DANIELE BOGON: A PEACEFUL ISOLATION

 




 

The Night Is A Refuge è il nuovo EP del musicista e sound designer Daniele Bogon. Rispetto al suo precedente lavoro - l'affascinante ed eclettico 17 Encores, di cui ci siamo già occupati in passato - qui si avverte una maturazione nel suono e nelle atmosfere, come se l'autore avesse trascorso decenni in isolamento esplorando a fondo la sua psiche. Le atmosfere risultano estremamente intime, raccolte, contemplative. Per contrappasso il suono è decisamente fisico, grasso, pieno, sottilmente aspro e battente come è giusto che sia considerando che tra gli strumenti utilizzati i synth analogici occupano un ruolo preminente Nelle note di copertina Daniele cita il vecchio ma mai dimenticato Korg MS-20, macchina mitologica dotata di un filtro dai colori strani e idiosincratici, indubbiamente diverso se paragonato ai vari Moog e Oberheim. Daniele improvvisa, registra e sovrappone evitando di ingabbiarsi in una estenuante post-produzione e preferendo fissare istanti spontanei e genuini di esplorazione sonica, dipingendo un mondo sonoro distante e crepuscolare ma non per questo disperato e nichilista. Un'oscurità che non terrorizza ma avvolge ogni cosa, lieve come un manto di neve. 

 

 

LG: Il percorso (musicale, emotivo, personale) che ti ha condotto da 17 Encores a The Night Is A Refuge. Cosa hai trovato lungo il cammino, cosa hai perduto, cosa ancora cerchi.

DB: The Night Is A Refuge arriva dopo un periodo molto intenso sia personale che artistico, in cui ho costruito, demolito e ricostruito molte cose. È stato un processo naturale e importante che continua tutt’ora e per il quale mi sento particolarmente grato. Dal punto di vista creativo mi sono concesso la libertà di sperimentare senza dogmi uscendo dalla mia zona di comfort, senza una meta fissa e immutabile o delle regole stilistiche o di genere decise a priori e questo ha aperto le porte a molteplici possibilità compositive. È stato un periodo di evoluzione continua in cui mi sono avvicinato a nuovi strumenti e ne ho ripreso in mano alcuni di vecchi,  cambiando il modo di interconnetterli tra loro, guardandoli con occhi nuovi. Mi sono dedicato a forme di sintesi diverse sempre in modo molto libero e fluido per riportare al centro di tutto il mio sentire; volevo che questo fosse l’unica bussola da seguire, mettendo da parte il giudizio o un’autocritica troppo cerebrale. Cos’ho perduto: tante limitazioni, tante regole autoimposte che mi stavano portando a non amare quello che facevo. Il suono per me è una porta di connessione con qualcos’altro e gli riconosco un valore che potrei definire sacro. Questo fa che mi faccia spesso parecchie domande sulle mie produzioni arrivando a volte a dei blocchi poco utili. Ho imparato, così, che a volte un po’ di leggerezza non guasta e che restare aperti alla sperimentazione può riservarci anche delle sorprese piacevoli. Cosa cerco ancora: sicuramente il viaggio nel suono è ancora lungo e quello che cerco è  di poterne vedere e approcciare tutte le sfumature, sempre secondo il mio sentire. Mi piace pensare che non tutto sia predeterminato e che si possa anche cambiare rotta e questo mi restituisce molta libertà e voglia di esplorazione. Quello che invece non sto cercando è altra strumentazione (ma potrei smentirmi a breve)! 

 


LG: Ciò che ho ascoltato e visto nel tuo ultimo lavoro è la rappresentazione di un’intima oscurità in cui trovare riparo.

DB: Hai colto perfettamente l’atmosfera dell’EP., quella che pervade questa raccolta è un’oscurità in cui trovare riparo, conforto, calore, accoglienza e sicurezza. La notte mi ha sempre attratto perché è un luogo sensoriale, fatto di parole sussurrate e di intese, di respiri lenti e rumori distanti, un po’ disorientante se vogliamo e indefinito come la casa rappresentata nella cover artwork (realizzata da Valeria Salvo) ma permeato di intenso calore. È anche il momento in cui tutto rallenta e lo fa fino a permetterti di vedere cosa sta accadendo nella tua vita con maggior distacco e calma. La notte ha acquisito per me una forma diversa soprattutto da quanto è nato mio figlio. È diventata uno spazio di protezione, dove tutto è fluido e indefinito in cui non c’è bisogno di dettagli e confini... È come essere nel grembo materno in una dimensione sospesa dove fluttuare e lasciarsi andare sapendo inconsapevolmente di essere costantemente al sicuro.

 


LG: Contrariamente alla tendenza generale dell’Elettroacustica di prendere le distanze dal suono sintetico in The Night Is A Refuge si è letteralmente avvolti da dense nebbie analogiche, droni e bordoni spessi e grassi. La sintesi sottrattiva ha attraversato fasi ascendenti e discendenti ma ancora oggi continuiamo a inserire spinotti nel Korg MS-20.

