ELIDE BLIND: OCCHI NEL BUIO, FORME DEL VUOTO

 

 


 

Videomaker e fotografa, diplomata al corso di Fotografia, Cinema e Televisione presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, Elide Blind indaga in profondità una sua personale dimensione mentale in cui convergono presenza fisica e rarefazione astratta, attraverso un processo creativo da sempre refrattario all’automazione digitale e dominato da componenti analogiche, espedienti artigianali e strumenti autocostruiti. Il legame tra Elide Blind e la musica è ormai consolidato, avendo collaborato nel tempo con importanti esponenti della scena sotterranea italiana, realizzando videoclips le cui immagini e ambientazioni imperscrutabili si avvitano come spire alla musica che le ha ispirate divenendo espressione unica di suggestioni condivise.

 

 

LG: Terra Cava è tra i significati possibili del nome Elide; cieco/a è la traduzione letterale di blind ma può anche essere tradotto con l’espressione gli occhi chiusi.

EB: Lo pseudonimo Elide Blind è il riflesso di quella che è la mia passione per la musica, nella vita e nel lavoro in egual misura. È un omaggio a due delle band che più ascoltavo in quel periodo - questo moniker ha quasi vent’anni di vita! – Elide da Mille anni con Elide dei Verdena e Blind dei Korn. Non ho mai preso in considerazione l’etimologia del nome Elide, per quanto riguarda blind invece sento sicuramente un’affinità stilistica. La sfocatura delle forme, le sagome dai contorni poco definiti e la scarsa visibilità in generale possono nell’effettivo identificare e descrivere il mio approccio all’immagine come blind.

LG: Il foro stenopeico è l’occhio attraverso il quale scruti la realtà ma è anche il sottile varco verso una dimensione altra.

EB: Lavoro molto con il reale e con quello che ho davanti ai miei occhi; sembra paradossale guardando le mie produzioni, lo so. Il foro stenopeico (così come la videocamera o qualsiasi altro dispositivo in grado di imprimere o registrare immagini) è solo un mezzo: sono le manipolazioni e le distorsioni delle immagini a trasformare il reale in qualcosa di nuovo, più oscuro e misterioso. Le figure perdono ogni connotato umano e tutto sembra offuscato, nebuloso e indecifrabile in una dimensione priva di qualsiasi collocazione spazio-temporale.

 


 

LG: La traduzione di un’esperienza sonora in termini visivi non è un processo solo cerebrale ma anche sensoriale.

EB: …e a volte anche emotivo. Di fronte alla commissione di un videoclip la mia richiesta alla band è quella di condividere il concept del brano e dell’intero album, l’immagine di copertina, il testo (se c’è), spunti, suggestioni, parole chiave e immagini: tutto ciò mi permette di entrare con la mente e con l’anima nel progetto. Digerisco e metabolizzo ogni informazione secondo la mia visione e a volte anche attraverso il mio vissuto, che in qualche modo viene proiettato in maniera più o meno diretta in ogni mia produzione. La traduzione in immagini è strettamente collegata a ciò che la musica mi ha ispirato; anche la scelta dell’uso del bianco e nero o dei colori è dettata dalle atmosfere della traccia. I personaggi che abitano il video e le loro azioni sono invece il frutto di una forte connessione emotiva tra me e il brano – in primis – ma anche tra me, i componenti della band e gli attori stessi. Sorrido pensando a set di alcuni videoclip in cui il tempo effettivo di ripresa è stato decisamente inferiore rispetto al tempo dedicato al brainstorming e ad uno scambio interpersonale molto più simile ad una seduta di psicoterapia che ad uno shooting video. Farfalle dei Cani dei Portici, Toxic di Vespertina e Strega dei Die Sunde sono i primi esempi che mi vengono in mente.

 


 

LG: In molti hanno elogiato l’aspetto materico del tuo lavoro che lo rende accostabile più alle avanguardie pittoriche che al mondo dei videomakers.

EB: Gli effetti nei miei video - così come nelle mie foto - sono tutti realizzati in fase di ripresa. Tratto la materia digitale come se fosse analogica, deformando le immagini in modo totalmente artigianale e manuale. Credo che quello delle riprese sia il momento più creativo, in cui studio e penso a modi sempre diversi per imprimere la resa finale già in fase di shooting. Gli effetti sono materia vera, a volte anche viva e organica. Non c’è limite al materiale da poter usare: uova, farina, vaselina, crema per le mani, pittura. Non uso plug-in da applicare e gestire attraverso parametri riproducibili infinite volte in postproduzione. Potremmo considerare questa fase come una performance: a determinato movimento di camera e determinata condizione di luce corrisponde un preciso effetto che io stessa non sarei capace di realizzare allo stesso identico modo per due volte consecutive. 

 


 

LG: La storia dei videoclip musicali è costellata di rari trionfi artistici in un oceano di montaggi imbarazzanti. Credo sia realmente una sfida per un regista non cedere ai tanti cliché di un genere ormai avvizzito e allo stesso tempo trovare un punto di contatto con le richieste dei musicisti.

EB: Da questo punto di vista mi considero estremamente fortunata. Per la quasi totalità dei videoclip a cui ho lavorato finora ho ricevuto il dono più grande a cui un videomaker possa ambire: la “carta bianca”, sinonimo di una completa e cieca fiducia nel mio operato. Come ho spiegato poco sopra è di fondamentale importanza per me trovare un punto di connessione tra ciò che andrò a realizzare e l’immaginario musicale della band per la quale sto lavorando. Prima di procedere infatti spiego a grandi linee quale sarà il risultato che vorrei ottenere e in che modo, una volta concordato il tutto, si potrà procedere alla fase di ripresa. A volte - può succedere, lo ammetto - se non percepisco il brano proposto come una fonte di ispirazione rinuncio alla commissione di lavoro. Dal momento che il fine per il quale viene prodotto un video musicale è di promuovere la vendita dell’album - e il videoclip allo stesso tempo - ci tengo particolarmente che entrambe le parti siano pienamente soddisfatte.

LG: Cose e persone che non vorresti in alcun modo fotografare e filmare.

EB: Probabilmente ci sono dei contesti che eviterei di filmare ma credo che sia più per timore che mi vengano richiesti i soliti video documentativi. Se potessi farlo con la mia impronta stilistica e senza limitazioni espressive potrei riprendere davvero qualsiasi cosa, da una partita di calcio ad un video hard, da un evento in un locale a un matrimonio.

 


 

LG: Elide, biografia di un futuro eventuale.

EB: Il futuro mi spaventa e per questo cerco di allontanare ogni pensiero al riguardo. Una strategia un po’ subdola che la mia mente attua per salvaguardarmi dalle delusioni. Non mi creo aspettative e non mi prefiggo obiettivi impossibili da raggiungere. Preferisco continuare a lavorare mantenendo il solito basso profilo e scoprire man mano cosa succederà. Di una cosa però posso ritenermi soddisfatta: a otto anni guardavo i video in rotazione su MTV e pensavo “da grande vorrei fare videoclip”. Non so se a trentatré anni ci si possa ritenere grandi però sembrerebbe che io stia realizzando il sogno di una giovane e inconsapevole Manuela.

LG: Grazie.




https://www.elideblind.com/

 


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