TESTING VAULT: LA SCALATA AI SEPOLCRI INVISIBILI

 

 


 

Testing Vault compie vent'anni e Daniele Santagiuliana, l'uomo e l'artista dietro questo multiforme progetto (label, in solo, moniker e alter-ego psicoanalitico) celebra l'anniversario con un sontuoso doppio album, The Ghosts are Thin and Full of Filaments, che riannoda i fili di una carriera puntellata di un numero smisurato di album, audiocassette e produzioni digitali. Due dischi, due Testing Vault, un solo Daniele: il disco A è un museo di ectoplasmi sonori, echi in dissolvenza di composizioni ormai invisibili, consunti simulacri le cui ombre si allungano insistentemente in un'ora del giorno che è sempre sera. Indiscusso strumento solista è un silenzio lirico attorno a cui Daniele erige cornici rumoristiche appena percepibili, immagini residue di una visione periferica, attori impalpabili di una dramma spiritualista.

Il disco B accorpa nuovamente tracce simili per estetica e atmosfera ma al minimalismo esoterico si contrappongono composizioni agitate da loops e frammentazioni ritmiche, come se ai fantasmi del disco precedente stessero ora crescendo ossa e muscoli. 

Un lavoro ambizioso nelle dimensioni e impegnativo all'ascolto, un'inedita antologia della memoria che restituisce l'immagine oscillante dell'ispirazione di Daniele, ostinatamente in antagonismo con se se stesso, come due avatar provenienti da dimensioni contrapposte: eternamente divisi, tragicamente complementari.  

 


 

LG: Siamo a vent'anni di Testing Vault e lo scatto che mi hai gentilmente prestato ti ritrae un attimo prima di fondare il progetto. Tutto è iniziato con l'acquisto di un campionatore, se non erro. Quali strumenti hanno scandito la storia di TV?

DS: Mamma mia, che pischello che ero... Il primo campionatore che ho avuto è stato un Akai S2000. Ai tempi (ma anche adesso in verità) amavo visceralmente gli Skinny Puppy e sapevo che erano il tipo di strumento che usavano Key e Goettel così ne trovai uno di seconda mano che usai in maniera continuativa dal 2003 fino al 2010. Insieme a pedaliere e microfono era tutto ciò di cui avevo bisogno. Ci aggiunsi una drum-machine della Zoom, Rhythmtrak se non sbaglio; era davvero intuitiva e imparai presto ad usarla, mi aiutava molto nell'esplorare le composizioni e le jam che realizzavo nel mio piccolo home-studio sebbene abbia sempre usato poco ritmiche convenzionali. Almeno nei primi tre anni per registrare il tutto utilizzavo un TTascam Portastudio 414 Mk2 (gli overdubs erano un inferno...) Nel 2017 il campionatore fuse e mi diede l'addio ma era stata fino ad allora una macchina indistruttibile, molto più resistente di ogni altra cosa menzionata sopra. Ero molto orgoglioso nell'essere riuscito a campionare con successo un Optigon, dato che trovarne uno è impossibile. Peccato che le canzoni in cui l'abbia usato siano andate distrutte. 

 

LG: Ti riferisci all'Optigan, la tastiera utilizzata dai Kraftwerk in Trans-Europe Express?

DS: Eccola, sì, viene chiamata in entrambi i modi, dipende molto da come viene accreditata.

 

LG: Se non erro aveva basi ritmiche impresse su dischi di celluloide. Devo avere ancora alcuni vecchi campioni da qualche parte, qualcuno lo utilizzai ne L'Oracolo di Berlino. Peccato non avere più i tuoi pezzi...Mi sa che molto del tuo materiale più antico sarà andato perso. Ora che ci penso il primo tuo pezzo che ho ascoltato incorporava una performance con un mellotron. Era in Amnesia Milk, giusto?

DS: Ho un sacco di cassette con versioni multiple dei pezzi che ritenevo salvabili e per ragioni di budget (sono sempre stato ai limiti dello zero) molte cose venivano sovraincise, cancellando così molta roba. In effetti mi spiace ma d'altro canto non pubblicherei mai tutto: ci sono troppe ingenuità che ora mi farebbero sorridere d'imbarazzo... ma va bene così, si cresce! Sì, il mellotron lo possiede un mio amico e per fortuna di tanto in tanto riesco a usarlo. Ci sono virtual instruments davvero validi che lo incorporano ma quello originale è sempre stato uno strumento che mi ha affascinato da pazzi… Sì, l'opening track di Amnesia Milk aveva il mellotron, era un opener per fili elettrici e mellotron. Avrei voluto usarlo di più ma nessun'altra cut di quel disco passò la selezione che applico alle canzoni, che è piuttosto severa. 

