COMUNQUE, DI ARCHITETTURA BALLO BENISSIMO

 




Per quanto la rete non può (e non deve) sostituire in toto l’interazione sociale è altrettanto vero che offre alcuni innegabili vantaggi: si può, ad esempio, organizzare e gestire una tavola rotonda virtuale coinvolgendo sette narratori di dischi del nostro Paese pur senza muovere un passo fuori di casa, un’impresa che in un’altra epoca avrebbe richiesto una fitta corrispondenza epistolare e molta, molta pazienza a causa dei ritardi postali.

Il risultato è intrigante: sette diversi modi di raccontare la musica, filtrati attraverso personalità, sensibilità ed esperienze diverse. Cesare Buttaboni, Fabrizio Garau, Marcello Valeri, Mirco Salvadori, Peppe Trotta, Vasco Viviani, Vittore Baroni ascoltano e scrivono di musica da molto (o moltissimo) tempo e in questa sede si avvicendano nell'esprimere pareri e considerazioni in merito ad un ruolo che - soprattutto negli ultimi anni – è ormai più equiparabile ad una forma di volontariato che ad una professione.

Alcuni di loro hanno vissuto in prima persona la grande stagione della carta stampata e osservato la transizione verso il digitale, adattandosi ai tempi e ai linguaggi. Altri si sono scoperti scrittori grazie alla rete, strumento che in virtù della sua estrema accessibilità è purtroppo popolato anche da troppi recensori improvvisati senza alcuna competenza né umiltà che spargono giudizi superficiali e approssimativi.

La conversazione che segue non pretende di esaurire in pochi paragrafi un argomento complesso come l’analisi di un’opera musicale né intende impartire lezioni accademiche. Sarà chiaro anche ad una prima lettura quanto siano invece l’amore per la musica e l’insopprimibile curiosità di esplorare suoni e sensazioni le ragioni che spingono a sedersi e a fissare (su carta o su schermo) le proprie impressioni in merito ad un disco, indipendentemente dal fatto che esso passerà o meno alla storia.




LG: Osservare la musica. Come si è evoluto nel tempo il tuo approccio alla descrizione di un ascolto.

 

VITTORE BARONI: Ho pubblicato le mie prime recensioni e articoli musicali nel 1972, quando avevo sedici anni e una conoscenza per forza di cose piuttosto limitata del panorama musicale. In realtà avrei voluto far parte di una band più che scrivere, ma non mi sono mai applicato abbastanza nell'imparare a suonare uno strumento. La passione per la musica mi ha perciò portato a tentare perlomeno di scriverne, senza mai reputarmi però un vero critico e senza l'intenzione di diventare un giornalista professionista. Piuttosto, il mio era un approccio da curioso appassionato, da "fanzinaro" ante litteram che divulgava le sue scoperte sonore a beneficio di altri fan. 

In principio, il metro di paragone erano le recensioni che trovavo da adolescente su Ciao 2001 e sui Melody Maker e NME che riuscivo a reperire nelle edicole della mia zona. Dato che i miei scritti erano destinati a piccole riviste alternative come Carta Stampata e in seguito Na, La Rivolta degli Straccioni, RockZero e tante altre, tendevo ad usare un linguaggio un po' fiorito, sulla falsariga di ciò che leggevo sui fogli hippie e di movimento (Re Nudo, It, OZ e simili) che riuscivo all'epoca a procurarmi saltuariamente grazie ad un servizio di vendita per corrispondenza offerto da Linus / Milano Libri. 

All'inizio quindi scrivevo con toni un tantino "ispirati", alla Claudio Rocchi commentatore radiofonico, ma quando ho iniziato a collaborare con Rockerilla e altre riviste presenti in edicola, mi sono sforzato di adeguarmi ad un linguaggio più convenzionale. 

Dal mio punto di vista, in qualità di fan e collezionista prima che giornalista, la recensione non doveva evidenziare virtuosismi letterari o idiosincrasie del recensore, ma mettersi al servizio del lettore e dell'artista preso in esame, offrendo indicazioni utili sui contenuti e sulla veste editoriale del prodotto, oltre ad un giudizio equilibrato e ponderato. Questo per permettere al lettore di farsi un'idea il più possibile precisa, per poi decidere se il lavoro merita o meno ulteriori indagini ed un eventuale acquisto. 

