ROSA LAVITA, MARCO VALENTI: ÆLMĀ, EMET, MET
PART ONE
a cura di Antonio Tonietti
"Certo che mette a disagio il genere, ma buona parte dell’arte dovrebbe far sentire a disagio”. Così si esprimeva Stephen King in difesa del film “The Hostel” sulle pagine del Los Angeles Times. Il lavoro di Ælmā The Beings of Mind are not of Clay evoca proprio sentimenti di disagio claustrofobico, degna colonna sonora di un immaginario e depravatissimo torture porn [sottogenere del cinema horror, particolarmente legato allo splatter ndr].
Questa opera prima si avvale del basso insinuante ed evocativo di Elena M. Rosa Lavita che si incrocia con i campioni e l’elettronica di Marco Valenti (mente del collettivo di controcultura Toten Schwan Rec per cui il lavoro esce in edizione ultralimitata).
A governare questa vera e propria opera al nero è il principio di antinomia, dove gli elementi si contrappongono senza mai fondersi, come esemplificato dalle due piume che si fronteggiano nell'artwork curato dalla stessa Lavita.
Le frequenze telluriche del basso si animano grazie ad una melodica che accenna una stentata melodia nella traccia d’apertura; campioni dilatati si confondono con gocciolii e clangori indistinti: se Carnage Visors avesse avuto un seguito non sarebbe potuto essere più oscuro di così.
Nella seconda traccia è l’ultraterreno a prestare voce ad un tappeto elettronico frastagliato, interpuntato da rumori evanescenti e vagamente metallici; il basso suonato con l'archetto lancia funerei strali nunzi di ferali presagi.
Entità contrapposte dividono lo spazio comune della mezz’ora scarsa occupata dalle due tracce senza mai mischiarsi; Vita e Morte si scrutano, si specchiano ma non si toccano; creatura e creatore si osservano attraverso abissi siderali, si invocano ma non possono avere legame alcuno una volta separati dall’ atto della creazione stessa. L’athanor è il ventre alchemico entro cui l'opera si compie, ma Spirito e Corpo senza l'intermediazione di Anima non possono avere contatto e rimangono entità dimidiate.
Nella sua disarmante nudità questo è quanto gli Ælmā ci mostrano: realtà separate e inconciliabili di una oscura materia primordiale.
PART TWO
interview
a cura di Luca Giuoco
Did I request thee, Maker, from my clay to mould me man? Did I solicit thee from Darkness to promote me? Adamo, Paradise Lost (John Milton)
epigrafe al romanzo Frankestein di Mary Shelley
LG: ÆLMĀ è un luogo, un colore, uno stato d’animo?
RLV: ÆLMĀ è il punto di incontro di due anime così diverse ma così affini, accomunate da un unico colore, profondamente, assolutamente, disperatamente NERO. Marco ed io ci siamo conosciuti casualmente ad un soffio dal primo lockdown. Abbiamo approfondito la reciproca conoscenza chattando, parlando al telefono, scrivendoci, in un moto di apertura e reciproca fiducia, almeno per me, totalmente inedite. Era naturale dover testare il nostro rapporto sul terreno che ci accomuna sopra ogni altro, ossia la musica. Split o collaborazione? Collaborazione: quattro mani e un’anima.
Il
nome del progetto è una sorta di acronimo: contiene la parola ALMA
(anima) perché entrambi siamo da sempre concentrati sull’essenza
piuttosto che sull’immagine esteriore, EL e MA sono semplicemente
le prime due lettere dei nostri nomi propri. L’aspetto
concettuale di The Beings of Mind are not of Clay (cit. da Lord
Byron) poggia su dualismo e dualità: Essere/Essenza, Corpo/Anima,
Vita/Morte. Golem plasmati nella creta, Homunculus evocati nell’etere,
processi alchemici e bisturi chirurgici. John Dee ed il rabbino Low,
coloro che hanno voluto essere Dio: creare la vita / dare la morte. corpi senza anima e anime senza corpo. Gli
Esseri della mente, quei fantasmi che ti tengono sveglio la
notte, che ti sussurrano di prendere tra due dita la lametta, che ti
fanno sprofondare negli abissi della tua stessa anima.
MV: ælmā è tutto e niente, a seconda di come lo guardiamo, a seconda di come siamo in grado di astrarre il pensiero e a seconda di come risulta necessario modificare la realtà secondo le nostre necessità del momento. Possiamo pensarlo all'inevitabile sincronia di due mondi lontanamente vicini. Un sincretismo inevitabile per difenderci dalle macerie che ci circondano. La sublimazione di una difficoltà congenita.
LG: Rosa Lavita: mi risulta che questo lavoro sia la tua prima release ufficiale in cui le corde del basso vengono sfregate da un archetto piuttosto che percosse. Una tecnica che all’ascolto regala una timbrica decisamente intrigante, che definirei allo stesso tempo tragica e voluttuosa.
