YVAN BATTAGLIA: MEMORIE MAGNETICHE

 

 


 


Presentare un artista poliedrico come Yvan Battaglia non è impresa facile.

In quasi trent’anni di carriera le sue collaborazioni - spesso di caratura internazionale - sono prestigiose e le sue competenze in materia di sound design e sound engineering sono indiscusse; eppure ad ascoltarlo ci si rende conto di come in lui permanga un entusiasmo fresco e sincero nei confronti della materia sonora, di cui è profondo conoscitore e con la quale interagisce di continuo.



LG: Da Carnera a Grey Cloud Monolith oltre alle numerose collaborazioni e progetti in solitaria: chi è oggi Yvan Battaglia? Esiste un filo conduttore che attraversa i numerosi progetti o sono espressioni indipendenti di diverse esigenze artistiche?


YB: Tutto è iniziato negli anni Novanta quando lavoravo in un importante studio di registrazione nel veneziano, uno studio di registrazione totalmente analogico. In quegli anni i computer non erano all’altezza di gestire registrazioni in alta definizione, plug-ins e via dicendo così tutto veniva gestito da un classico mixer di fattura inglese, registratori a nastro magnetico da 24 piste ciascuno e da una miriade di processori di dinamica ed effetti. Ed è appunto questo lato “artigiano” che mi ha fatto scoprire molteplici modi per modellare un suono, mettendo le mani su apparecchiature reali, dove ogni tua regolazione poteva stravolgere e modellare qualsiasi cosa, che fosse attraverso un compressore o un processore multi-effetto. Non c’erano i “preset” e tutto veniva regolato manualmente, senza memorie se non qualche appunto su un bloc-notes, che ancora conservo. E da quel momento ho scoperto che si potevano creare interi mondi sonori senza per forza sapere suonare uno strumento: era puro “sound design”, lo stesso metodo che si usa oggi con l’aiuto dei computer (solo che occupa molto meno spazio e si utilizzano uno schermo e un mouse). Il modus operandi è praticamente lo stesso ma con possibilità ancora maggiori, tutto dipende dalla tua creatività. Diciamo solo che manovrare le tue macchine tramite potenziometri e pulsanti era sicuramente più divertente e il limite imposto da quelle apparecchiature ti spingeva a una ricerca sonora molto più accurata. Era un’attività che richiedeva molta pazienza e molte ore di lavoro, di ascolto e di sperimentazione. Proprio da questa sperimentazione nasce il mio primo progetto: LES CHAMPS MAGNETIQUES (1998).  

Successivamente inizieranno le collaborazioni che nomini nella tua domanda. Il filo conduttore è sempre la ricerca sonora ed io, che sono piuttosto concettuale, mi ispiro a un tema ben preciso per alimentare la mia creatività. Può essere un libro, una foto, un filmato, un periodo storico e così via. L’importante, per me, è che non sia una cosa fatta a caso senza sincronia tra una determinata realtà, passata, presente o futura. Ho sempre cercato di raccontare una storia tramite i suoni. Poi ognuno di noi, con il proprio background e l’immaginazione, dovrà per forza di cose metterci del suo ed è questa la parte che più mi interessa: dare uno stimolo all’ascoltatore, suscitando in lui sensazioni e immagini. Il mondo che ci costruirà attorno dipende solo dalla sua sensibilità e immaginazione. Questo è un modo fantastico per rimanere fuori dagli standard di genere e tutto ciò avviene grazie alla fantasia personale… e ciascuno ha la propria. Questo, secondo me, è meraviglioso. 

Ieri come oggi questo è Yvan Battaglia: un creativo poliedrico, curioso e attento al dettaglio. Suono, fotografia, video-arte sono, per me, la stessa materia; cambiano solo il pennello e la tela dove vado a fissare le mie creazioni. Le collaborazioni che ho avuto fino ad oggi mi hanno permesso di ampliare, anche con qualche sfida non facile, i miei orizzonti creativi e per questo ringrazio tutti gli artisti che mi hanno proposto di cooperare con loro. Nella maggior parte dei casi ho avuto totale libertà compositiva con ottimi risultati finali e se anche alcuni, magari, non sono proprio facili da capire e assimilare, per me sono tutt’ora dei lavori importanti e che mi hanno dato tanto.

