SWANZ THE LONELY CAT: LA TRAGEDIA DEFINITIVA


 

 

Nato inizialmente come un lavoro su commissione per una rappresentazione teatrale, Macbeth si è gradualmente arricchito di ulteriori tracce fino a prendere la forma di un album suddiviso in due suites, ora edito da Toten Schwan e EEEE.

Gli incubi del re e le fosche profezie che determinano il compiersi del suo destino sembrano materializzarsi nella prima suite in forma di incombenti pulsioni industriali e stridenti clangori metallici, simili a lame che squarciano una spessa coltre di nebbie sintetiche, in contrapposizione al rassegnato languore della seconda suite. Sono i due volti della tragedia umana, una perenne dicotomia che lacera l’intero corso dell’esistenza. Il tumulto emotivo dell’opera originale è restituito attraverso il linguaggio contemporaneo della musica di confine (drone, dark-ambient) in cui anche i pochi monologhi presenti sono per lo più inintelligibili. Pur rimandando i titoli alle numerose scene rappresentate nella tragedia, dietro a Macbeth (perlomeno in questa versione alternativa delle iniziali musiche di scena) si scorge l’intenzione di dare forma ai suoni del mondo soprannaturale e inestricabile in cui il re è imprigionato, il cui fato è osservato dalle Sorelle Fatali in un flusso indistinto di eventi.



LG: Da Macbeth a Macbeth.


SLC: In mezzo c’è tutto. Ci siamo noi. C’è l’umanità, nei suoi aspetti invariabili; c’è anche l’attualità. Personalmente ho sempre amato Shakespeare e in particolare questo suo capolavoro. La bramosia, la debolezza, la violenza, il rimorso, il Bene e il Male, con una preponderanza del secondo e una parziale vittoria del primo, trasformato però in vendetta… Il Macbeth dice tutto ciò che si può dire. È la tragedia definitiva.

 

LG: La tua rilettura della tragedia in chiave sonora e rumoristica restituisce più le atmosfere dei contenuti, in una rappresentazione onirica dellopera originale.


SLC: I contenuti sono noti e di origine letteraria; il mio disco è quasi del tutto strumentale, con pochi interventi recitati, opportunamente ridotti a suono anche perché non sono Lawrence Olivier. Mi interessava comporre e suonare, restituire certi sentimenti con un medium diverso. Si tratta di un classico, quindi chiunque ascolti il disco capirà benissimo tutto, avendolo già letto o studiato o visto rappresentato in centinaia di modi. Il video che ho prodotto insieme a Plastikwombat è stato apprezzato al Shakespeare Shorts Festival ed è arrivato in finale. Una piccola soddisfazione.


LG: Dal folk al dark-ambient: un improvviso cambio di direzione o, forse, sono stili più vicini di quanto si possa credere.


