

SARAB è in continuo movimento e vorrei approfittare di questa occasione per anticipare un progetto a cui stiamo lavorando proprio in questi giorni.

Ci siamo chiesti: visto che SARAB è già un’etichetta indipendente perché non farlo diventare anche una label discografica specializzata in progetti elettroacustici? La risposta è SARAB LABEL.

 

 

LG: Internet è ora lo strumento ideale per diffondere la propria ricerca artistica soprattutto quando essa si discosta profondamente da ciò che i media offrono.

GCA: Sì, sono d’accordo.

Il web è diventato non solo lo strumento ideale ma credo ormai una modalità imprescindibile sia per diffondere sia per creare qualsiasi fenomeno artistico e culturale, soprattutto se si è interessati ad andare oltre quello che offrono i media.

Personalmente la trovo una grande risorsa se usata correttamente.

Grazie al web scopro ogni giorno decine e decine di fotografi, videomakers e musicisti meravigliosi che condividono i loro lavori sul web da ogni parte del mondo.

Per quanto riguarda ad esempio la fotografia il web per me non è solo un importante mezzo di diffusione dei nostri lavori ma posso affermare che è stata una vera e propria scuola. Grazie al web ho scoperto, osservato e studiato centinaia di progetti visuali di autori noti e meno noti, che altrimenti non avrei mai avuto la possibilità di conoscere.

La cosa che più amo della rete è la condivisione e soprattutto il potenziale che crea in termini di collaborazioni tra autori che vivono lontanissimi.

Ultimamente una web-radio belga ha passato un mio brano innestandolo sulle note di un trombettista giapponese che non conoscevo. Proprio in questi giorni abbiamo cominciato una collaborazione a distanza per realizzare insieme un album. E si potrebbero fare infiniti esempi del genere, fino ad arrivare al tuo bellissimo progetto collettivo con cui vuoi creare una composizione interamente assemblata utilizzando brevi frammenti sonori elargiti da tutti gli artisti che sono stati ospiti di collettivoinconscio.



LG: Grazie.

GCA: Grazie a te Luca e complimenti!






Per approfondire: 

https://gianlucaceccarini.bandcamp.com/album/starving-night

www.gianlucaceccarini.com

www.sarabcollective.com

per maggiori dettagli sulle attività del laboratorio di liuteria:

liuteriaceccarini@gmail.com

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