 


 

LG: Mi incuriosisce il fatto che definisci i tuoi pezzi "canzoni"quando in realtà sono ben altro. Ma forse tu li vedi e li percepisci in altro modo. Si dice che si inizia sempre a comporre tentando di riscrivere i pezzi che si amano, finendo per dare vita ad altro.

DS: non riesco a definirle "suites" o altro - solo con i due dischi realizzati con viola e strumenti classici (La Cupa e La Stanza Sul Retro) riesco a parlare di composizioni. Le altre cose che ho fatto in effetti per me sono... "canzoni".    Non c'è un refrain o un hook ma non mi sento di definirle in una maniera che, sebbene possa essere più appropriata - soundscapes, installazioni sonore, o cose del genere - le relega in un’ulteriore nicchia ancora più piccola. Potrà sembrare strano ma vorrei che la musica che produco arrivi a più persone possibili pur mantenendo una durezza di fondo piuttosto pesante. Immagino sia ciò che ogni artista vorrebbe, alla fine: raggiungere chi lo ascolta e creare un contatto. Da sempre la mia policy è "registra qualcosa che vorresti comprare". Ti piacciono quegli album? Prova ad avvicinarti ad essi: rispetta l'influenza che hanno su di te e l'affetto che ti lega a loro. Poi da lì quello che esce può essere assai differente ma lo spirito e il tipo di qualità sarà decisamente il medesimo. 

 

 


 

LG: Concordo. Ciò che proponi deve per forza di cose piacere prima a te altrimenti tutto il processo creativo sarà stato solo un artificioso e posticcio tentativo di essere ciò che non si è. Ecco perché i musicisti attraversano varie fasi creative in cui esplorano, si entusiasmano, producono, poi non si ritrovano più in quei suoni e riprendono la ricerca da una prospettiva diversa. Nel tuo caso ultimamente sta prevalendo l'acustica sull'elettronica, mi pare.

DS: Direi di sì. Nei lavori a mio nome sta prendendo il sopravvento la volontà di creare un universo sonoro realizzato con strumenti fallibili, accordati e microfonati in maniera differente, con un utilizzo sporadico dei loops e lo sforzo di suonare fisicamente ogni drone evitando di ricorrere alla post-produzione. D’altro canto, se parliamo di Testing Vault l’approccio è diverso: utilizzo giradischi, nastri e radio - con al massimo un paio di drum machines e tastiere. Tengo separati i due progetti, sperando che la gente li apprezzi entrambi. Ammetto che più di qualcuno ha interpretato queste mie entusiastiche esplorazioni come "cambi di genere". 


LG: Sono binari paralleli, prospettive lievemente differenti di un'unica visione artistica.  Sta capitando anche a me con il progetto Collettivoinconscio che cercherò di tenere separato dal mio percorso solista anche se è inevitabile che andranno a influenzarsi reciprocamente.

DS: È anche sacrosanto che si influenzino a vicenda abitando all’interno dello stesso essere umano.

 


 

LG: Hai mai pensato di produrre altri artisti? Ti vedresti produttore?

DS: Nel 2023 saranno vent'anni da quando ho deciso che Testing Vault sarebbe stato il mio progetto principale nonché la mia personale valvola di sfogo. Ci credevo già da allora e sono felice di vedere che non mi ha mai neanche sfiorato l’idea di mollare. Ho raccolto in questi anni grandi soddisfazioni da parte di persone strepitose. Ho prodotto altri artisti, stampando i loro dischi (Cupio Dissolvi, Ekra ed E Aktion) e in due occasioni realizzando anche il master del disco. Ho anche tenuto a stampa delle collaborazioni davvero valide con Le Cose Bianche e Corrado Altieri, dove curai grafica, distribuzione, master e un 50% del suono. Mi piace farlo ma mi porta via troppo tempo rispetto a ciò che sento come la mia attività principale ossia la creazione da zero. Al momento sento il bisogno di starmene per conto mio. Non è la maniera più produttiva per andare avanti ma mi trovo bene così.

 


 

LG: Hai curato il master di alcuni dischi tra cui anche una release di Albireon. Come affronti la post-produzione di un disco?

DS: Curai il master di un paio di dischi di Albireon in effetti; Davide e gli altri componenti della band sono cari amici e i loro album sono sempre magnifici. La post-produzione la si affronta parlando molto, almeno per me. Mi dai il brano e devi dirmi come lo vorresti sentire: meno loud e più chiaro oppure più classico e con dei bassi rotondi... La canzone arriva e puoi aggiungerle ulteriore colore in molte maniere differenti. Cerco sempre di realizzare due master finali e di mandarli poi agli artisti interessati cosicché possano farsi un'idea - e a volte capita che alcune tracce siano del master 1 e altre del master 2 - ed io le prenda e crei una continuità ulteriore tra le tracce, compresi accorgimenti come attacchi e finali sfumati o eventuali secondi di silenzio, finendo con il realizzare un terzo master che sia cucito sul progetto. È molto divertente, affina il mio orecchio, ma lo faccio raramente; al momento tutta la mia concentrazione è volta a creare composizioni mie che mostrino quel tipo di cura.

