GIAMPIERO BIGAZZI: RESISTENZA DELL'ASCOLTO ATTIVO



 

 

A metà tra un tour manager, un discografico, un musicista e un idealista, Giampiero Bigazzi da quasi mezzo secolo organizza eventi in cui convivono musica, cultura, storia e territorio. Questa conversazione nasce per raccontare la storia che non si vede e che si svolge ripetutamente prima di ogni festival e di ogni concerto: i labirinti burocratici nei quali districarsi, il rapporto con gli artisti, la ricerca di una location.

Un’attività, la sua, che deve confrontarsi con un contesto sociale e culturale profondamente mutato rispetto al passato, in cui l’apatia nei confronti dell’arte è dilagante e il profitto è l’unica motivazione concepita.



LG: Giampiero, organizzi concerti e rassegne musicali da più di quarant’anni…

GB: Una premessa: il nostro rapporto con i live non è stato sempre lineare. È vero che organizziamo eventi dal vivo già da prima della nascita della Materiali Sonori (direi dai primi anni Settanta del secolo scorso…), spesso legati a manifestazioni politiche ma anche a contesti semplicemente culturali. Il nostro tirocinio è stato quello. Ma come etichetta abbiamo ondeggiato in periodi di attività intesa e altri momenti in cui c’era da parte nostra molto disinteresse. Soprattutto come organizzatori legati al nostro territorio. Anche come “booking”, in tutti questi anni, non siamo stati molto lineari. 

Da vent’anni invece, oltre a mantenere la nostra dimensione nazionale, con l’invenzione del festival Orientoccidente ci siamo concentrati maggiormente sulla progettazione e la realizzazione di concerti e spettacoli, soprattutto in Toscana e nella zona dove Materiali Sonori ha la sede, il Valdarno fra Arezzo e Firenze. Nonostante questa linea non stabile, abbiamo oggi molta esperienza e degli standard costruttivi abbastanza alti. A volte capita di occuparsi di “musica di consumo”, in contesti molto popolari, ma in generale cerchiamo di proporre le performance che ci piacciono. O che comunque stanno (più o meno) entro i nostri orizzonti estetici e con artisti legati a noi. 

Dico tutto questo perché risponderò alle tue domande molto volentieri, ma partendo dalla nostra limitata e molto particolare esperienza.

 

 


LG: Chi partecipa a questi eventi raramente è consapevole delle difficoltà intrinseche nel portare sul palco artisti le cui proposte sono lontane dagli standard generalmente applicati alla musica di consumo.

GB: Le difficoltà sono abbondanti. Oggi, cioè da un paio di decadi, viviamo una terribile mancanza di curiosità da parte del pubblico e quindi dalla poca predisposizione al rischio degli organizzatori. E, rovesciando, la poca disponibilità degli organizzatori non stimola nessun potenziale interesse. 

Noi abbiamo a che fare prevalentemente con gli enti pubblici e quasi sempre pretendono proposte che abbiano un largo consenso. Questo si scontra spesso con la mancanza di risorse adeguate e dalla perdita di ruolo. Mi spiego: i Comuni, per esempio, dovrebbero svolgere un’azione anche pedagogica nei confronti della musica, dando spazio a esperienze artisticamente valide anche se non conosciutissime. 

Fare cultura, per un ente pubblico, dovrebbe essere questo: “cercare” e far “crescere” i potenziali spettatori. E non cercare per forza solo un facile consenso. 

 

LG: È risaputo che nel nostro Paese gli spazi dedicati al suono live si stiano costantemente riducendo. A tuo parere quali potrebbero essere le motivazioni alla base di questo fenomeno? Si tratta esclusivamente di un problema culturale o anche logistico?

GB: In generale di spazi ce ne sarebbero per eventi di musica e teatro (ma anche per il cinema e le arti figurative). In estate molti di più, ma pure per i mesi dove è impossibile stare all’aperto. Semmai manca la loro attivazione. E dire che sarebbero luoghi perfetti per rilanciare le tante zone “depresse” sparse per il Paese, per aggregare, per creare un tessuto sociale vivo. 

Quello che manca è forse la volontà politica di farlo, un piano di utilizzazione e di sostegno da parte delle amministrazioni pubbliche.

Secondo me è un problema che, se vuoi può essere catalogato proprio come culturale. In senso ampio.

 

 




LG: Dietro a una performance live si nasconde certamente un lavoro a più strati di ricerca della location, di permessi da ottenere nonché di coordinamento con l’artista (o con gli artisti, nel caso di una rassegna), il che sembra già parecchio intricato da gestire. Sono sicuro che nella realtà è ancora più complicato.

GB: La risposta è collegata alla domanda precedente. La cosa viene spesso frenata dai tanti lacci burocratici per iniziare un’attività, come tutte le problematiche che riguardano la mitica sicurezza. Aspetti che fra l’altro non sono gestiti uniformemente su tutto il territorio nazionale, e che spesso sono esagerati.