Col tempo, ho imparato che è molto importante, oltre a descrivere un lavoro discografico, contestualizzarlo al panorama culturale e al contesto storico-sociale del suo tempo. Un'impresa non facile da portare a buon fine, soprattutto nei rigidi limiti di spazio e battute a disposizione con cui ci si deve confrontare nella stampa cartacea. 

 

Vittore Baroni

 

MARCELLO VALERI: Che bella immagine il suono...se, agli inizi, la concentrazione era mirata a rappresentare attraverso le parole la giusta spinta verso il lettore ad ascoltare come consiglio e guida, oggi la mia scrittura passa attraverso un canale non sempre conscio e quindi travalica la necessità del piacere dell’ascolto indotto dalla lettura per cercare di arrivare ad una serie di suggestioni, a volte immaginifiche, che possano fungere più da compendio che da parere. Odio, infatti, dover dare i voti.

MIRCO SALVADORI: Come dici tu, si è evoluto nel senso che è cresciuto e maturato forse meglio ancora di colui che lo ha vissuto. Quando sei all’inizio cerchi di mantenerti calmo, sai che quella recensione verrà letta da molte persone e la tua insicurezza, legata all’inesperienza, ti fa commettere cialtronate indescrivibili. Inconsciamente imiti i poeti della decadenza infilandoli dentro poche righe che ai tuoi occhi appaiono come un estratto di sublime prosa musicale ma, se rilette con il senno a distanza di anni, si rivelano come ridicole immersioni in un mondo assai più adulto di te.

È solo durante il percorso che inizi ad affinare il pensiero, a pensare che forse è tempo di cambiare forma e sostanza ed inizi quel lungo viaggio che speri ti porti a costruire uno stile descrittivo soggettivo ma sempre legato a ciò che devi descrivere, al suono che ascolti e soprattutto, a ciò che quel suono ti invia.

Ad un certo punto della mia quasi quarantennale presenza sulla carta stampata ho tirato le somme e mi sono guardato intorno. Due erano le strade da percorrere: la via del lucido (in)sensibile tecnicismo legato alla modalità compositiva, ai rimandi ed echi che richiamavano parallelismi con liste enciclopediche di altri nomi e autori da comparare, praticamente piccoli trattati di musica che tendevano a mettere in rilievo la sapienza dell’autore della recensione, piuttosto che il contenuto del disco o la scelta legata alla via del racconto perché un disco, qualsiasi disco è, un racconto. Ritrovarsi quindi di fronte ad un bivio e scegliere tra il tecnicismo e l’umanesimo: ho scelto il secondo.

Dal contatto con la prima traccia di suono fino all’ultima della playlist, l’ascolto si trasforma in racconto e l’immaginazione subisce una trasmutazione. I tasti del portatile sono i ricettori attraverso i quali si tenta di farla parlare nella speranza che il suo linguaggio giunga al lettore, grazie a continui minimi riferimenti che comunque devono appartenere alla narrazione.

Ogni recensione è un viaggio liberatorio durante il quale te ne fotti delle regole e penetri nel suono, leviti in quell’universo particolare uscendone sempre trasognato, dopo aver premuto sulla tastiera il tasto Punto.

PEPPE TROTTA: Ho sempre pensato che sia molto complesso parlare del suono, soprattutto se non lo si fa dal punto di vista tecnico, cosa che non mi compete e non è mai stata alla base della mia attività di scrittura. Mi sono quindi affidato alle sensazioni ed inizialmente la narrazione tendeva quasi esclusivamente a dare corpo a ciò che l’ascolto veicolava. Nel tempo, accumulando esperienza, entrando a far parte di diverse redazioni e confrontandomi con metodologie differenti, tale inclinazione si è gradualmente – e direi anche fortunatamente – attenuata per lasciare spazio a forme di analisi che a mio avviso sono imprescindibili. Senza volersi fregiare del titolo di critico, ritengo che sia corretto mettere in evidenza quelli che si ritiene essere elementi validi e punti deboli di una proposta.

