FRANCESCO GIUDICI: THE MONSTER IN THE MACHINE

 


 

 

 

Una delle uscite discografiche maggiormente esaltanti di quest’anno è stata senza dubbio [No] Surrender (2022, OUS Records), opera firmata da Francesco Giudici e Simon Grab, entrambi musicisti con alle spalle una lunga serie di esperienze sonore (soundtracks, spettacoli teatrali, collaborazioni, drone music). Il disco è monolitico e abissale, sorretto da una solida impalcatura concettuale – un atto di accusa nei confronti di una società incapace di reagire alle ingiustizie di cui è permeata – e continuamente attraversato da stridii, laceranti grida chitarristiche, sussulti e pulsazioni telluriche che acuiscono il senso di oppressione e di rabbia repressa.

Nell’intervista a Francesco Giudici che segue si è cercato di porre l’accento sul contesto in cui è nato e si è evoluto questo lavoro come pure sugli innumerevoli spunti sia concettuali sia musicali contenuti in esso; ciò è stato possibile grazie al contributo di Mirco Salvadori, che ringrazio sentitamente, una penna tra le più competenti nel nostro paese per ciò che concerne l’analisi delle espressioni musicali più rarefatte e segrete provenienti dal vasto mondo dell’ambient e dell’elettroacustica.



PART ONE


A cura di Mirco Salvadori

 

Ascoltando le molte produzioni uscite da un anno e più a questa parte, si realizza che la realtà pandemica si è indissolubilmente legata ai lavori discografici prodotti sotto la sua terribile e mortale maestosità. Il titolo del vostro lavoro è già una indicazione di intenti, se riferito a quanto detto. Come avete vissuto e vivete questo periodo di incertezza, quanto e come ha influito sulla composizione stessa del suono che invade gli spazi di questo vostro ultimo lavoro.


FG: Un aspetto di cui si è parlato poco in questi due anni di pandemia è di come sia cambiato il significato che diamo al “controllo” inteso come l’adattamento al rapido cambiamento delle regole e delle leggi e imposto dalle autorità per far fronte alla pandemia e il conseguente controllo e autocontrollo necessario per rispettarle. Proprio mentre stavamo decidendo il titolo dell’album, Brian Eno è stato intervistato dal curatore Hans Ulrich Obrist e in quest’intervista ha detto una cosa che mi ha colpito molto. L’uomo occidentale è ossessionato dal controllo della natura, delle intemperie, del tempo, dei mercati, della natura e dei suoi scherzi, ma non ha capito che il controllo non potrà mai essere totale. Tramite il sesso, le droghe, l’arte e la religione l’uomo è sempre stato alla ricerca attiva di uno stato trascendentale e quindi di perdita di controllo. L’ossessione del controllo gli ha fatto dimenticare che in realtà l’essere umano ha bisogno di perdere il controllo per stare bene. “Surrender” per Eno significa perdere il controllo, lasciare scorrere il “flow”, ma è un verbo attivo, chi si perde deve restare capace di navigare in questo flusso, perdersi è un arte. L’arte e la musica, farla e ascoltarla sono necessari per perdersi, per sentire le emozioni e lasciarle scorrere senza che un altro, un’istituzione o un governo ci dica quello che dobbiamo provare. Il sociologo Norbert Elias con la sua critica alla civilizzazione diceva già queste cose negli anni Trenta, rendendo attenti al fatto che le norme sociali imposte per la convivenza civile e l’autocontrollo per rispettarle possano portare a inibire le emozioni, ma sentirle dire da Brian Eno è stato per me rivelatore.

Il titolo dell’album “[No] Surrender” è volutamente ambivalente: da un lato descrive la necessità di voler perdere il controllo, soprattutto in un periodo come questo dove ci siamo praticamente abituati a controllare e correggere il nostro comportamento di mese in mese. È sempre stato un tema a me caro, ma la pandemia e le restrizioni di questi due anni non hanno fatto che rendere ancora più evidente l’effetto nefasto che un controllo spropositato ha sulle persone e sulla loro salute mentale. Dall’altro viviamo in un periodo dove la crisi climatica è irrecuperabile e le diseguaglianze sociali sono esacerbate e secondo noi sono due aspetti prioritari da combattere e da risolvere, per questo motivo abbiamo aggiunto il “No” tra parentesi quadre (perché fa figo, le parentesi tonde sono noiose). La pandemia è diventata il problema numero uno e questo, purtroppo, non fa che mettere ulteriormente in secondo piano problemi ben più importanti ai quali non ci si può arrendere. 

 

[No] Surrender è un disco colmo di imponenza elettroacustica. Le due materie si fondono, dividono, scontrano, deflagrano in un continuo susseguirsi. Sembra esista un confronto continuo tra due entità che appartengono a epoche diverse e si ritrovano loro malgrado a condividere lo stesso apparentemente infinito ma in realtà angusto spazio espressivo.


FG: In effetti la sala dove abbiamo registrato il disco, ovvero lo studio di Simon, è abbastanza piccolo, eheh. Scherzi a parte, hai descritto bene quanto è successo. La parte di ascolto reciproco è importante tanto quanto la parte attiva di creazione del suono.  E successo che in questo incontro-scontro a volte non sapessi se un determinato suono venisse fuori dalle macchine di Simon o dalla mia chitarra, c'è in questo processo qualcosa di magico e per ottenerlo la perdita di controllo è fondamentale, direi che è alla base del processo creativo stesso. A volte suonare vuol dire dover controllare il mostro che vive nelle nostre macchine per fare musica.