 

 


LG: Segmenti è il risultato di una collaborazione con Maurizio Bianchi, nome storico della prima scena industrial italiana.

 

YB: Qui tocchi un argomento molto particolare, come lo è Maurizio Bianchi stesso: un’artista precursore senza nessun dubbio. La sua originalità, la particolarità dei suoi lavori sono stati, per molti di noi, uno stimolo a sperimentare, guardando le sue creazioni come un esempio a osare sonorità anche molto scarne e pure. La parte più interessante di Maurizio Bianchi è il suo lato “artigianale”, per così dire. E questo mi ha sempre molto affascinato, come altri suoi coetanei che iniziarono queste sperimentazioni già dagli anni Settanta. C’è sempre da imparare da questi artisti della prima ondata. Nella loro “semplicità” sono riusciti a creare generi artistici prima inimmaginabili. Forse, nell’era digitale, i loro lavori possono sembrare obsoleti ma credimi: con la strumentazione limitata a disposizione il loro ingegno è stato straordinario e hanno aperto la strada a molti di noi “costruttori” sonori. Questo è bene ricordarlo, ogni tanto. 

Segmenti è un lavoro molto importante per me. Lavorare a questi brani, tanto lunghi da coprire l’intera facciata di un 33 rpm, è stato come creare un film. Per l’intera opera ci sono voluti due vinili. Maurizio mi mandò una serie di suoni molto scarni e ripetitivi, come è nel suo stile. Da parte mia ho creato intorno ad essi un intero mondo, fatto sia di suoni reali registrati in studio che catturati in natura, processati con macchine analogiche e plug-ins. Ho usato vecchi synth analogici ma anche macchine virtuali perché, quello che conta, è lo scopo finale: arrivare a plasmare una tua idea sonora, indipendentemente da quello che utilizzi per darle forma. Peccato che in Italia non è stato recepito il senso intrinseco di questo doppio vinile. Ne hanno parlato pochissimo. Forse è dovuto anche al fatto che l’etichetta, essendo norvegese, ha promosso  il lavoro più all’estero che qui da noi. A stamparlo fu la TIBprod. di Jan M. Inversen (che non smetterò mai di ringraziare) e venne distribuito in tiratura molto limitata anche dalla Stallplaat di Berlino, esposto nel loro negozio e in altri punti vendita importanti d’Europa. Spero, un giorno, di poter collaborare nuovamente con Maurizio Bianchi; magari con un concept bello denso di particolari, come piace a me.

 


LG: Oltre alla produzione musicale ti occupi di sound design e mastering da molti anni. È innegabile che, pur rimanendo in ambito strettamente elettronico, una produzione odierna se paragonata a una di dieci-venti anni fa suonerà in modo sostanzialmente diverso.

 