VASCO VIVIANI: Scrivo in maniera continuativa di musica dal 2021, periodo nel quale per forza di cose la mia fruizione musicale è passata ad essere piuttosto privata ed in cuffia. In questo modo mi sono fatto più sistematico nel momento di ascolto, critica e racconto musicale. Non ho bisogno di molti ascolti per scrivere una recensione e non credo che una recensione debba essere scavata nella pietra, bensì un suggerimento, un punto di vista ed un veicolo del tutto slegato da chi suona e produce e da chi ascolta. Ci sono i musicisti, i dischi, gli ascoltatori. In mezzo, da qualche parte, c’è chi di musica si prende la briga di scrivere, spesso gratis o con compensi risibili. Sono al momento in un’evoluzione compartita, lavorando su più fronti con la medesima ottica su materiale differenti, unendo i quali, forse, si potrà decifrare il mio percorso.

CESARE BUTTABONI: Nel corso del tempo, il mio approccio alla descrizione di un ascolto è diventato più sofisticato e sfumato. All'inizio mi focalizzavo principalmente sugli aspetti tecnici della musica, come la struttura delle canzoni o le abilità tecniche degli artisti. Tuttavia, col passare del tempo, ho imparato ad apprezzare e comunicare meglio l'emozione e l'impatto emotivo della musica, oltre alle sue qualità tecniche. Questo ha arricchito le mie recensioni, consentendomi di trasmettere in modo più completo l'esperienza complessiva dell'ascolto.

FABRIZIO GARAU: Sempre più “less is more”. Sempre più con l’idea di mettere in circolo roba buona per gli amici, come se dovessi spiegarmi con loro.

 

 

LG: La perfezione non esiste. Il giusto mezzo tra celebrazione e stroncatura.

 

VASCO VIVIANI: Non esiste perfezione ma credo possa esistere onestà intellettuale e delibera personale. Il critico musicale, se vogliamo chiamarlo così, dovrebbe muoversi entro questi confini, anche facendo un passo indietro quando necessario. Il miglior complimento ad un album è sempre la chiusa: “…non perdete tempo a leggermi, ascoltate il disco.”

 

Vasco Viviani

 

FABRIZIO GARAU: Mai stato grande celebratore. Forse per questo, quando sono davvero convinto, non ho problemi a sembrare di parte. Conto ancora meno stroncature: di solito è per mettere in guardia gli amici dall’hype.

MIRCO SALVADORI: A questa domanda fatico a rispondere dopo aver deciso di evitare ogni tipo di descrizione negativa perché vissuta come perdita di tempo, materia sempre più rara, quando ogni mese sono decine le recensioni da inviare. Preferisco ignorare l’uscita ed attendere il prossimo capitolo.

In quanto alla celebrazione, può avvenire solo in presenza di un vero e proprio trionfo immaginativo che si è abbattuto sul tuo ascolto e in quel caso non ci si pongono limiti, si vola sui tasti sotto la botta adrenalinica del racconto che il musicista ha saputo costruire donando completamente la propria anima al suono. Sono casi rari ma esistono, Dio volendo.

Bisogna comunque tenere sempre presente che si sta parlando di scelte personali che rispecchiano i gusti di chi scrive ed è dovere del lettore prenderne atto, per evitare fraintendimenti.

CESARE BUTTABONI: Concordo pienamente con l'idea che la perfezione in musica sia un concetto irraggiungibile. Ogni lavoro musicale avrà i suoi punti di forza e le sue debolezze: il compito di un recensore è valutarle in modo equilibrato. Cerco sempre di trovare un equilibrio tra elogiare gli elementi positivi di un'opera e criticare in modo costruttivo quelli che potrebbero essere considerati difetti. Questo approccio mira a fornire una valutazione accurata e utile sia per gli artisti sia per i lettori.