La modernità che esprimete e vi portate appresso con le macchine e gli strumenti usati nel produrre frequenze sonore sembra sia anche il mezzo attraverso il quale riuscite quasi magicamente a esprimervi con linguaggi lontani, antichi, oserei dire arcaici. Dentro l'urlo elettrico o il boato del drone si intravedono epoche remote, sigillate in un passato pronto a tornare in tutto il suo mistero, in tutta la sua oscurità. Simon Grab e Francesco Giudici, due indagatori del tempo capaci di tradurre in suono cinematico un futuro immerso nel passato remoto?


FG: Quello che dici mi fa pensare a una cosa letta recentemente: a quanto pare Einstein ha detto che non sapeva come sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale, ma di sicuro che la quarta sarebbe stata una guerra combattuta con pietre e bastoni. Visto quello che sta succedendo forse Einstein ha visto bene, ahimé. La domanda me l’hai fatta prima della guerra in Ucraina, direi che anche tu non scherzi con le frasi profetiche quando hai scritto “un passato pronto a tornare in tutto il suo mistero, in tutta la sua oscurità”.

Per quel che riguarda il suono, le emozioni che l’essere umano comunica e recepisce sono le stesse da sempre. I suoni cupi, bassi e ripetuti incutono timore, sono suoni ancestrali come dici. Non facciamo nient’altro che ricordare e ricordarci delle sensazioni basiche presenti da sempre nell’essere umano. Si tratta forse di suoni arcaici che ritornano da lontano (il suono di un tuono ha spaventato l’uomo primitivo che ha poi tramandato questa sensazione ai suoi discendenti). Il suono delle sirene richiama l’allarme imminente, pur non avendo mai vissuto in prima persona episodi del genere il suono delle sirene mi prende la pancia all’istante, come se questa sensazione sia stata trasmessa geneticamente dai miei nonni che la guerra l’hanno vissuta: mio nonno infatti è stato prigioniero in un campo di lavoro nazista in Polonia.

Simon ed io pensiamo che questi suoni terribili, ma a volte anche pieni di speranza, siano perfetti per descrivere il presente.

 





PART TWO


A cura di Luca Giuoco


Genesi e evoluzione del progetto [No] Surrender.


FG: Ho invitato Simon a suonare a Chiasso in due occasioni, una volta come DJ per una festa organizzata sotto a un tunnel. Il tunnel rappresenta il punto di incontro tra le due parti di Chiasso e la festa era in onore dei due re Carl Michael von Hausswolff e Leif Elggren dei regni di Elgaland Vargaland, un progetto di due artisti e musicisti svedesi che vede annettere al loro stato tutto ciò che si trova tra uno stato e l’altro, il cosiddetto "nomansland", ma anche tutti gli stati mentali e fisici non definitivi, come tra la veglia e il sonno, tra il solido e il liquido, ecc. Un’altra occasione d’incontro è stata per uno sleep concert organizzato dopo il concerto di Hans-Joachim Roedelius a Chiasso, dove abbiamo ospitato anche la sua installazione con Tim Story.

Dopo questi concerti è venuto per me spontaneo proporre di suonare a Simon e così abbiamo fatto, senza pianificare nulla. L’unica cosa che Simon mi ha detto prima di iniziare a suonare è “io non faccio note” e la mia risposta: “io sì”. L’intensità dell’incontro musicale e il risultato dipendono da molte cose, non solo da noi, ma dal contesto, dall’impianto, dalla stanza, e io credo in buona parte anche dalle persone che sono presenti durante un live.

 

Francesco, mi dicevi che la tua chitarra “suona come la frontiera”. Ascoltando il vostro lavoro direi che anche le macchine di Simon Grab hanno un suono decisamente peculiare: il risultato è un inedito wall of sound di rara intensità emotiva. Cos’è per voi oggi la musica di frontiera?


FG: io vivo a Chiasso e Simon a Zurigo. In Svizzera il concetto di frontiera è ovunque perché ci sono barriere linguistiche e culturali tra le regioni; basta un’ora di treno per parlare un’altra lingua e cinque minuti a piedi per pagare con un’altra valuta. Il fatto di essere nato e cresciuto a Chiasso e di vivere sulla frontiera tra Svizzera e Italia ha sicuramente un’influenza sul mio suono. Come il cantautore folk è sempre alla ricerca del ritornello perfetto, sento di essere alla ricerca costante di nuove forme da dare al suono, di un suono di mezzo, della sospensione, del conflitto e dell'ambivalenza. Un po’come nel progetto di Elgaland - Vargaland descritto sopra, mi interessano gli stati di mezzo.

Simon ha diverse collaborazioni con musicisti e cantanti svizzeri e internazionali, senza limiti di genere né culturali. Le frontiere nella musica sono un’opportunità da esplorare sempre come territori sconosciuti.


Il concept alla base di [No] Surrender è stato oggetto di accurata analisi all’inizio di questa intervista; mi chiedo se esista nel titolo anche una diversa chiave di lettura.


FG: A parte quello che spiegavo più sopra, per me il titolo sta a rappresentare un approccio all’improvvisazione: non si sa semplicemente dove si sta andando. A me piace molto quest’idea di perdita di controllo navigata per la musica che proponiamo e in futuro mi piacerebbe approfondire ulteriormente, magari facendo in modo che sia Simon a modificare il suono della mia chitarra, o viceversa. Mi piacerebbe anche allargare le collaborazioni con altri musicisti che conosco e incrociati in questi anni allo Spazio Lampo, dove curo la proposta musicale.


Grazie.


Per approfondire:

https://simongrab.bandcamp.com/album/no-surrender

https://bandcamp.com/frangia

https://www.facebook.com/mirco.salvadori



Commenti

Post più popolari