YB: Sì, mi occupo da circa trent’anni delle diverse fasi di lavorazioni di un album (o anche di un singolo brano) dal mix al mastering, dove uso tutte le tecniche che ho acquisito negli anni. Molto dipende dal supporto su cui andrà stampato il lavoro. Per un CD, o una versione solo digitale, c’è un certo tipo di lavorazione. Per una stampa su vinile è tutt’altra storia. Mix e mastering per il vinile sono totalmente diversi: ci sono degli accorgimenti molto importanti di cui tener conto se non si vuole rischiare che, una volta stampato, il suono dell’intero album venga stravolto, con una differenza abissale tra la versione creata in studio e la versione finalizzata sul supporto. E non è cosa piacevole per l’artista, te lo assicuro. Dunque, quando sapete per certo che il vostro lavoro verrà stampato su vinile iniziate già a pensare al mix più adatto. Posso darvi un consiglio? Se stampate su vinile affidate il vostro lavoro a un professionista con esperienza in questo settore. Costerà un po' di più, ovvio, ma se volete un lavoro fatto a regola d’arte qualche investimento bisogna pur farlo. Anche se il digitale vi permette di fare molte cose in autonomia la mano di un professionista capace è sempre la mano di chi fa questo mestiere da decenni, probabilmente prima dell’avvento massivo del digitale, dove ogni fase del processo veniva seguita con scrupolosa precisione. Qualche anno fa ho rimesso le mani su vecchi lavori dell’epoca d’oro dell’Industrial nostrano (come Foresta di Ferro) in previsione di una riedizione in vinile. È stato un lavoro veramente tosto perché la tecnologia digitale, negli anni della prima versione, era ancora a un livello medio/basso e molti artisti, come succede tutt’ora in questo ambiente, lavoravano in maniera autonoma, spesso nel proprio studio di casa. Questo porta a una difformità di suono e di dinamica, da brano a brano; rimettere tutto in linea per dare più coerenza all’intero album non è stata cosa facile. Il risultato, però, è stato ottimo tanto che il vinile ora suona addirittura meglio del CD fatto all’epoca! Questo è stato un grande risultato per tutti, artisti compresi ovviamente. Oltre a quanto citato in precedenza, negli ultimi anni ho seguito tutta la fase di mix e mastering per il progetto L’Amara, tre lavori in versione vinile. Anche in questo caso allineare i tre lavori è stata un’operazione assai particolare vista la partecipazione di più artisti che avevano registrato autonomamente le rispettive tracce (che successivamente ho mixato io). Alla fine ne siamo venuti a capo e la qualità dei lavori di questo bellissimo progetto è conforme agli standard sonori odierni. Anche nel caso delle produzioni a nome Carnera e Grey Clouds Monolith ho seguito tutto il processo di mix e mastering oltre che essere coautore dei brani. E qui mi fermo perché potrei continuare ancora, visti i tanti lavori (di tutti i generi) su cui ho messo mani e competenza, nel corso di tutti questi anni di attività, sia per artisti italiani che internazionali.

 


 

LG: Nel corso della tua carriera ti sarai senz’altro confrontato con le più svariate tipologie di sintesi, dalla sottrattiva fino alla granulare, lavorando con apparecchiature hardware e software. È ancora importante oggi avere una macchina di riferimento nel proprio studio di registrazione o è lo stesso studio a essere ormai lo strumento creativo per eccellenza?

 

YB: Nel corso della mia carriera ho provato tanti tipi di sintesi. Le conosco perché mi ha da sempre incuriosito il processo di creazione di un suono sintetico. Personalmente, però, ho sempre preferito concentrarmi sulla componente creativa (più personale e introspettiva) piuttosto che su quella tecnica (più fredda e razionale) quando lavoro alle mie composizioni. Non voglio diventare - passami il termine - un nerd della sintesi: questo mi distrarrebbe dalla parte più “immaginifica” che è quella che, ovviamente, preferisco. È più semplice concentrarsi sulle macchine che coltivare la propria arte, senza dimenticare che la conoscenza dei mezzi è, comunque, fondamentale. Questa, di privilegiare la parte più “estrosa”, è chiaramente una mia scelta: ci sono molti artisti che conoscono perfettamente le varie tipologie di sintesi e che sono anche dei creativi meravigliosi. Per quanto mi riguarda ho fatto lo stesso con la fotografia: mi concentro più sull’immagine che voglio catturare piuttosto che sulla macchina che sto usando. Faccio parte di quella categoria di persone che utilizza la sua attrezzatura fino a consumarla: non sento il bisogno di essere costantemente aggiornato su tutte le ultime novità anche perché, uscendo di continuo un sacco di cose belle, si rischia di concentrarsi su quello che offre il mercato, perdendo di vista la fase più creativa. Ammetto però che una sbirciatina alle novità la do sempre!

 


LG: La collaborazione tra artisti è di per sé una forma d’arte. Immagino tu abbia da raccontare molto in merito.