DB: La sintesi sottrattiva non è l’unica sintesi che trova spazio nel mio studio ma sicuramente la demando in pieno all’MS-20. Quando l’ho comprato cercavo un sintetizzatore che avesse carattere e con il quale stabilire una certa complicità anche nell’interazione fisica. Alla base di 17 Encores c’era un lavoro di campionamento sul quale avevo costruito in seguito i sintetizzatori virtuali in Ableton Live. Mi mancava però l’aspetto di interazione fisica con lo strumento, uno strumento che mi ispirasse anche solo guardandolo, che mi facesse venire voglia di sedermi davanti a lui a lavorare sul suono in maniera più diretta e tangibile. In questo l’MS-20 è stato assolutamente appagante su entrambi i fronti. Se aggiungiamo la possibilità di processare segnali esterni poi, si aprono continuamente nuove strade di sperimentazione e trovo sia davvero una macchina fantastica e senza tempo. Il suo respiro analogico e i suoi filtri, il suo rumore di fondo gli conferiscono un carattere e un’anima dalla quale sono nate moltissime idee che ho registrato in questi ultimi tempi e un nuovo disco che    sta cercando casa (ma questa è un’altra storia).

 


LG: L’isolamento è vissuto da molti con estremo disagio e l’esperienza del lockdown lo ha dimostrato anche in modo drammatico. Se la maggioranza delle persone prova frustrazione (se non addirittura terrore) all’idea di non avere contatti con i propri simili per un artista questa condizione è talvolta ricercata volontariamente. E per un mistico è indispensabile.

 LG: Forse sono una di quelle poche persone che durante il lockdown non ha provato senso di panico o ansia all’idea di restare chiuso in casa per mesi, al contrario mi è sembrato di aver trovato una dimensione e dei ritmi più vivibili. Con questo non voglio dire che sia stato un bel periodo ma essendo io una persona solitaria per carattere non ne ho sofferto particolarmente. Per mia natura ho un bisogno vitale dei miei spazi e di momenti (se non veri e propri periodi) di isolamento dagli altri per cui se non fosse stata una cosa assolutamente nuova come esperienza, non mi sarei forse accorto di essere in lockdown! Per citare Jung posso dire che: “La solitudine è per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare è spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole”.

 

LG: Nelle note di copertina descrivi come in questo lavoro hai optato per modalità compositive più dirette e spontanee rispetto al passato; una scelta circoscritta a quest’unico episodio o ritieni di proseguire in questa direzione?

DB: Solitamente parto da un’idea e continuo ad aggiungere strati finché in un secondo momento inizio a rimuovere gli eccessi arrivando così al lavoro finale. Questo modo di lavorare può portare a volte troppo lontano dall’idea di partenza o, al contrario, di fronte a risultati inaspettatamente piacevoli. Con The Night Is A Refuge ho sentito fin da subito che volevo far scorrere tutto nel modo più fluido possibile, dalla composizione dei brani all’artwork di copertina, lasciando molto spazio all’intuizione. Volevo davvero preservare l’impronta originale perché a volte si è solo troppo vicini al particolare per poter vedere il quadro nella sua interezza. Questo esercizio è stato liberatorio e produttivo e oltre ai 5 brani pubblicati ne ho registrati molti altri per ciascuna sessione. Non so se sarà il mio approccio per tutti i brani in futuro ma sicuramente un’esperienza che porterò con me.

 


 

LG: Non starò a descrivere la profonda preoccupazione che mi affligge osservando la criminale stupidità degli esseri umani. Atrax Morgue arrivò a odiarli a tal punto da costruirci una vera e propria estetica: cadaveri sulle copertine e proclami di morte e distruzione. Molto Post-Industrial e Noise proseguono ostinatamente a proporre una teologia del nichilismo francamente un po' ridondante, se non del tutto artificiale. Che gli esseri umani siano colpevoli di terribili atrocità è un dato di fatto che l’arte ha il compito di denunciare; forse però è anche necessario che l’arte smetta di ammantarsi sempre di morte.

DB: È indubbio che stiamo vivendo tempi preoccupanti, per non dire sconcertanti e sicuramente la pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti tanti aspetti finora ignorati o stupidamente sottovalutati. Il senso di morte, di vuoto, è sempre stato presente nelle opere d’arte così come lo è la celebrazione della vita essendo una inscindibile dall’altra. Io penso che il ruolo dell’arte e dell’artista sia di mostrare la bellezza (nel senso più ampio del termine) attraverso la quale l’animo umano possa elevarsi fino a comprendere tutti gli aspetti del suo essere in una visione unitaria e non dicotomica, quindi di comprensione e non di conflitto o di separazione. Credo sia un modo per farci allontanare dal piccolo contesto in cui siamo immersi per darci la possibilità di aprire gli occhi all’osservazione di qualcosa di più grande che ci circonda e che permea la vita di tutti ogni giorno. Sta a noi cogliere o meno questa opportunità e credo ci sia una forma di privilegio nell’avere la possibilità di guardare attraverso questa magnifica finestra. L’arte ha il potere di connetterci a qualcosa di immateriale ma che fa parte di noi, che nasce dal profondo di noi; come diceva Bruno Maderna “non ci dobbiamo mai dimenticare che la musica è fatta dall’uomo per l’uomo” e penso che questa frase possa essere estesa all’arte in generale. Sicuramente può essere anche uno strumento di denuncia o per mettere in luce determinati aspetti dell’animo umano ma per come la vedo e la vivo personalmente è anche una cura, una terapia, un metodo di ascensione e una soluzione alla quale ci si deve necessariamente appellare.

 

LG: Grazie.

DB: Grazie a te, a presto. 





Per approfondire:

https://danielebogon.bandcamp.com/



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