MARCELLO VALERI: In media stat virtus...ma non sempre! Porsi tra l’esaltazione e la distruzione è quasi compito salomonico, specie oggi dove l’assoluto bello latita e la diplomazia regna pur/troppo sovrana. Accade quindi che, quando un ascolto che debba poi esser tradotto in ricerca di una opinione prima personale e poi del lettore necessiti assai di sincerità, questo approccio si rivela spesso suicida per chi scrive. Mai finiranno i tempi delle vacche sacre e pure non trovo giusto né esasperare le doti tam quam i difetti. Diciamo che alla stroncatura dedico più volentieri tempo per gli intoccabili che per neofiti; difetti della senilità.

VITTORE BARONI: Se si parte nello scrivere una recensione col proposito di tessere un panegirico o di assestare una solenne stroncatura, secondo me si parte col piede sbagliato. Sono ovviamente strategie utili a smuovere polemiche e ad attirare interesse su chi scrive, può essere giustificato in alcuni casi usare iperboli e massima severità se l'opera davvero lo richiede, ma personalmente preferisco una recensione il più possibile priva di esasperazioni e forzature. Nei primi tempi a Rockerilla mi affidarono album non molto popolari all'epoca, come The Final Cut dei Pink Floyd o un nuovo disco dei Beach Boys, e ricordo che cercai di esporre di entrambi i lavori gli aspetti negativi ma anche quelli positivi. A volte è necessario, nella medesima recensione, parlare bene e al tempo stesso male di un album.

PEPPE TROTTA: Scrivere di un disco equivale ad esprimere un punto di vista e per questo esige garbo e onestà. Un itinerario sonico lo si può amare o trovare insopportabile e reputo che in entrambi i casi sia necessario dirlo con misura. Soprattutto quando non si riesce ad entrare in sintonia con un lavoro è sempre bene ricordare che si tratta del prodotto di qualcuno che si è messo in gioco e per questo merita rispetto.

 

LG: Chirurgia dell'ascolto emotivo: possiamo scrivere di ciò che non ci emoziona?

 

MARCELLO VALERI: Possiamo ma se possibile evitiamo...oggi la recherche proustiana di quella madeleine sonora che tanto ci avvicina ad un passato che non si ripete ci trasforma in cercatori di tartufi aurali ma sempre più sovente sento il latitar dell’humus necessario affinché affiori quel sentore. Se posso, evito di scrivere di quel che non mi tange le emozioni in quanto ho il privilegio, non essendo retribuito per farlo, di declinare il ghiaccio sonoro e di accogliere gli ultimi bagliori di crepuscoli emozionali come meglio riesco. 

 

Marcello Valeri

 

VITTORE BARONI: Una recensione equanime può tranquillamente prescindere dai gusti personali del recensore. Io posso non apprezzare molto la musica di Vasco Rossi ma, se dovessi recensire un suo disco o un suo concerto, dovrei essere in grado di valutare pregi e difetti dell'artista indipendentemente dalle mie private preferenze. Dovrei anche riuscire ad immedesimarmi quindi nelle persone che si emozionano udendo una sua canzone, per trarne le dovute considerazioni. Ciò magari non sempre è facile ma la quantità di titoli pubblicati ogni mese è talmente grande che possiamo tranquillamente evitare di occuparci di ciò che ci lascia indifferenti, per scegliere dischi che un minimo ci stimolano. Nell'ambito della stampa specializzata mensile, raramente i titoli da recensire vengono imposti dall'alto (ci mancherebbe altro, visto che ormai si tratta quasi sempre di lavoro volontaristico non retribuito!); è il collaboratore a scegliere di cosa occuparsi, quindi basta farlo cum grano salis.

CESARE BUTTABONI: Sì, è possibile scrivere di musica che non ci emoziona. Anche se una determinata canzone o album potrebbe non risvegliare in me una forte reazione emotiva posso ancora valutarne gli aspetti tecnici, la creatività o l'originalità. È importante cercare di mantenere un approccio obiettivo e analitico anche quando l'opera non suscita una forte risposta emotiva personale.

PEPPE TROTTA: Parlare di ciò che non ci coinvolge è molto complicato, eppure sarebbe opportuno saper trovare un modo per farlo. Certamente, vista la mole di produzioni e l’alto numero di critici musicali, non si tratta di un’esigenza. Personalmente fatico ad affrontare tale sfida perché rimane forte la sensazione di non riuscire ad essere esaustivo. Il mio scrivere si lega alla voglia di invitare all’ascolto e proprio per questo sarebbe inevitabile percepire di non riuscire a raggiungere l’obiettivo prefisso. Si può fare, ma non mi entusiasma l’idea.

