DANILO LIGATO: A CERTAIN WORLD OF MINE

 

 

 

 

 

Con Fernweh (EEEE, 2022) Danilo Ligato aggiunge un secondo capitolo alla ricerca iniziata un anno prima con Rizieri. Ciò che l’autore stesso definisce come “nostalgia della lontananza” è di fatto sostenuta da archi pianistici e lievi oscurità dronico-sintetiche, un sostrato umido di germinazioni sonore estratte da lunghe improvvisazioni nell’ambito di un processo di ricerca non solo musicale ma anche mistica e trascendentale.



LG:Genesi ed evoluzione di Fernweh.


DL: Fernweh è il mio secondo lavoro musicale arrivato una decina di mesi dopo Rizieri che era stato davvero un salto nel vuoto. Io vengo da un percorso legato al cinema e alle installazioni sonore e dunque per me oggi nella musica è ancora (e spero lo sia sempre) tutta sperimentazione.

Nel mio operare non c’è uno sviluppo coerente o consecutivo degli eventi sonori o delle idee ma tutto si muove in maniera sincrona, con lunghi silenzi e poi con momenti di intensa creazione sonora.

La mia necessità di ricerca sonora si sviluppa in cicli fatti di improvvisazioni, momenti di studio, letture, tempo dedicato ad altri progetti per poi tornare a quello principale, riflessioni, corse e lunghe passeggiate in campagna o al Cimitero Monumentale di Milano.

Fernweh è nata da una mia esigenza condivisa con Vasco Viviani e Alessandro Ligato di rendere fisiche/tangibili le mie ricerche dopo quasi un anno di improvvisazioni finalizzate alla creazione del mio primo disco. Mi sono immerso in molte ore di sperimentazione alla ricerca di un filo conduttore, di intuizioni che avessero una loro unicità e una volta riemerso ho deciso di mettere su nastro queste fragili vibrazioni.

Nelle metamorfosi che hanno portato a questi sei pezzi mi ha fatto compagnia la costante lettura e rilettura dello scrittore per me più importante, Robert Walser, e penso che in qualche strano modo una infinitesimale parte del suo sentire si sia inciso sul nastro della cassetta.

Altra scrittrice potentissima che mi ha dato forza e leggerezza nella stesura di questi pezzi è Cristina Campo, tanto da aver intitolato la quinta traccia La Tigre Assenza come una sua raccolta di poesie davvero imprescindibile.

 




LG: Da Cage al minimalismo americano fino al post-ambient il pianoforte è stato continuamente oggetto di studio e veicolo di espressione per una miriade di autori. Il tuo rapporto con questo strumento.


DL: A un certo punto della mia giovinezza decisi di voler diventare un virtuoso del pianoforte, ero rimasto fulminato da alcuni video in cui un uomo con cappotto, sciarpa e guanti accovacciato mugugnava mentre suonava Bach come non l’avevo mai sentito. L’amore per Bach e Glenn Gould non mi lasciarono più ma i miei ingenui sogni di gloria fallirono clamorosamente per mancanza di costanza e metodo.

Sempre parlando di pianoforte L’Egitto Prima delle Sabbie è il disco che mi ha cambiato la vita: intorno ai 14 anni e innamorato di La Voce Del Padrone decisi di approfondire Battiato e affascinato da quella copertina misteriosa mi misi all’ascolto. Fu una vera epifania!

In un solo momento grazie a quegli accordi di pianoforte apparentemente infiniti cambiai il mio modo di vedere la musica, il suono e per certi versi anche la vita.

Mi fa piacere citare qui alcune frasi dello stesso Battiato che descrive quella fase della sua ricerca perché davvero mi sento in totale sintonia:

Allora sono riuscito a fare una musica essenziale e di una certa purezza. I risultati dipendevano anche dallo strumento usato: il pianoforte con il suo mondo di risonanze. Si tratta di un linguaggio micropolifonico ricco di "battimenti" e "suoni per simpatia".
Queste risonanze rappresentano ancora oggi, secondo me, la forma ideale per esprimere un certo mondo.”

Quel certo mondo o se non proprio quello ma un mio certo mondo è quello che cerco ogni volta che mi metto davanti ad uno strumento o anche quando accendo un registratore e mi metto in ascolto.

 



LG: Il Tao, l’eterno svanire, la fuga dalle costrizioni dell’intelletto sono alcune delle immagini verbali a cui associ le tue composizioni suggerendo un legame non soltanto emozionale con il pensiero orientale.


