STEFANO DE PONTI: NELL'EREMO DELLA PIETRA VIVENTE


 

 

Stefano De Ponti, La Natura delle Cose Ama Celarsi (Archive Officielle Publications)

 https://archiveofficielle.bandcamp.com/album/la-natura-delle-cose-ama-celarsi

 

Impressioni d'ascolto a cura di Peppe Trotta


Materia che diventa suggestione innescando un processo creativo in elaborazione costante. Una tensione simile ha generalmente come obiettivo ultimo il raggiungimento di una forma definita, una cristallizzazione terminale immutabile. Ma cosa accade se il cardine dell’esplorazione è la ricerca in se stessa, se ciò che spinge in avanti il meccanismo progettuale è la volontà di ampliarne l’orizzonte attraverso un costante rimettersi in discussione e un aprirsi a chi voglia esserne a vario titolo parte attiva?
Risiede in questo spostamento di intenzione, nel rapporto peculiare tra autore e fruitore l’essenza del lavoro proposto da Stefano De Ponti, indagine nata dall’osservazione della Pietra Serena - arenaria endemica del territorio da lui abitato – e sviluppata in un arco di tempo “necessario”, invitando a riflettere sul senso del fare arte nel mondo contemporaneo.

 

In conversazione con Antonio Tonietti e Luca Giuoco

 

AT: La Natura Delle Cose Ama Celarsi esce in un formato molto particolare, una pietra con inciso un codice QR. Come ti immagini il fruitore medio di questo oggetto? Pensavi ad un particolare tipo di ascoltatore oppure non è un aspetto che ti interessa nel concepire una tua opera?


SDP: Non ho un destinatario specifico, il mio riferimento è l’opera e prima ancora il processo di lavoro, in cui la relazionalità ha un ruolo centrale. Può essere poi fisiologico, in una certa misura, empatizzare con la proiezione di quello che vorrei fosse il fruitore ideale, ma non me ne preoccupo… è la lealtà nei confronti dell’idea che conta. Se durante il processo di creazione non si tradisce l’idea, dall’inizio fino al momento della condivisione, quello del fruitore è un aspetto che si autodetermina. Bisogna avere fiducia e restare coerenti e leali nei confronti dell’idea, in attesa dei suoi tempi e in ascolto delle sue esigenze.


LG: La Pietra Serena è il paradigma materico, sonoro e concettuale de La Natura Delle Cose Ama Celarsi.


SDP: La Pietra Serena mi è apparsa come una sorta di genius loci, attorno al quale si è poi delineato un immaginario esteso tutt’ora irrisolto e che prevede l’integrazione di nuovi elementi naturali.

 

 

credits: Andrea Berti

 

AT: Nella copertina di Physis, tuo lavoro del 2017 in coppia con Eleonora Pellegrini, è presente una cava. Mi chiedo se sia la stessa a cui poi hai dedicato buona parte del tuo lavoro successivo o se si tratti solo di una tua fascinazione verso questo materiale.


SDP: Sono macerie abbandonate di un edificio dimenticato, in un tempo e in un luogo imprecisati… non nego che il mio immaginario di riferimento subisca il fascino per la terra nelle sue più varie declinazioni… infatti, anche se concettualmente Physis partiva da altri presupposti, c’è una certa coerenza con La Natura delle Cose Ama Celarsi e anche una certa continuità, sia nell’estetica che nello sviluppo di alcuni temi universali quali il rito, il gesto e l’ecologia, intesa questa nella sua accezione più ampia.

https://vimeo.com/551501902

 

 

LG: Nella tua ricerca sonora le pietre vengono agitate e sfregate come a ripetere un gesto atavico. Da una prospettiva squisitamente musicale questo lavoro è - tra le altre cose – anche uno studio di ritmica elettroacustica minimale.


SDP:


“D’un tratto, al suono di un piccolo sasso,

al suono di un bambù,

tutto ho dimenticato. Le idee che mi affollavano la mente sono svanite,

si sono dissolti i pensieri contorti”


Kyogen


Spazio, vuoto, dilatazione, contemplazione, respiro, gesto, pausa, abbandono… sono alcuni dei temi alla base di questa ricerca, attraverso la quale sto ridefinendo in maniera radicale le mie modalità di lavoro. A partire dal gracidare cromatico del chakpur usato in Impermanenze, passando attraverso gli sfregamenti materici di Relazione Minima e gli intervalli risonanti tra un respiro e l’altro di Cimento, fino al suono coriaceo del bone speaker contro la pietra per attivare i Transient Mobiles, ho cercato progressivamente di decostruire, di farmi guidare sempre più dall’istinto e dal corpo e sempre meno dalla mente. Nei prossimi sviluppi, forte di una struttura concettuale solida, intendo concentrarmi ancora di più sulle intenzioni, sulle condizioni di ascolto e di fruizione, cercando di organizzare sempre meno, definendo al massimo un perimetro spaziale e poetico in cui fare emergere e accogliere eventi percettivi spontanei.