FABRIZIO GARAU: Sì. Anche in questo caso la mia bussola è il lettore. Se parlare di un disco o di un artista rientra nel disegno più grande del testimoniare l’esistenza di una scena o di una tendenza, allora – nei limiti delle mie competenze e del tempo che ho a disposizione – lo faccio. Torna sempre utile in futuro, per creare collegamenti con le cose che ci fanno perdere il controllo e aiutare il lettore a inquadrare meglio queste ultime. Chiaramente è sempre opportuno trovare qualcuno che lo fa meglio di te, motivo per il quale sono dentro una webzine e non ho un blog. E, nonostante questo, ogni tanto devo “fare i compiti” anche se il mio cuore non esplode: negli ultimi mesi ho parlato di Niecy Blues (Kranky) e intervistato Ellen Arkbro, Lucy Railton e Hidden Orchestra. Diverso sarebbe stato se avessi avuto davanti i Godflesh.

MIRCO SALVADORI: Credo che questa difficile operazione riesca meglio ai famosi ‘tecnici’, abituati ad immergere le mani nel suono con guanti e mascherina. Personalmente mi blocco, mi appare un muro oltre al quale mi risulta impossibile saltare. L’emozione è parte integrante della musica, è la musica che la crea, è il suo respiro.

VASCO VIVIANI: Sì, se riusciamo a farlo in maniera sensata senza cogliere occasioni per punire, dissacrare ad ogni costo oppure alzarci sopra al livello della musica. C’è musica fatta male (che va stroncata) e benissimo (che va valorizzata); credo che possiamo accorgercene anche senza essere avvolti da turbamenti emotivi e patemi d’animo.

 

LG: Etica della neutralità ossia quando devi scrivere di un autore che conosci e stimi e sai che non apprezzerà ciò che leggerà. Si offendono anche quando ne parli bene, tanto vale essere sé stessi (è tutto ciò che possiamo essere).

 

FABRIZIO GARAU: Si offendono anche quando ne parli bene, tanto vale essere sé stessi (è tutto ciò che possiamo essere).

 

Fabrizio Garau

 

MARCELLO VALERI: Ah! Questo mi rimanda ad un passato ancor dolente. Accadde che, quando uno dei musicisti da me apprezzato e stimato, lesse le parole da me scritte per una sua - da me tanto attesa - fatica e che mi deluse non poco per la povertà di linguaggio musicale e l’eccesso di demagogia testuale, l’amicizia nata durante una lunga intervista scricchiolò non poco sino alla quasi estinzione. Fu un peccato? Peggio era quando era l’editore a non apprezzare le parole e a invitare alla revisione e/o censura, motivo per cui navigai tra diverse riviste non appena ciò affiorava...ma questa è un’altra risposta.

MIRCO SALVADORI: Come sopra, evito di farlo. Evito specialmente se il nostro rapporto è un buon rapporto basato sul rispetto reciproco, come nella maggioranza dei rapporti che ho con i musicisti di cui scrivo. Preferisco parlarne con loro, confrontarmi e scambiare le idee, piuttosto che scriverne a loro insaputa. Lo trovo poco rispettoso.

PEPPE TROTTA: Un autore propone il proprio atto creativo per ricevere un feedback e dovrebbe essere aperto alle critiche, come certamente lo è agli elogi. Personalmente mi aspetto che evidenziare punti deboli equivalga ad aprire un confronto propositivo, uno scambio attivo capace di incrementare la stima per un artista che si apprezza. Devo dire che ad oggi non ho quasi mai avuto esperienze di segno opposto e tornando a ciò che dicevo in precedenza, credo conti molto il modo in cui le riserve vengono espresse ed argomentate.

