FEDERICO MADEDDU GIUNTOLI: MISTERIOSA ANIMA DI MINIATURA

 


 

 

 

PART ONE

a cura di Mirco Salvadori


La cover di un disco o di un cd è la prima cosa che colpisce lo sguardo, quando l’oggetto giunge nelle tue mani. Succede anche con questo vinile che vede in copertina un’opera firmata dallo stesso Federico Madeddu Giuntoli che ha intitolato Inner Alignment ciò che la nostra vista vede come un involucro avvolto in uno sgualcito foglio di carta in cima al quale vengono posizionati due frammenti di vetro colorato. Un’opera di parvenza concettuale che magicamente inizia a parlarci non appena il suono si diffonde nella stanza e quell’allineamento interiore prende le sue stesse sembianze.

Serbare con quanto abbiamo a disposizione, la fragilità. Porre dei simboli riconoscibili lì dove frettolosamente abbiamo chiuso quanto ci è ancora caro e abbandonarsi all’interiorità, anche a discapito dell’eleganza il più delle volte costruita su pure falsità.

Ma cosa è fragile, cosa richiede lentezza e silenzio per essere descritto se non la nostra continua tensione verso ciò che serbiamo nascosto agli altri e a noi stessi. Quando con delicatezza apriamo l’involucro sgualcito che giornalmente ci ripara e protegge, scegliamo di mostrarci nudi all’altro, operiamo togliendo quanto di inutile portiamo appresso, specchiandoci nello sguardo della persona che compie la stessa operazione.

Qualcuno lo chiamerebbe minimalismo o meglio, essenzialità votata alla scoperta di un nuovo sentire: libero, leggero, intenso, profondo, che si sorregge su accennati accordi di chitarra o sui tasti di un pianoforte capace di accarezzare pensieri che piano piano si calmano nella quiete di una poesia sussurrata in una lingua che non comprendiamo ma è in grado di rallentare il battito sempre troppo veloce del nostro cuore incapace di accogliere il salvifico silenzio, tanto è continuamente avvolto nella tempesta.

Eccoci dunque, esseri in continua caduta libera che improvvisamente iniziano a levitare mentre l’insostenibile rumore si fa silenzio e il nostro dimenticato sorriso accoglie una frase da tempo scordata: Everybody Is Beautiful!




 

PART TWO

a cura di Luca Giuoco


LG: FLAU è la label con cui esce The Text and the Form: essersi affidato ad un’etichetta giapponese è stata una scelta voluta o incidentale? Mi chiedo se i rimandi all’estetica orientale che mi è parso di sentire siano in qualche modo correlati a questa scelta.

FMG: Flau è stata una speranza intima. Nel momento in cui stavo proponendo l’album a varie label nel mondo, la consideravo la prima scelta. Quando poi ha dimostrato interesse ho avuto una duplice sensazione di immensa gratitudine e di semplicità tipica delle cose destinate a succedere. È stata una conferma che qualcosa nella mia espressività risuona con un’estetica orientale in modo innato, essenziale. Mi ha molto confortato il loro riconoscermi.


LG: Descrivendo questo lavoro mi dicevi che esso si pone all’interno di un’area di non-genere, una zona sonora indefinita, dai contorni sfumati.

FMG: Sì, in generale amo essere sorpreso da opere d’arte che vibrano gentilmente con codici estetici plurimi, che ispirano libertà espressiva, che sorprendono con accostamenti che indicano spontaneità, ampiezza, autonomia, stile. A The Text And The Form ho lasciato la possibilità di essere come chiedeva di essere, ovviamente nei limiti delle mie capacità di farlo. Lo riconosco adesso come un album non-genere, non per una sua mancanza di definizione, ma per una sua misteriosa anima di miniatura multi-carattere.

 



 

LG: Analogie e idiosincrasie tra produzione musicale e artistica: sono anche le tue composizioni “oggetti sensibili”?

FMG: Quando lentamente accompagno materiali di scarto frammentati, dismessi, abbandonati, fino al loro ricomporsi in “oggetti sensibili”, sento che la bellezza non persa della loro materia va a comporre nuove entità che inspiegabilmente emanano un senso di sensibile presenza. Nella musica invece la qualità di vivezza deriva direttamente o indirettamente dal mio gesto, dall’attraversamento del mio corpo da parte della vibrazione. La mia musica è registrazione sonora, parziale ed estetizzata certamente, del mio essere in vita. Questo sì, oggetti sensibili e brani sonori sono accomunati da un simile senso di misura, da una simile intensità di emissione, ed emergono sotto la costante aspirazione che abbiano un effetto di minima salubrità su chi con loro verrà in contatto.



