DAVIDE GAMMON: PSICOLOGIA DELLA SORTE, TERAPIA DELL'IRONIA

 


 

Davide Gammon è artista difficile da definire: dal cantautorato post-punk – che continua ad essere parte del suo essere autore di testi – al musicista che innesta blues ed elettronica in una forma canzone dai contorni sfuggenti, al performer che ha collaborato con Paolo Nuas (Punkreas), Walter Clemente (Deasonika), Lory Muratti e Hugo Race (Nick Cave and the Bad seeds), alla sua professione di psicoterapeuta.

Di lui ci siamo già occupati in occasione dell'uscita dell'EP (S)Fashion, ironico, divertito, amaro, spigoloso. Ora con il singolo L'Ironia della Sorte  Gammon inaugura un nuovo progetto in cui canzoni e video si susseguono delineando i tratti di una narrazione che ci condurrà fino al nuovo album.

 

 

LG: Davide Gammon "psicocantautore". Un appellativo sopra le righe?

Per anni questo appellativo è rimasto tra le righe, forse è tempo che ne emerga con sincero orgoglio. Da molto tempo divido la mia attività tra scrittura di canzoni e consulenza psicologica e psicoterapeutica, senza essere ancora riuscito a capire quanto l'una sia prevalente sull'altra o viceversa. Penso che ognuno di noi abbia diverse anime, molteplici passioni: io ho avuto la fortuna di essere riuscito a procurarmi un lavoro che mi entusiasma e un'identità artistica che non mi ha ancora stancato. Quando la vita ti assicura gioventù e romanticismo affidi le tue aspirazioni e i tuoi sogni di rivalsa ad un palco circondato da folle oceaniche adoranti. Poi capisci che la musica è un modo di rimanere in contatto coi tuoi simili, senza pretese di protagonismo e onnipotenza; ce ne sono altri, non meno importanti, eppure non puoi rinunciare a raccontare di te e delle tue visioni con una canzone. Meglio se ben scritta, ovvio.

Per questo ho deciso di rendere più evidente il connubio tra musica e psicologia: sono i territori in cui mi muovo, alla ricerca di un contatto profondo con me stesso e con gli altri.

 

LG: L'Ironia della Sorte è il primo di una serie di singoli che ci traghetterà direttamente verso il tuo nuovo album. Una canzone inevitabilmente legata a un videoclip in una sorta di progetto multimediale.

Lory Muratti è sia il produttore artistico del brano che il regista del video: è inevitabile che da un talento come il suo sia scaturito un messaggio così vivido e dettagliato, sia dal punto di vista delle immagini che dei suoni. L'Ironia della Sorte scorre briosa in sottofondo, mentre io arranco con la mia strumentazione verso il locale, pronto ad inscenare una performance memorabile. L'orario di inizio dello show si avvicina ed io mi rendo conto che la sala è vuota: una metafora visiva che tocca aspetti generazionali (della serie: ma chi vuoi che ci venga più ai concerti di rock alternativo?!?), così come temi di triste attualità, dal momento che i luoghi deputati alla musica dal vivo oggi sono ancora "frastornati" dall'onda lunga della pandemia. Il video si chiude con l'ingresso in sala di mia figlia, l'unica spettatrice presente allo spettacolo di suo padre, un ostinato ed immarcescibile canzonettaro. Un finale che ricorda quanto il valore di un'opera non vada messo in discussione solo perché si muove nelle periferie del business o perché ha un solo ascoltatore. Soprattutto quando quell'ascoltatore rappresenta la ragione stessa per cui quell'opera ha preso vita.

Il prossimo singolo uscirà a fine Maggio e rappresenterà l'ideale sviluppo delle tematiche toccate ne L'Ironia della Sorte, anche se con un impianto sonoro del tutto diverso. Il videoclip dovrebbe essere una sorta di "prequel" a quanto già visto nel primo della serie, per rendere ancora più chiaro il legame concettuale tra i vari brani che ho composto in questi due ultimi, famigerati, anni.

 


LG: Rispetto a (s)fashion, quanta ironia è sopravvissuta nel tuo io più recente e quanta si è trasformata in disincanto ?

Spero sinceramente di non essermi troppo indurito in questo lungo periodo di difficoltà: devo però dire che, ancora una volta, il mio lavoro mi ha consentito di rimanere in contatto con tanti tra coloro che sentivano il bisogno di confronto e supporto. Quindi, forse, più che di "disincanto" potremmo parlare di "dis-ingaggio": ho voluto staccarmi dall'affabulazione un pò roboante del mio precedente Ep per provare a vestire panni quotidiani, tratteggiare scenari intimi e punti di vista molto più ravvicinati. Peraltro, mi sono affidato allo stesso produttore e credo che questo garantisca una coerenza di fondo tra i lavori precedenti e questi ultimi, sebbene credo che in questi nuovi brani ci sia una ricerca sonora ancora più approfondita, una spazialità e un equilibrio che mi auguro davvero possa risaltare alla lunga distanza.