 

YB: Sull’affermazione che la collaborazione tra artisti è una forma d’arte non posso che darti ragione. Lo scambio di idee e il confronto con il lavoro altrui, dove devi metterci del tuo, sono uno stimolo fortissimo. Soprattutto quando hai di fronte molto materiale e carta bianca per fare ciò che ti pare. Tra l’altro questa è una fase molto delicata: può capitare di dover tagliare, riposizionare, ricomporre, se non addirittura escludere, intere parti. E non sai mai esattamente come reagirà il partner artistico con cui stai collaborando. Vincono sempre, comunque, sincerità e comunicazione. Se uno non è d’accordo lo dice, se ha una proposta diversa lo dice, se ti piace ma c’è un “però” lo si dice, etc. Questo è fondamentale. Con Giovanni Leonardi, per esempio, è stato tutto abbastanza lineare e Carnera ha sempre dato buoni risultati; se alcune cose andavano rifatte (o proprio non piacevano) ce lo siamo sempre detto. Anche quando si è convinti che un brano, o una parte di esso, vada bene così e (secondo la propria sensibilità) non andrebbe toccato, a volte bisogna accettare alcuni cambiamenti o modifiche, talora anche drastici. Questo succede un po’ a tutti, quando si lavora a più mani. Chi non è capace di accettare critiche o cambiamenti, per la buona riuscita di un lavoro in collaborazione, credo sia meglio che faccia le cose in solitaria. Specialmente perché, in questo particolare ambiente musicale, spesso non si tratta di collaborazioni di “lavoro” (da dover in un certo qual modo sopportare e accettare): nel nostro piccolo mondo c’è solo la passione che ci mette ogni artista, che va rispettata o, se necessario, discussa con onestà d’intenti. 

Pure con Andrea Bellucci c’è sempre stato un rapporto collaborativo sincero e lineare che, di riflesso, ha giovato molto alle nostre produzioni, riuscendo a catturare i favori di un pubblico piuttosto difficile da accontentare, non tanto perché troppo critico nei suoi giudizi, quanto perché il mercato è talmente saturo di produzioni che spiccare in mezzo a questa marea di uscite non è cosa facile. Con Andrea ci siamo riusciti e questa è stata una grande soddisfazione. Visto che siamo in tema Grey Cloud Monolith un piccolo spoiler: è in uscita il secondo album GCM con un ospite d’eccezione. Lo dico o non lo dico? Ma sì, te lo dico: Gianluca Becuzzi. E qui mi fermo: al momento giusto faremo il solito annuncio in rete e divulgheremo ogni dettaglio. Per terminare desidero solo annunciarti che ho intenzione di prendermi una pausa dalle collaborazioni. Sento il bisogno non solo di dedicarmi a nuove produzioni in solitaria, come ai vecchi tempi, ma che genere e sonorità saranno molto diversi dai miei precedenti lavori. Voglio percorrere strade diverse, strade nuove. In tutta sincerità, alla fine dei conti, le mie uscite non sono   poi così tante anche se, con tutto il materiale che ho in archivio, potrei tranquillamente dare alle stampe cinque album in un colpo solo. La mia filosofia è: poche cose ma fatte bene, con i concept giusti e un buon equilibrio creativo.

 



LG: Grazie.


YB: Grazie a te per il tuo interesse. Non sono abituato alle interviste e potermi esprimere rispondendo alle tue domande mi ha permesso di mettere in luce quel lato creativo che esula dal mio lavoro propriamente detto (che sempre ha a che fare con il suono e le immagini) ma che è una parte importante della mia espressione artistica.






Per approfondire:

 

SITO UFFICIALE

https://yvanbattaglia.myportfolio.com/

https://soundcloud.com/yvanbattaglia


HERITAGE SOUND DESIGN

https://www.facebook.com/heritagesounddesign

https://soundcloud.com/heritagesounddesign


LES CHAMPS MAGNETIQUES

https://leschampsmagnetiques.bandcamp.com/

 

CARNERA

https://carnera.bandcamp.com/

https://youtu.be/4QtNUr7ZiYE

 

GREY CLOUDS MONOLITH

https://totenschwan.bandcamp.com/album/tsr-116-grey-clouds-monolith


L’AMARA

https://lamara.bandcamp.com/


FORESTA DI FERRO

https://tripsundtraume.bandcamp.com/album/tt23-foresta-di-ferro-bury-me-standing-lp




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