RLV: Sì, l'archetto da violino è stato l'azzeccatissimo quanto desiderato regalo di compleanno da parte della persona che meglio di ogni altra mi conosce. Febbraio è stato il mese della sperimentazione: non è facile estrarre con l'archetto - che ad altri strumenti e corde sarebbe destinato - il suono dal basso elettrico ma è stato un grande divertimento. Amo molto la componente di casualità del suono, non sempre perfettamente controllabile, quanto l'effetto tridimensionale che produce, nel quale si sovrappongono timbriche e sfumature differenti che conferiscono al timbro una profondità straniante e poco confortevole. La prima volta (non) fa sempre male.
MV: la scelta dell'archetto va a riesumare quelle sonorità a cui sono particolarmente legato e che mi hanno portato a scoprire realtà musicali “di nicchia” con cui alienare il presente che stavo vivendo, per cui, non appena Elena mi ha proposto questa dinamica ho immediatamente colto il fatto come l'ennesima conferma all'inevitabilità della nostra liaison amoureuse e non ho detto assolutamente nulla anche perché rispetto molto la libertà espressiva dell'altro 50% di ælmā e non mi sognerei mai di imporre un diktat in alcun senso. Credo che la completezza del nostro rapporto sia da ricercare proprio in questa disponibilità a cercare di assecondare l'altro senza prevaricazione alcuna.
LG: Marco, il noise con cui hai arricchito The Beings of Mind are not of Clay sembra seguire in modo naturale il flusso di note e dissonanze del basso, come se stessimo assistendo a una performance live. Il processo compositivo vi ha visti stratificare elementi preesistenti oppure ciò che ascoltiamo è il risultato di un confronto artistico sia sonoro sia concettuale?
MV: non c'è stato un processo di costruzione particolarmente complesso, sono andato piuttosto a braccio con quello che avevo sottomano in quel momento, forte della convinzione che qualunque dinamica possa essere valorizzata anche senza andare a scomodare chissà quale tecnologia. Ho adattato il mio contributo cercando di valorizzare quello di Elena, provando a creare una struttura che permettesse al suo basso di trovare una collocazione che lo facesse risaltare ma che al tempo stesso lo nascondesse. Non sono stato a pensarci a lungo, ho lasciato che le cose andassero avanti sostanzialmente da sole. Anche se odio profondamente l'idea di una performance live e spero che a Elena non venga mai in mente di propormela perché sarei costretto a rifiutare in modo categorico, concettualmente credo che sia il modo migliore per spiegare quello che abbiamo realizzato.
LG: Una sirena morente, acque fangose, una succube nell’oscurità, l’ingresso di una grotta umida. Tutte immagini a cui pensavo mentre scorreva la musica. Si potrebbe tentare una lettura psicoanalitica di questo lavoro?
RLV: Melusina e la sua maledizione, la viscosità del totale buio uterino, il succubo seduto sul petto a toglierti il respiro...sì, sì e sì se sono le immagini che l'ascolto ti ha evocato.
MV: non credo che ci possa essere un'uniformità di risposta alle sollecitazioni dei due episodi di The beings of mind are not of clay: vorrebbe dire che si tratta di un lavoro che conduce in una sola direzione mentre credo (e spero) che ognuno possa, all'interno di questa mezz'ora, indirizzare il proprio sentire verso quelle che sono in quel momento le sue necessità emozionali. Sia chiaro, non stiamo parlando di un'opera d'arte, siamo su un piano molto distante. Il nostro è entertainment, non ci sono e non ci devono essere velleità artistiche, sarebbe folle, per non dire idiota, anche solo pensarlo. Non facciamo altro che rendere concreta la nostra alienazione, sperando che qualcuno possa trovare nel rumore che allestiamo qualcosa in cui specchiarsi. il resto lo lascio volentieri a quelli che hanno perso il contatto con la realtà e si credono artisti.
LG: Rosa Lavita: per te questo è un periodo particolarmente ricco di collaborazioni. Per quanto possa sembrare contraddittorio ritengo che il confronto artistico sia indispensabile per sviluppare un proprio universo sonoro. Più scopriamo altri artisti più comprendiamo meglio noi stessi.
RLV: Sì Luca, negli ultimi mesi ho prevalentemente collaborato con altri musicisti, artisti, persone: tutto ciò nonostante io sia il tipo "io ballo da sola" - collaborare con altri spesso significa compromessi e la diplomazia non è il mio punto forte. Sto vivendo queste esperienze come una scuola di vita: in primis si può solo imparare dagli altri; inoltre umiltà e modestia sono IL punto di partenza come pure sondare territori "altri" che è sempre stimolante. Infine collaborare è come assistere al processo alchemico di fusione e trasmutazione degli elementi: che curiosità vedere dove porterà! Quella con Marco però è una collaborazione diversa dalle altre: è l'incontro con un'anima fraterna.
MV: sostanzialmente Elena ha già detto tutto; io mi sento in dovere di sottolineare quanto sia onorato del fatto che abbia escluso il nostro progetto da quella pletora di collaborazioni “artistiche”. Mi sento così distante da quel mondo di cui sopra e spero di non cadere mai nella tentazione di cambiare questo mio approccio. Se Elena “balla da sola” io muoio da solo per cui rispettate il lutto e fate gli artisti da un'altra parte.
LG: Grazie.
RLV: Grazie infinite Luca.
MV: mi associo ai ringraziamenti della mia partner in crime. Alla prossima, se ci sarà. Ciao.
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