 

LG: Molto interessante. Di sicuro puoi affidare un lavoro simile solo a qualcuno con cui si è in sintonia altrimenti il rischio è di vedere snaturato l'intero progetto. Mi vengono in mente esempi illustri al riguardo: produzioni inutilmente sovra arrangiate  che hanno finito per soffocare le idee musicali oppure radicalmente appiattite. Frank Zappa non si fidava di nessuno, faceva tutto da solo.

DS: Ecco, per quanto io (sacrilegio!) non sia fan di Zappa più di tanto, lo capisco in pieno: diciamo che le mie tracce le farei toccare solamente da poche, pochissime mani. Deison e Simon Balestrazzi sono gli unici due nomi che mi vengono in mente che so che riuscirebbero a trattare le cose che faccio esattamente come vorrei io.

 


LG: Nessun sacrilegio, figurati. Non esistono dei né simulacri nel mondo della musica a mio parere. Esistono però artisti che lasciano un segno indelebile nel nostro immaginario. Penso a Rozz Williams e a Paul Taylor ad esempio e a come la loro arte così intrisa di nichilismo e autodistruzione abbia avuto su di te un valore quasi terapeutico.

DS: È un buon punto quello che vai a toccare. È strano effettivamente come molte volte la musica, anche la più pericolosa (e non è un aggettivo usato in maniera superficiale) - come può essere un Wound Of Exit o un The Whorse's Mouth di Rozz Williams o il recente Songs From A Hospital Bed di Paul Taylor - possa incanalare il peggio di te, gli angoli più brutti, quelli a cui non vorresti pensare: azioni e pensieri riprovevoli o pericolosi per te o altri. Album come quelli che ho citato sono caratterizzati dalla volontà di oltrepassare quella che è la linea di demarcazione dall'uscire sani e salvi da una propria creazione al caderci dentro per sempre. Nel caso di Wound Of Exit e PIG di Rozz Williams la mia ossessione nei loro confronti è stata tale da arrivare ad avere due polaroid originali e un sacco di memorabilia legate al disco e al film che gli sono appartenute e che mi sono state donate dai suoi amici. Paradossalmente quest’ossessione mi ha salvato da me stesso. Nel periodo più felice della mia vita pensavo sempre alla Fine mentre ora, dopo un anno orribile, non ci penso proprio, anzi. Per quanto un album possa essere potente sono pochi i brani o i concept che arrivano a sconvolgerti così in profondità. La mente e l’umore di chi ascolta devono essere già parzialmente compromessi. Ed è lì che avviene la catarsi. Ho passato anni molto autopunitivi: mi affascinava molta musica ma poca veramente mi prendeva dentro. The Disintegrator nacque come un omaggio a Wound Of Exit e lo ritengo tutt'ora uno dei lavori più coerenti e massicci che potessi fare: quattro ore di musica suddivisi in sei album e un libro, in cui prendevo la forma delle composizioni dell'album dei Premature Ejaculation per poi riproporle con la mia modalità, lasciandole nell'ordine di uscita, creando un sacco di numerologia. Un concept album piuttosto cervellotico ma anche colmo di musica catartica. Ne vado fiero ma ne uscii a pezzi, con almeno due esaurimenti nervosi nel produrlo e suonarlo. Quello fu il modo in cui la musica altrui mi salvò, facendomene creare di mia, senza arrivare lontano quanto arrivò Rozz. Per fortuna.

 

LG: Quando ritrovi i tuoi stessi demoni nel lavoro di un altro artista capisci di non essere un errore genetico.

DS: Capire che qualcuno ha tracciato la stessa linea prima di te in maniera così esatta può farti uscire da un circolo vizioso che altrimenti si sarebbe concluso tragicamente. Loro hanno già pagato, anche per noi. Ti alleggeriscono del peso che porti e al tempo stesso donano ulteriore profondità alla tua identità. Scusa se sono un po' stringato nelle risposte ma al momento sto badando ad un cane che non mi lascia un attimo di respiro!

 


 

LG: Non ho mai avuto cani ma gatti sì. E non posso non ripensare a una tua foto postata molto tempo fa in cui eri in compagnia di Mao, un gattone dall'aria da pensatore. Potremmo chiudere questa conversazione parlando di lui.

DS: Quel gatto mi manca moltissimo. Mi salvò letteralmente la vita durante un crollo psicofisico dodici anni fa. Mi rimase accanto tre giorni e tre notti senza neanche andare a bere. Era anche un grande fan dei Godflesh, ma se avessi azzardato a mettere i Ministry si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato. A lui devo tutte le tracklist degli album di TV fino al 2013. 

 

LG: Grazie Daniele. 

 


 

https://testingvault.bandcamp.com/




 

 


 




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