MAOROORO: INSCINDIBILE RISONANZA



 

 

Due voci distinte si fondono confondendosi, due visioni peculiari convergono verso un enigmatico orizzonte comune in cui il definito smette di avere senso. È tutt’altro che abusato il termine sperimentazione abbinato all’universo risonante costruito da Francesco Cigana e Luca Perciballi in Empires, percorso di ricerca fertile, orientato ad indagare le possibili risultanze di un uso improprio ed imprevedibile delle rispettive strumentazioni. Nelle architetture aurali erette, a dominare è il potere evocativo di suoni trasfigurati e resi cangianti, a tratti indistinguibili. La vibrazione delle corde può dettare il ritmo, il battere e sfregare su pelli e oggetti disegnare fondali lussureggianti. La costante è spiazzare, rendere le forme inattese generando un territorio – escheriano? - immaginifico in cui tutto è possibile e nulla (o quasi) è ciò che sembra.

Peppe Trotta



LG: le meccaniche logiche ed emozionali di Empire: a cosa volevate dare vita?

LP: Trovo sempre molto difficile rispondere a domande riguardanti il contenuto delle mie produzioni: penso che la ragione ultima della mia scelta di operare con il medium musica sia la possibilità di comunicazione non verbale, non sempre logica che la musica possiede. In poche parole si sta parlando di un livello comunicativo esclusivo del mezzo e non trasferibile alla parola; possiamo ragionarci attorno a posteriori o descriverne i processi. Il lavoro paziente dell’improvvisatore è quello di scavare, indagare un processo/contenuto che sia adatto alla situazione: nel caso specifico di Maorooro il dato di partenza è stato l’incontro umano fra me e Francesco, la volontà di suonare assieme e di sviluppare un progetto autonomo, diverso dalle precedenti esperienze estemporanee che ci avevano visto sullo stesso palco. Da lì inizia il certosino lavoro di analisi, discussione e selezione razionale di strumenti, modalità e materiali che concorrono alla definizione ampia di un suono. Qualsiasi altra dichiarazione di intenti non può che essere fatta a posteriori.

FC: Conoscevamo le rispettive possibilità timbriche e da subito l’intenzione è stata quella di provare a fondere davvero i nostri suoni, sforzarsi in quella direzione. La logica che muove questo lavoro è senz’altro quella. Spesso come conseguenza si mettono in campo suoni simili mentre qui si è cercato di trovare una forte unione tra elementi diversi ma che si potessero legare, fondere in una lega binaria (facendo un parallelismo metallurgico) in cui il risultato è differente dai due elementi di partenza. Il come gestire quel suono nel tempo riguarda più il lato emotivo, la direzione da dare a quel suono si stabilisce sul momento, in base alle sensazioni che ricevi da quel suono. Anche in questo caso abbiamo mirato a produrre una fotografia sonora, scevra da quella componente umana che è la narrazione.

 

LG: In questo lavoro corde, pelli ed elettroni sembrano subire un processo di osmosi il cui risultato finale è un indistinguibile (e irreversibile) amalgama sonoro.

LP: Riprendendo quanto detto nella domanda precedente, l’amalgama sonoro unico è stato il processo guida che abbiamo selezionato, l’obbiettivo ultimo del duo. Dopo alcune sessioni di improvvisazione ci siamo resi conto che i momenti più interessanti del nostro fare performativo insieme fossero stati proprio quelli in cui fosse indistinguibile capire la fonte sonora che li aveva prodotti. Ogni brano di Empires nasce dalla selezione di una tipologia sonora, gestuale o organicamente materiale, da riprodurre ed esplorare senza un vero e proprio sviluppo ma con l’attenzione esclusiva alla mimesi, alla fusione tra in nostri strumenti. Francesco ha sviluppato negli anni un enorme vocabolario di gesti sonori e un’enorme collezione di strumenti; io ho fatto altrettanto nel rapporto con lo strumento, il gesto performativo e l’elettronica analogica, unendo negli ultimi due anni un interesse morboso per la preparazione degli speaker. Di fronte a quest’ampia scelta di possibilità, il passaggio che ci ha permesso di registrare Empires è stato quello di trovare tecniche di emissione/produzione/manipolazione del suono che ci permettessero di amalgamarci in modo inscindibile. 

 

LG: Le percussioni di Empires tra improvvisazione, estemporaneità e scrittura cerebrale.

FC: La famiglia di strumenti con cui ho la fortuna di esprimermi è ricca e varia, sotto tutti i punti di vista. Per me non sono semplici strumenti musicali, sono chiavi, formule magiche. Accumulare l’esperienza necessaria per poter esprimere nel modo più preciso possibile quello che suggerisce il mio istinto o un'eventuale progettualità è uno dei miei scopi come artista. Lo scarto che inevitabilmente incorre in questo processo è parte della bellezza e della soddisfazione del mio lavoro: può far sorridere ma è il disattendere i miei pensieri e le mie anticipazioni che mi dà la voglia di continuare in questo percorso, la sorpresa e la scoperta sono insite nel mio approccio. In Empires ogni brano aveva un certo margine di preparazione, ragionamento, scarto, scoperta e adattamento comune. In alcuni casi il processo di fusione è stato rapido, in altri più lento e incerto. Belet Memories non ero certo sarebbe venuta così finché non l'ho sentita mixata a dovere. Ci sono quindi dei necessari leap of faith che in questo caso si sono concretizzati felicemente anche grazie alle sapienti orecchie di Mirko Brigo e Daniel Grego. Spesso la difficoltà è creare un suono comune a metà tra i musicisti, al centro. Sto parlando proprio in termini di prossemica, ed è un ragionamento molto meno banale di quanto si creda, ha a che fare anche con il tipo di proiezione sonora che ogni percussione ha, non essendo uno strumento amplificato… Riproporre live questo disco avrà anche quella sfida e svelare come sono stati ottenuti certi suoni è tanto piacevole quanto un processo di cui delle volte farei a meno; ma l'occhio vuole la sua parte, si sa.