 

Peppe Trotta

 

VITTORE BARONI: Mi è accaduto, come immagino a tanti altri giornalisti, di esprimere giudizi non del tutto positivi su opere di musicisti che conoscevo personalmente, i quali poi un po' se la sono presa a male, seppure dal mio punto di vista si trattava di critiche costruttive. Di solito, comunque, una critica fatta in buona fede non suscita reazioni troppo animose; certi dissapori si stemperano nel tempo, come accade in famiglia dopo una furiosa litigata. Se il rapporto di amicizia è molto stretto, sarebbe più saggio comunque lasciare ad altri la recensione. Per certo, non troverei molto etico recensire positivamente un lavoro solo perché proveniente da un amico (o, ancor peggio, perché si è ricevuto un promozionale "fisico"), ma è altrettanto vero che, se ho stretto buoni rapporti con numerosi artisti è essenzialmente perché apprezzo molto il loro lavoro.

VASCO VIVIANI: Non scrivo di tutto perché non ne ho il tempo ma non ho mai scritto di favore. La soluzione perfetta sarebbe che i pezzi ci vengano richiesti da una figura terza, senza lasciarci troppo spazio decisionale. Entro la richiesta si ascolta e si scrive, con estrema onestà. Non vorrei rifiutarmi di scrivere una cosa non positiva per persone che conosco anche perché come produttore (l’altro mio ruolo e punto di vista) una recensione ha un aspetto molto importante e - se la richiedo - vorrei leggerla, buona o cattiva che sia. Neutralità ed onestà sono fondamentali, una volta garantite quelle non ci sono limiti.

CESARE BUTTABONI: Questo è un dilemma comune nel campo della critica musicale. Quando mi trovo nella situazione di dover recensire il lavoro di un autore che conosco e stimo personalmente, cerco sempre di mantenere la mia recensione il più obiettiva possibile. Cerco di concentrarmi sugli aspetti oggettivi della musica e di fornire una valutazione equilibrata, anche se potrebbe essere difficile trovare difetti in un lavoro di qualcuno che ammiro. Alla fine, credo che sia importante essere onesti nella mia valutazione, anche se ciò significa criticare un lavoro di qualcuno a cui tengo.

 

LG: I dischi più riusciti sono un connubio di intuizione e perizia. Di questi si può dare una lettura estetica, descrivendoli per immagini, o una tecnico-pratica, analizzando timbri, strutture e missaggio. Sposare un unico approccio può essere limitante?

 

MIRCO SALVADORI: Si deve sposare l’approccio che più si sente vicino al proprio cuore, senza porsi domande tecnico-cosmiche. Il segreto è inserire nella narrazione elementi che aiutino a capire che si sta parlando di quel disco e non si sta scrivendo una prosa per i fatti propri. La difficoltà sta tutta qui.

 

Mirco Salvadori

 

CESARE BUTTABONI: Sposare un unico approccio nella valutazione dei dischi potrebbe essere limitante. Ogni album è un'opera complessa che può essere apprezzata da diverse prospettive. Un'analisi estetica, descrivendo il suono e l'atmosfera evocata dall'album attraverso immagini mentali, può fornire una comprensione più profonda dell'esperienza musicale e delle emozioni trasmesse. D'altra parte, un'analisi tecnico-pratica, concentrandosi su timbri, strutture e missaggio, può essere utile per comprendere le scelte artistiche e produttive che stanno dietro alla realizzazione dell'album. Tuttavia, l'abbinamento di entrambi gli approcci può arricchire ulteriormente la comprensione e l'apprezzamento della musica, consentendo una visione più completa e articolata dell'opera.

VITTORE BARONI: Certo, molto meglio poter utilizzare, secondo necessità, approcci diversi. Una lettura meramente impressionistica, per quanto suggestiva, può essere limitante, così come una descrizione molto tecnica, con rimandi a si bemolli o diminuite di cui il lettore medio non mastica granché, risulterebbe altrettanto inadeguata. Possedere una conoscenza approfondita della materia che si affronta non è certo un male ma occorre dosare le nozioni in modo da non risultare inutilmente criptici o saccenti. A me dà fastidio, ad esempio, quando nel suggerire paragoni per inquadrare un dato artista, si sciorinano nomi di autori e formazioni sconosciutissime, utili solo al giornalista per dare sfoggio della propria erudizione. Non esiste una formula buona per tutte le occasioni, si tratta di trovare volta per volta la chiave migliore per analizzare un dato lavoro. Anche una bella recensione è un connubio di intuizione e perizia. Leggere ottime recensioni - ad esempio, da noi quelle di Riccardo Bertoncelli - è piacevole e istruttivo come leggere una buona pagina di letteratura.

