KOYAANIS NAQOY: LETTERE DALLA FINE DELL’ANTROPOCENE




Dalla nascita dell’industrial il comune denominatore di molte (se non tutte) le produzioni musicali assimilabili a questo genere è il profondo pessimismo nei confronti della sopravvivenza della razza umana. A dire il vero, la precedente spinta positivista del beat e del primo rock progressivo si era già esaurita, lasciando il posto al fenomeno punk e alla sua furia (auto)distruttiva.

Con l’industrial il pessimismo diviene nichilismo, la rabbia muta in angoscia insostenibile e le miriadi di sottogeneri nati, defunti e resuscitati nel corso dei decenni continuano a condividerne le intenzioni, in tutte le loro possibili declinazioni, da quelle più sincere e perfino poetiche fino alle insulse imitazioni.

Koyaanis Naqoy è un progetto di Andrea Doro che ben si colloca nella corrente più disincantata e brutalmente pessimista. Le sei tracce del suo EP di esordio KN (2023, Hysm Records) sono distillati solidi di clangoroso rumorismo elettronico, ripetizioni minimali e gelide pulsazioni kraut post-mortem, logore vestigia della nostra società rinvenute in un lontanissimo futuro da archeologi interstellari. Un cumulo di hard-disk inservibili, smartphone e PC abbandonati alle intemperie e all’azione corrosiva delle piogge acide: una visione apocalittica, descritta utilizzando quegli stessi mezzi di cui l’autore prevede (non a torto, aggiungerei) la loro prossima ed eterna obsolescenza.



LG: Koyaanis Naqoy: nascita ed evoluzione di un progetto smarrito e ritrovato.

AD: Koyaanis Naqoy nasce in una notte di tempesta intorno al 2015. Stavo attraversando un periodo parecchio turbolento, uno di quei periodi in cui le principali certezze vengono offuscate dalla nebbia e l’insicurezza domina su tutto. L’unico mio rifugio era uno scantinato ricolmo di strumenti musicali di tutti i tipi; ci passavo intere giornate ma non riuscivo a concludere niente. Mi sentivo oppresso, continuavo a cercare, cercare, cercare le parole giuste, il messaggio giusto, la musica adatta. Poi ho rivisto per l’ennesima volta un paio dei lavori del cineasta sperimentale Godfrey Reggio e qualcosa è scattato in me. In una notte ho registrato non so quanti file di campioni, micro-campioni, effetti audio e così via. Nei giorni successivi, riascoltando tutto il materiale però l’insicurezza ha prevalso ancora, quindi ho chiuso tutto dentro una cartella e in qualche modo sono andato avanti. Questa cartella è riaffiorata per puro caso, durante il 2021, nel bel mezzo del grande evento globale. Quasi per gioco ho caricato i file su Ableton e li ho fatti partire tutti insieme. E qualcosa è scattato di nuovo. Ho immaginato un mondo disabitato, l’essere umano ormai estinto da tempo, qualcosa o qualcuno che per puro caso arrivi sul pianeta e riesca ad accedere ad una parte di ciò che la specie umana ha creato: film, musica, arte. Come potrebbe interpretarlo? Il resto è abbastanza semplice, mi sono seduto e ho lasciato che la bestia ferita si mettesse a sanguinare. 

 

 

LG: Dalle esperienze di poesia performativa alle esplorazioni sonore. Il ruolo del duo Kaspar Shauser nel passaggio tra le due forme di espressione artistica.

AD: Siamo sempre nel 2015 e con l’amico e poeta Frankie Fancello stavamo esplorando il concetto di poesia violenta. Entrambi abbiamo in comune l’amore artistico incondizionato per William Burroughs e i Coil: volevamo fare qualcosa di simile, qualcosa che fosse musicalmente violentissimo e liricamente devastante, apocalittico. Secondo me, in parte ci siamo riusciti, di registrato c’è poco e nulla purtroppo, forse qualcosa su soundcloud. I live erano un’esperienza per noi estremamente divertente: oltre all’harsh noise e ad altre mitragliate sonore facevamo partire delle strumentali techno/rave e contemporaneamente performavamo canzoni anarchiche e poesie nostre.



LG: Nel tuo studio trovano posto le macchine artigianali di Massimo Olla e Nicola Locci: quali loro caratteristiche ti hanno spinto a preferirle ai marchi blasonati della sintesi sonora?

AD: Nel periodo Kaspar Shauser usavamo già un primo modello di D.R.A.R.T di Nicola Locci e avevo già avuto il piacere di ascoltare le macchine di Massimo Olla ad un concerto/performance in trio con Becuzzi. Per il mio progetto avevo bisogno di suoni tutt’altro che puliti; quindi, è stato un passaggio abbastanza ovvio. Mi piace tantissimo il loro tipo di approccio alla generazione del suono. 

 



LG: Oggetti abbastanza smarriti del 2018 è la tua prima raccolta di poesie: qual è il filo rosso che lega la tua natura lirica all’algido suono di Koyaanis Naqoy.

AD: Sono i due opposti, quasi speculari. Oggetti abbastanza smarriti non è realmente una raccolta di poesie. È un testo costruito e assemblato come se raccontasse una storia, una sorta di narrazione poetica divisa in tre parti, usando tre stili differenti per complessità e idee. K/N EP, al momento l’unica registrazione che porta il nome di Koyaanis Naqoy è appunto l’opposto, una sorta di improvvisazione continua con pochissime parti strutturate e la totale assenza di voci umane o parole registrate. 

 

 

LG: Koyaanis Naqoy Futuro Prossimo.

AD: Sicuramente vorrei interagire di più con le immagini. Attualmente, durante i live utilizzo dei visual creati da me, in cui dominano i colori acidi e ipersaturi. Nel prossimo futuro da questo punto di vista mi piacerebbe sperimentare qualcosa di più complesso, sempre dal vivo. Per quanto riguarda la parte musicale, sicuramente l’obiettivo sarà ampliare il parco macchine non convenzionali con altri strumenti artigianali, sia di Olla e Locci sia di un altro paio di costruttori pazzi che tengo d’occhio da un po’. Inoltre, sto iniziando a confrontarmi con altri musicisti e i risultati mi stanno lasciando piacevolmente sorpreso. Penso proprio che il progetto Koyaanis Naqoy continuerà ad evolversi anche in futuro.

 

 

LG: Grazie.

AD: Grazie a te per la cura e lo spazio. 

 


 

 

https://hysm.bandcamp.com/album/kn-hysm-156

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