 


 

LG: Processare elettronicamente la chitarra conduce a spesso a risultati diversi rispetto ad un sintetizzatore per quanto si utilizzino i medesimi effetti. Non sempre il comportamento delle corde è prevedibile e questo rende tutto estremamente interessante.

LP: Il mondo della cosiddetta elettronica poggia su basi vecchie di almeno di 70 anni: l’analisi del suono e gli effetti comunemente usati per manipolarlo hanno una storia ormai consolidata quindi praticamente tutti utilizziamo le stesse cose. Il mio lavoro con la chitarra rivendica orgogliosamente la natura analogica e non digitale dello strumento, consapevolezza che coinvolge inevitabilmente anche gli effetti digitali che utilizzo sia sul piano concettuale che di produzione sonora. La chitarra è un generatore fisico, performativo di suoni acustici che vengono amplificati (battiti, sfregamenti, pizzichi, vibrazioni) in modo piuttosto rudimentale da magneti: penso che questo non vada mai dimenticato. Se investo di questa consapevolezza anche le successive manipolazioni digitali otterrò un suono organico, che agisce come presenza fisica, ingombrante, quasi come il corpo fisico di un danzatore in scena. L’uso di speaker preparati, che si trasformano da veicoli dell’output sonoro a strumenti a percussione dotati di autonomia, si inserisce in quest’ottica di organicità sonora un po’ brutista. Devo dire che i miei processi, pur dipendendo da variabili quali il luogo fisico in cui vengono prodotti e le sue risonanze, sono assolutamente controllabili e prevedibili dal me performativo: il mio studio ha proprio a che fare con questo. Paradossalmente l’elettronica contemporanea basata sul algoritmi generativi o i vecchi sintetizzatori analogici sono in possesso di un grado di imprevedibilità maggiore! Sicuramente la versatilità e l’immediatezza della cara e vecchia chitarra elettrica le permettono una maggior chiarezza comunicativa in campo sonoro.

 

LG: Perché Dissipatio.

FC: Dissipatio l'ho scoperta anche grazie a te. Sono costantemente alla ricerca di etichette interessanti per cui quando ci siamo sentiti per la recensione di Shells (mio disco con Marco Colonna) ho curiosato un po' in giro nel tuo progetto collettivoinconscio, mi ha incuriosito il nome dell'etichetta, ho dato un occhio al resto delle uscite e ho visto diversi nomi che conoscevo e con intenti simili. In quei giorni eravamo letteralmente nella fase: "ok, cerchiamo qualcuno a cui questa cosa possa interessare". Così, dopo aver chiesto a Nicola se fosse interessato, eccoci qui. Con Nicola abbiamo un modo di lavorare simile, ci siamo trovati davvero bene! 

 

LG: Nicola, in qualità di producer hai scelto ancora una volta di produrre un progetto che ha in sé sia il colore dell’indefinito sia l’ampio respiro di un’opera visionaria.

NQ: L’indefinitezza fa parte del DNA di Dissipatio già dal nome stesso. Questo lavoro, come praticamente tutte le uscite fino ad oggi, è un concept, approccio fuori dal tempo, ma mi sono accorto solo a posteriori che tutti gli album pubblicati hanno in comune un’idea d’indefinitezza del suono, con percorsi e stili anche parecchio lontani, che di volta in volta toccano il tempo, l’ambiente, la memoria, il genere e molto altro ancora ma sempre con modalità atipiche ed astratte. È stato davvero eccitante scoprire i Maorooro, Luca e Francesco utilizzano i loro strumenti con modalità assolutamente fuori dagli schemi, ma è il gusto della composizione che emerge prepotentemente che fa davvero la differenza. Spesso vedo ‘colleghi’ di label molto blasonate che dichiarano candidamente di pubblicare solo lavori di ‘amici’: mi chiedo come sia possibile lavorare in questo modo, dove sta il piacere della scoperta? la sorpresa nel trovarsi di fronte qualcosa che prima si ignorava? Per me è completamente l’opposto: è chi conosco che deve sorprendermi con qualcosa che esca dal proprio recinto, forse è questo che cerco nelle mie produzioni, lo stupore.   Empires con il suo volgere denso si configura sin dall’apertura come un album estremamente visionario ma allo stesso tempo intelligibile per chi non si pone limiti o steccati, è bello guardare oltre nella musica così come nella vita.

 

LG: Grazie.

 


 

https://dissipatio.bandcamp.com/album/empires

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