 

credits: Andrea Berti

AT: “Io conosco gli umani e preferisco le pietre” canta Benvegnù. Da un po’ di anni hai deciso di chiudere i tuoi canali social e concentrarti unicamente sul tuo lavoro. Non hai paura che una scelta del genere possa avere ripercussioni sulla tua visibilità come artista?


SDP: Il tipo di visibilità social non mi interessa, la trovo superficiale e dannosa. Si prende troppo tempo e troppe energie, influendo al tempo stesso negativamente sul processo di lavoro e sui rapporti. In questi ultimi anni ho cercato dinamiche di confronto in presenza, senza avere fretta di ricevere riscontri effimeri, costruendo rapporti autentici con diversi colleghi diventati poi amici, intercettando realtà sul territorio che stanno ancora credendo nel mio lavoro e lo sostengono senza compromessi, facendolo crescere e dandogli visibilità. Questo basta e avanza, nel senso che già così spesso faccio fatica a essere presente per loro con l’attenzione che vorrei…

 

LG: La ricerca di una connessione con l’ambiente naturale è spinta al limite in questo progetto, al punto da far pensare a un’urgenza mistica. Il pensiero va alle cattedrali della preistoria.


SDP: La cava è stato in effetti il mio eremo, che ho abitato compatibilmente con le esigenze della mia vita quotidiana fatta di impegni familiari e lavorativi, ai quali non solo non potrei rinunciare, ma che anzi nutrono e guidano costantemente il mio fare. E anche il tuo riferimento alla preistoria è legittimo e puntuale… condivido la visione di Bataille secondo cui “l’arte nasce e muore a Lascaux”.

L’ancestrale mi attrae da sempre, soprattutto se messo in relazione con il contemporaneo in una sorta di cortocircuito spazio temporale che genera un “futuro antico”.

 

credits: Andrea Berti

AT: La pietra come strumento alla base della composizione musicale non è più una novità assoluta, penso a Stephan Micus e a Pinuccio Sciola fra gli altri ma rimane comunque una opzione piuttosto radicale. Senti di avere dei padri e magari hai individuato già dei figli nel percorrere questa via poco frequentata? E soprattutto sei in grado di stabilire quale sia la molla che faccia scattare una simile esigenza?


SDP: Micus e Sciola non sono tra i miei punti di riferimento. Rispetto il loro lavoro, mi incuriosisce, ma non mi smuove… nei confronti della materia il mio approccio è più indiretto e quello che cerco di trarre da essa, almeno inizialmente, è una suggestione e non una funzione. Non intendo la Pietra Serena come uno strumento su cui agire, ma come materia viva da ascoltare, passandoci attraverso… un agente modificante e carico già di per se di risonanze passive che vibrano per sinestesia: il colore, la temperatura, l’umidità e la resistenza, il punto di rottura, il luogo di provenienza… in questo senso mi sento più vicino alle opere e alla pratica di artisti come Alighiero Boetti, Agnes Martin, Burri, Takesada Matsutani, ispirato dalla scrittura di Kafka, Parise, Candiani e alle ricerche di Clement, Di Martino, Strauss, Schafer… per citarne alcuni.

https://vimeo.com/711547965

 

LG: La Natura Delle Cose Ama Celarsi rientra a pieno titolo all’interno di un ventaglio di ricerche elettroacustiche estremamente lontano dalla percezione comune di cosa debba essere considerata musica. Nel titolo stesso è presente un implicito invito a non accontentarsi di ciò che giace in superficie.


SDP: “Musica è tutto ciò che si ascolta con l’intenzione di ascoltare musica”. Faccio mia questa affermazione di Luciano Berio, che esprime il mio pensiero meglio di come potrei farlo io stesso, ma nel cercare di rispondere alla tua domanda mi chiedo: qual è la musica considerata tale dalla “percezione comune”? E cos’è poi la percezione comune? Per sua natura la percezione è qualcosa di personale, di soggettivo… non potremmo invece affermare che un certo condizionamento, partito da gusti imposti attraverso mode e tendenze, che prescindono dalla qualità della proposta, possa affermare un certo modo condiviso, rassicurante e quindi comune del “sentire”? 

https://licheni.nubprojectspace.com/stefano-de-ponti/

 

LG: Grazie.

 

www.stefanodeponti.it

 


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