LG: Nelle molte e lusinghiere recensioni scritte per The Text and the Form si pone l’accento sulla componente del tutto non aggressiva della tua musica. La mancanza di aggressività non è però sempre sinonimo di innocuità.

FMG: Sono immensamente grato a chi, come te, ha ascoltato con estrema sensibilità l’album e gli ha voluto dare spazio. L’enfasi sulla non-aggressività penso sia appropriata perché sottile: mi pare non si riferisca ad una mitezza ideologica e manierista. Quella sì non sarebbe innocua. Piuttosto credo evidenzi il fatto che i brani tendono a non occupare inopportunamente lo spazio percettivo e attentivo dell’ascoltatore, né compiacciono chi volesse rispecchiarsi in elementi di inutile antagonismo. L’ascoltatore credo si senta rispettato nella sua profondità psicologica, emotiva e anche nella sua vulnerabilità: viene invitato in modo quanto più discreto ad addentrarsi nell’ascolto, senza sentire il rischio di venirne mai invaso o sedotto, con la libertà di poter colmare autonomamente il margine del non-detto.


LG: The Text And The Form è impreziosito da significative collaborazioni artistiche.

FMG: Sì, Antye Greie aka AGF è una leggenda dello spoken word elettronico europeo, Moskitoo una piccola stella della label 12k. La loro partecipazione ha reso l’album non un discorso mio, ma una narrazione aperta al mondo. Il brano Text And The Form, con la voce di Moskitoo, è sicuramente l’epicentro emotivo dell’album, mentre You Are, con AGF, è un’affermazione delicata che permette alla sperimentazione presente nell’album di non essere fraintesa. La loro presenza dà al lavoro la sottile capacità di comunicare in modo più diretto seppur sempre sofisticato. Menziono anche il preziosissimo contributo di Maurizio Bottazzi, che con la sua batteria jazzata, laconica e affilata mi ha permesso di non negare all’album la ricchezza di un elemento percussivo, che per quanto minimale e limitato a tre brani risulta a suo modo decisivo. Poi l’intervento di Alessio Ghionzoli sulla traccia finale Grand Hall Of Encounters, che diventa profondissima grazie ad una sua elaborazione di delay. Infine la flautista Sigi Beare, che impreziosisce la stratificazione sonora dell’ultimo istante di Lolita, brano di apertura.

 



LG: L’attuale ricerca elettroacustica si sta avvicinando sempre più a una frontiera di rarefazione estrema (si potrebbe parlare quasi di lenta ma inevitabile dissoluzione) del suono e della struttura compositiva, un processo in qualche modo affine a quanto avvenuto in ambito accademico nel corso del XX secolo. Al di là di questo orizzonte eventuale troveremo un indefinito amalgama timbrico o emergerà l’esigenza di riappropriarsi di un linguaggio più strutturato?

FMG: L’ambito elettroacustico sarà soggetto anch’esso al rimescolarsi continuo delle cose, non gli sarà dato modo di evolvere in modo impermeabile rispetto al resto. In generale, io sono convinto che si andrà sempre più in direzione di una maggiore ricchezza musicale, saremo sempre più aperti a estetiche sofisticate, siano esse più rarefatte o più strutturate. La fluidità delle contaminazioni e delle ricombinazioni aumenterà di pari passo con la complessità dell’evoluzione umana. Ci sarà sempre di più di tutto, col normale aprirsi e chiudersi di cicli di eccellenza. L’elettroacustica così come la intendiamo oggi forse si dissolverà proprio nel dare il suo prezioso contributo. Forse ciò che oggi in essa riteniamo significativo e speciale lo ritroveremo come linguaggio espressivo acquisito e consolidato in nuove correnti musicali.



LG: Se Forma è Materia allora Testo è Spirito.

FMG: Il titolo The Text And The Form ha molte risonanze, in me una di queste è la convergenza di forma e testo nel segno. Il segno è ciò che emettono, ciò che sono una forma o un testo che esistono al loro stato puro. Credo si percepisca, nell’album, la mia ricerca del segno ultimo in ogni forma sonora o testuale. Nello scolpire le tracce e gli elementi delle tracce, nell’attendere l’emersione di ciò che era essenziale, ero guidato dalla sensazione che si potesse raggiungere una narrazione fatta di segni, magari meditativi nella loro nettezza ma profondamente umani nella loro non-perfezione.


LG: Grazie.

FMG: Grazie a te Luca.

 

 


 

 

https://flau.bandcamp.com/album/the-text-and-the-form


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