Il coordinamento con gli artisti, alla fine, è la cosa più semplice…


LG: Oltre che con assessori, sindaci e promotori, un organizzatore di concerti si deve confrontare anche (e soprattutto) con l’artista stesso, presupponendo che quest’ultimo sia sempre disponibile e ragionevole, essendo il principale beneficiario di tutto il lavoro a monte (almeno così si potrebbe concludere). Potrei sbagliare ma non credo che il rapporto tra organizzatore e artista sia sempre così idilliaco.

GB: Non ho una grande esperienza di rapporti non idilliaci. Mi spiego: quando organizziamo concerti ci viene quasi naturale rivolgersi a musicisti “tranquilli”, professionisti seri che rispettano il lavoro di tutti coloro che si dedicano alla buona riuscita dell’evento. Non so… forse è una nostra intuizione preventiva, quando intravediamo difficoltà di relazione, evitiamo l’ingaggio. Chi ce lo fa fare d’imbarcarsi in imprese complicate?!

Poi nella nostra esperienza (che come ho detto rispondendo alla prima domanda è molto particolare) ci ha salvato forse il fatto di essere collocati su tutti e due i fronti: cioè, siamo dei musicisti (e a volte dei “manager dell’artista”) che, quando si fanno organizzatori, rispettano le esigenze, capiscono le richieste e quindi si mettono al servizio del musicista e del suo staff tecnico. Dall’altra parte in quel preciso momento siamo anche “promoter” e quindi la linea deve essere trovare una buona sintesi.

Finora è andata sempre così.

 

 



LG: Il pubblico è l’utente finale di ogni evento e rassegna musicale e – semplificando al massimo – l’unico e solo giudice dell’intera operazione. Quanto è alta la soglia di attenzione dello spettatore odierno? Come reagisce agli stimoli musicali più originali e meno allineati?

GB: Come dicevo prima c’è poca curiosità da parte del pubblico e scarsa disponibilità a imbattersi con proposte musicali inconsuete. In questo senso la situazione, negli ultimi vent’anni, è molto peggiorata. Viviamo una sorta di riflusso che riguarda soprattutto le fasce più giovani. Ma delle sacche di resistenza esistono. E quindi non bisogna arrendersi: gli eventi dal vivo vanno presentati bene, comunicati, non bisogna dare nulla per scontato, prodotti rispettando i canoni migliori rispetto alla fruibilità, dal punto di vista proprio musicale, anche nel caso di musiche più originali e meno allineate. È importante fare – per quanto sia possibile – azioni di educazione all’ascolto. Bisogna in qualche modo ripartire da capo… e resistere!


LG: Nel mondo della musica di massa (e non usiamo questa espressione per snobismo) i nomi che attirano folle oceaniche sono pochissimi e mi sembra che tutto il grosso del business giri attorno a questi eventi. Se potessi, accetteresti di scambiare la tua carriera con quella di un organizzatore di concerti di tale portata? Al di là del denaro, cosa otterresti e cosa perderesti definitivamente?

GB: Domanda difficile! Che necessita di ripercorrere più di cinquant’anni di attività nella musica e nelle arti performative (come si usa chiamarle oggi). Infatti, di solito evito di rispondere, perché è una domanda che dovrei fare io medesimo a me stesso. Posso dire che è andata così. Questo sapevamo fare. L’abbiamo fatto, lo facciamo e alla fine sono contento.

 

 



LG: Al tuo posto potrei accusare una certa stanchezza dopo così tanti anni di battaglie sui (e soprattutto sotto ai) palchi. Continuare ad organizzare musica dal vivo vale ancora la fatica che richiede?

GB: Certo! Anche perché è rimasta l’unica possibilità economica. I dischi funzionano solo come elemento promozionale, come inizio di un progetto che poi bisogna trovare il modo di far vivere su di un palcoscenico.

E poi la musica ascoltata in un concerto è l’unica che non si può clonare. La magia di quel momento resta insuperabile e quindi non possiamo rinunciarci. Ovviamente parlo in generale… poi va bene anche creare musica in studio e proporla solo attraverso supporti riprodotti.

È chiaro che di fatica se ne consuma molta, ma finché ce la facciamo…

 

 



LG: Per concludere, una leggera provocazione: alcuni divi della musica pop-rock del passato, ormai decrepiti, intendono proseguire la loro carriera concertistica facendosi sostituire da avatar virtuali. Di questo passo, in futuro potresti dover interagire con artisti digitali.

GB: Penso proprio di no. Nel senso che questo non accadrà tanto presto. Sarò altrove, quando e se succederà. Dico “se” perché penso che finché ci sarà l’umanità come noi la conosciamo, ci sarà sempre qualcuno che mette insieme dei suoni procurati dal vivo. E qualcuno che li ascolterà.

Poi ci saranno anche concerti di ologrammi, avatar virtuali (ci sono già…), ma ci sarà sempre un cantante che canta in un microfono, o anche senza, al vento per esempio, e qualcuno che suda su uno strumento anche elettronico. Basterà rivolgersi solo a questi.


LG: Grazie.

GB: Grazie a te.


 

http://www.matson.it/artists.php?id=521


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