SLC: I Dead Cat in a Bag, il mio progetto principale fino a oggi, sono sempre stati trasversali e borderline. Ci hanno definiti folk noir, folk apocalittico - e per certi versi posso capirlo - ma non siamo per niente i Sol Invictus, per intenderci. Ho sempre preferito pensare a un folk eterodosso, benché la definizione di folk sia in sé equivoca, parziale e di derivazione americana. La critica ha sovente tirato in ballo paragoni con Tom Waits, Nick Cave, Mark Lanegan ma spesso ha dimenticato i Pogues, John Cale, Wylie DeVille. Fa niente: l’idea iniziale è sempre stata quella di usare strumenti etnici creando viaggi immaginari, così abbiamo suonato tex-mex, musica balcanica, klezmer, country & western… ma sempre con un approccio aperto all’elettronica, al post rock, persino al noise e con parecchi momenti indefinibili. Già su Lost Bags c’era un brano per mandolino e archi come A Rose & A Knife, che aveva una struttura - non scherzo - dodecafonica. Swanz the Lonely Cat nasce invece come momento intimo, solista, per quando voglio registrare da solo e anche - per ragioni alimentari - viaggiare da solo. I Dead Cat sono arrivati a fronteggiare circa duemila persone a Lublino; come Swanz vago ancora per piccoli club e scrivo musica per il teatro. Infatti, il Macbeth è nato su commissione. Quando mi hanno chiesto di scrivere le musiche per uno spettacolo di “teatro fisico” ispirato al Macbeth ho subito pensato a Scott Walker (un mio mito a cui la stampa mi ha generosamente paragonato all’uscita del secondo disco con Gianni Maroccolo, Alone IV). Il primo approccio mi ha portato a un loop di chitarra non dissimile ad alcune cose del mio amico Hugo Race (al quale, durante un breve tour, ho rubato alcuni trucchetti). Poi sono emerse delle dissonanze che mi ricordavano le chitarre usate da Howard Shore per Cronenberg. Allora ho messo mano all’harmonium, che di per sé porta al bordone, e allora mi sono detto: LaMonte Young! Drone! Non pensavo al dark ambient o all’ancestral. La prima suite è uscita così, anche se poi l’ho arricchita con banjo, balalaica, duduk, violino (strimpellato da me), momenti harsh noise e aperture più melodiche. In fondo, pensiamo sempre tutti di poter essere Pollock o Merzbow ma non è non è così semplice. Il suono puro va gestito e all’inizio è stata una sfida non più facile che eseguire un brano Bluegrass iper-tecnico al banjo. Un’esperienza molto bella, che mi ha portato a comporre la seconda suite, la quale nel disco appare per prima e ripercorre i capitoli della tragedia. Lì c’è molto industrial, molta elettronica, ma anche musica concreta e persino un po’ di Kraut. Un’operazione liberatoria, solitaria, forse persino… masturbatoria. E soprattutto funebre. È il mio requiem definitivo. 

 



LG: La vita è una favola raccontata da un’idiota, che non significa nulla”.


SLC: Full of sound and fury. Accostamento che doveva piacere a Faulkner. Ecco, quel suono e quella furia sono adatti ad uno sviluppo musicale. Nulla significa alcunché e tutto porta al nulla. Quel monologo è un manifesto del nichilismo. Nel Macbeth anche l’amore non è che ricatto. Non esiste lealtà. Nessuna possibile vittoria, nessuna tregua. I personaggi principali sono negativi, i loro sentimenti sono negativi, le loro azioni sono terribili. Né Dostoevskij, né Céline, né Bernhard si sono spinti così risolutamente nell’abisso. E le parole, poi! Su un disco dei Dead Cat in a Bag ho anche rielaborato Che Cosa Sono le Nuvole di Modugno, il cui testo italiano di Pasolini era tratto dall’Otello di Shakespeare. Ho ritrovato i versi originali e… formavano una ballata folk blues! Questa volta il rumore ha preso il sopravvento.


LG: Si potrebbe affermare che il vero motore della vicenda sia la pulsione di morte che alberga nellanimo umano. Quattrocento anni dopo, questa volontà distruttrice non si è ancora placata. Siamo ancora nel pieno svolgimento della tragedia.


SLC: Le tragedie vere non finiscono mai. Anche il disco, ora che ci penso, è quasi circolare.


LG: Dopo Macbeth: coordinate sonore future.


SLC: Credo che i Dead Cat si prenderanno un momento di pausa e Swanz tornerà al suo spettacolo sugli alberghi (ideato e sviluppato prima di quello di Clementi, ci tengo a dirlo). Poi ci sarà da pensare alla promozione di questo album, alla pubblicazione di quello a quattro mani con Stella Burns, a un altro solista già ultimato che vede la partecipazione di Alain Croubalian dei Dead Brothers (possa riposare in pace e godersi la sbronza eterna). Nel frattempo, prima di un incidente in cui mi sono rotto la clavicola - cosa che mi ha costretto a una certa inattività forzata - ho lavorato un po’ come produttore e la cosa mi è molto piaciuta. E poi è in cantiere Love & Thunder, un collettivo di collettivi, qualcosa di più di un’etichetta, con cui sto lavorando a un progetto ambizioso che vede coinvolti alcuni nomi davvero di spicco della scena internazionale. Ma ogni volta che un uomo fa progetti gli Dei ridono, si sa. Quindi un passo per volta.


LG: Grazie.




https://totenschwan.bandcamp.com/album/tsr-136-macbeth

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