PEPPE TROTTA: Un approccio parziale è di per sé limitante, ma una lettura a 360° presuppone un’adeguata preparazione. Meglio concentrarsi su ciò che si conosce e si sa maneggiare, piuttosto che utilizzare un lessico che non si padroneggia scrivendo cose oggettivamente opinabili. La conoscenza tecnica della musica non si può improvvisare ed avventurarsi in un’analisi specifica senza opportuna competenza ci riporta al non essere dei narratori onesti inficiando così ogni buon proposito. Less is more.

FABRIZIO GARAU: Io vorrei quasi quasi commentare solo la tua prima frase. Immagino però che ti interessi di più che io risponda alla domanda. La lettura “estetica” ha generato mostri orrendi (penso al mondo indie, con qualcuno che inventa di sana pianta anche interi generi, a volte intere scene), quella “tecnico-pratica” pure (penso al mondo prog o a quello metal “classico”, con qualcuno che si scorda di parlare di quella che tu chiami “intuizione”). Io mi voglio bene quando riesco a farmi capire attraverso confronti con altri dischi e altre band: è la cosa più divertente, perché alla fin fine ci stiamo tutti prestando la roba a vicenda, senza la paura di non averla indietro.

MARCELLO VALERI: Per metter in pratica la seconda analisi occorre essere veri esperti di armonia, suono, produzione e io non lo sono né vi aspiro: lavoro per immagini a forma di lettere, a volte forzatamente in contrapposizione proprio per suscitare una reazione critica al critico e non all’opera. Non credo che i dischi più riusciti siano intuizione e perizia al loro stato alchemicamente puro, anzi, preferisco i pulviscoli sulla pellicola per le orecchie ai molti cotton fioc conservati in provette ghiacciate...e dagli approcci sinergici divorzio purché non comportino ulteriori assegni.

VASCO VIVIANI: Credo dipenda dall’ottica di chi scrive cosa scegliere di indossare; immagino che nel surfare tra i due poli si possa dare un’immagine più dinamica della musica, proprio com’è nella musica stessa. Negli anni passati a leggere articoli e recensioni prima di prendere penna e tastiera ho cercato di ipotizzare un metodo di mediazione e di trasporto. Non amo il racconto schematico e nemmeno la poesia chiusa su sé stessa. Spero che una recensione non sia mai limitante ma al limite scatenante. Così fosse, sarebbe realmente inutile…amo i momenti nei quali le creo e spero di continuare ancora a lungo.

 

LG: "Scrivere di musica è come ballare di architettura". Siamo tutti in disaccordo con il buon Frank, immagino. Oppure no?

 

CESARE BUTTABONI: Personalmente, sono incline a essere d'accordo con Frank Zappa su questo punto. Scrivere di musica può essere una sfida poiché si cerca di tradurre in parole sensazioni ed esperienze uditive. Tuttavia, credo che con la giusta attenzione e padronanza delle tecniche di scrittura sia possibile comunicare efficacemente l'essenza e l'esperienza di un brano musicale o di un intero album. Anche se la metafora potrebbe sembrare un po' estrema, penso che possa catturare l'idea che scrivere di musica richieda una certa maestria e creatività nella comunicazione.

 

Cesare Buttaboni

 

FABRIZIO GARAU: Io auguro a Frank Zappa di rinascere, aprirsi un bandcamp, suonare molto dal vivo (la miglior autopromozione) e direi – seguendo la sua logica - gestirsi al meglio un Instagram e un canale YouTube: solo immagini e suoni. Vediamo come va. Sono a favore del metodo sperimentale.