Mi sono concesso il lusso di sperimentare soluzioni per me del tutto inedite, che sono impaziente di farvi ascoltare, nel corso delle prossime pubblicazioni. Devo anche ringraziare, oltre al laboratorio creativo "the house of love" (la culla che ha ospitato e "svezzato" le bozze iniziali delle mie canzoni), l'etichetta svizzera Visory Suisse, che sta attivamente supportando il mio progetto.

 

LG: Psicoparade è un progetto disponibile sul tuo canale Youtube in cui intersechi la storia del pop-rock con la psicoterapia.

Anche in questo caso, ho provato a incrinare i miei stessi pregiudizi in merito a ciò che sia "lecito" aspettarsi o meno da uno scrittore ed interprete di canzoni. Mai come oggi, infatti, risulta chiaro che un artista debba considerarsi un "creatore di contenuti", pronto ad estendere i suoi interessi e le sue narrazioni oltre il campo squisitamente artistico. Mi è parso quindi abbastanza naturale provare ad imbastire delle piccole "storie" che avessero come denominatore comune tematiche evocative e tanto ampie da poter essere guardate sia con la lente dell'appassionato di musica che con quella del ricercatore in ambito psicologico. Una canzone o un intero disco possono ritrarre atmosfere e concetti che hanno da sempre incuriosito ed attirato l'attenzione della gente, proprio come mi pare che stia riuscendo a fare la psicologia di questi tempi. Dunque perché non parlare dell'archetipo dell'Ombra di Jung attraverso il cut-up di Dj Shadow o dell'agorafobia con una canzone di Salmo?

Penso che questo format possa avvicinare mondi solo in apparenza distanti, mettendo in luce quanto la ricerca personale e l'impegno per sconfiggere i propri timori e comprendere le umane fragilità possano essere sviluppati seguendo binari diversi ma convergenti.

 

LG: Il ruolo della musica nel corso degli anni si è gradualmente trasformato da veicolo di aggregazione sociale e culturale a solitario rifugio individuale fino all'impalpabilità della musica liquida i cui utenti troppo spesso ascoltano distrattamente, interrompendo di continuo la riproduzione per saltare da una traccia all'altra. Parrebbe una preoccupante parabola discendente; oppure siamo noi che osserviamo il fenomeno da una prospettiva sbagliata?

Purtroppo non credo che ci stiamo sbagliando. Viviamo in una nazione che ha sviluppato una cultura musicale unica e multiforme, gli autori del passato hanno lasciato un'impronta evidente nella nostra tradizione. Eppure nelle scuole, l'educazione musicale presenta ormai da decenni un'immagine sbiadita di sè ai giovani; le opere d'ingegno di produttori ed artisti contemporanei fanno da sottofondo momentaneo ad un'esistenza bulimica che non riesce a soffermarsi su nulla per più di qualche secondo, per più di qualche click o megabyte. E' l'ironia della sorte, appunto: siamo alla costante ricerca di qualcosa che ci riempia la vita, eppure siamo costantemente sovraccarichi di stimoli e visioni. Non a caso nel mio singolo riprendo una massima zen che recita: "non ne hai mai abbastanza di ciò che non vuoi veramente". Credo infatti che si possa invertire la rotta soltanto applicando un quotidiano esercizio di disciplina personale: pochi dischi al mese, ascoltati per intero e più volte, per poter riassaporare il piacere di avvicinarsi a un "artefatto" che smuove emozioni e pensieri. Se infatti prima dell'avvento del download e dello streaming il problema era la reperibilità di un prodotto artistico (i nativi digitali ricorderanno infatti l'epoca delle "cassettine copiate"), adesso abbiamo capito che questo ostacolo era paradossalmente ciò che conferiva alla musica un valore inestimabile. Non mi associo ai reazionari che predicano un "ritorno alle origini"... per citare Pierpaolo Capovilla: "Indietro non si torna, questo è poco ma sicuro". Come ho già detto, ritengo che il cambiamento debba necessariamente transitare per le piccole scelte che ogni giorno compiamo, rendendoci consapevoli di quanto e di come ascoltiamo musica durante la giornata.

Per dirla in termini psicologici, ci serve più "mindfulness" nel consumo di musica... e non solo. 

 

LG: Grazie. 



Per approfondire:

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https://open.spotify.com/artist/6EJYcMawUIVXx2ZIjjkO1W?si=Yz67t1ZxQqaJifH9ekwHiQ

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