DL: In oriente purtroppo non ci sono mai stato ma la mia formazione è stata costantemente influenzata da tutto ciò che veniva dall’oriente o da tutto ciò che a sua volta era influenzato e imbevuto di cultura orientale. La lista dei nomi potrebbe essere infinita e toccherebbe molti ambiti dalla letteratura, al cinema, all’arte e alla musica.

Uno per tutti il pensiero di John Cage che mi incanta e mi stimola da molti, molti anni.

Da sempre cerco un modo per penetrare più profondamente le vie antiche e affascinanti che ci sono giunte dall'oriente ma ancora non mi sono convinto a seguire una specifica pratica o scuola e nel frattempo continuo a leggere e studiare.

 



LG: Rizieri precede Fernweh di circa un anno: appena dieci minuti di musica per tre tracce che sembrano corrispondere a tre diverse coordinate sonore.


DL: Assolutamente sì.

Una delle lotte che porto avanti quotidianamente è proprio quella di trovare un punto di sintesi, di incontro, di magica fusione tra tutte le anime sonore che mi porto appresso; come dici esattamente tu in Rizieri si mostrano in maniera lampante.

Il mio amore per la chitarra nella sua essenzialità o completamente trasfigurata, il pianoforte e i sintetizzatori, il suono acustico e paesaggi fatti di cigolii e rumori appena percettibili, melodia e droni intensi e lunghissimi.

Davvero è una grande fatica tentare queste metamorfosi sonore ma le poche volte che la cosa riesce sono davvero felice e mi godo il risultato e poi mi chiedo se forse non sia meglio avere i suoni nella loro essenza più pura e mi rimetto a cercare. Una delle cose belle di questo percorso che ho scelto (o che forse ha scelto me) è che so già che difficilmente troverò il suono che cerco, ma proprio in questa ricerca si generano pensieri e suoni che mi spingono sempre più in alto.

 




LG: La stasi sonora della ricerca ambientale ed elettroacustica può essere interpretata come la rappresentazione dell’introversione e della contemplazione, attitudini di certo più vicine ai santi e ai mistici che non ai musicisti. C’è chi vede nell’infinita ripetizione di patterns che contraddistingue il minimalismo una metafora del samsara e nei droni gli echi di invisibili piani dell’esistenza. E’ solo suggestione alimentata dalla chimica del nostro cervello che reagisce agli impulsi sonori oppure ciò che osserviamo non è tutto ciò che realmente esiste?


DL: Come cantava quel geniaccio ancora poco compreso di Claudio Rocchi “La Realtà non esiste”! La suggestione vera è quella di sapere tutto e di possedere la realtà ma tutto ci sfugge e a mio parere siamo tenuti ad una costante ricerca.

La ripetizione è la via del miglioramento da sempre ed anche il suono ha una grande ruolo nella crescita collettiva e personale.

Nella mia vita mi sono trovato immerso molte volte in eventi sonori che mi hanno messo fortemente in discussione. Ritengo che il suono sia una delle poche porte che possa portare ad un altrove e penso anche che tutti noi potremmo crescere grazie al suono se solo sapessimo metterci in ascolto.

Se poi penso a Glass, Reich, Branca, Francesco Messina, Arvo Part, Giusto Pio con Motore Immobile, Luciano Cilio, Luigi Maramotti - e davvero la lista sarebbe infinita - mi dico che è evidente che uno sviluppo sonoro nella ripetizione è la via per spostare l’asticella e fare una musica che si fa portatrice di sapere e di un'esperienza di crescita.


LG: Mi dicevi che in Collettivoinconscio hai ritrovato molti nomi e suoni che conosci e ami: confesso che una tale affermazione mi fa enormemente piacere. Esiste una placida ma ostinata corrente di musicisti e autori del tutto disinteressata alle regole del mainstream, che propone un ventaglio di ricerche sonore spesso originali e costruttive.


DL: Confermo. Non appena mi hai scritto ho fatto un giro sul blog e mi sono sentito subito a casa. In trent’anni da ascoltatore e qualcuno da musicista mi sono convinto che esiste davvero un leggerissimo ma costante movimento tellurico fatto di musicisti che mirano ad una ricerca il più personale possibile e dunque sganciata da tutte le dinamiche della musica commerciale.

Non saprei bene come definire questa realtà ma ancor di più da quando sono uscito allo scoperto ho incontrato persone disposte al dialogo e all’aiuto vicendevole e questa cosa mi ha un po' rincuorato sul futuro del genere umano.


LG: Grazie


DL: Grazie mille a te per queste bellissime domande e complimenti per il tuo lavoro.

 

 

 


 

 Per approfondire:

 https://e0e0e0e0.bandcamp.com/album/fernweh-by-danilo-ligato



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