PEPPE TROTTA: Se non fossimo in disaccordo non saremmo qui. Il suono, come ogni altra forma d’arte, muove emozioni e riflessioni che è lecito tradurre in parole, soprattutto se il fine è spingere a scoprire itinerari meritevoli ma poco noti. Di certo non si tratta di un’azione esaustiva e non necessariamente deve convincere gli altri sulla bontà del proprio punto di vista. Il fine è incuriosire, dare un’idea di ciò che si può trovare lungo il tracciato se si decide di affrontarlo. E poi chi ha stabilito che non si possa ballare di architettura?

VITTORE BARONI: Quella di Zappa era ovviamente una boutade, una frase ad effetto difatti spesso citata ad esempio. Se dovessimo seguire quel concetto alla lettera, non si potrebbe più scrivere di nulla! Ovvio poi che di musica, come di qualsiasi altro argomento, si può scrivere in molte maniere, con competenza o meno, con empatia o distacco, con approccio convenzionale o "creativo". Ho tentato a volte esperimenti di metacritica ed altri "esercizi di stile", come scrivere una recensione in forma di poesia, oppure estrapolando frasi da altre recensioni, ho recensito dischi inesistenti e tenuto una rubrica musicale sotto pseudonimo fingendo di essere un ultraottantenne (Alvise Simonazzi su Rumore). Lester Bangs salì sul palco a fianco di una rock band battendo come un forsennato sui tasti della sua macchina da scrivere un articolo "dal vivo". Se gli Skiantos del resto possono "suonare" cuocendo spaghetti sul palco, non vedo perché non potremmo scrivere del loro lavoro "suonando" la nostra tastiera alfanumerica.

MIRCO SALVADORI: Frank era quel Frank, non perdeva un attimo che fosse uno a provocare, era giusto per i suoi tempi per certi versi più ‘semplici’ discograficamente, stagioni nelle quali potevi pubblicare con grandi multinazionali cose ora impensabili, per poi rompere i legami fondando piccole etichette personali e poi magari tornare in seno alla grossa major.

Ho sempre trovato questa frase irritante non per il contenuto in sé ma per la sua continua citazione.

VASCO VIVIANI: Mai amato particolarmente Frank Zappa, gli ho sempre preferito Captain Beefheart! Non è però una fesseria quel che dice, perché ballare di architettura è stupendo, così come viaggiare nel sonoro, odorare l’immaginario e scolpire le note. La musica, così come ogni altra forma artistica, è approcciabile come esperienza in diversi modi. Non sarà il nostro tempo il miglior momento storico per la critica musicale ma credo sia giusto provare a suggerire qualche indicazione in questo marasma.

MARCELLO VALERI: Beh, Frank ne ha dette tante...e posso anche capire a cosa si riferisse quando pronunciò questa sua sentenza e quindi, contestualizzando il periodo, posso anche trovarmi d’accordo. È pur vero che nel corso del tempo molti musicologi e persino piccoli recensori hanno contribuito ad allargare le coscienze d’ascolto di molti lettori, contribuendo a spingerli verso territori altrimenti inesplorabili, fatti di letture e visioni altre, seguendo uno stream of consciousness persino, a volte, maieutico. Un modus operandi che sovente seguo nei miei scritti, quando non addirittura cerco nella provocazione del linguaggio usato di attirarmi confronti anche negativi, cosa che la rete non manca ormai di fare.

Comunque, di architettura ballo benissimo.



LG: Grazie.

 

 

Cesare Buttaboni: classe 1971, da sempre grande appassionato di krautrock, ambient e avanguardia. Scrive sui portali DeBaser, Ver Sacrum. Ha contribuito al volume Arcana Fantarock di Ernesto Assante e Mario Gazzola.

https://www.versacrum.com

 

Fabrizio Garau: jack of all trades and master of none at The New Noise. 

https://www.thenewnoise.it/

 

Marcello Valeri: collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow-Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d’accordo con lui e che, invece, i musicisti adorano.

https://www.tomtomrock.it/author/marcello/

 

Mirco Salvadori: classe 1956, nasce e vive a Venezia. DJ e conduttore radiofonico indipendente dagli anni ‘80 e critico musicale, dal 1984 collabora con Rockerilla. Co-owner e art-director delle etichette digitali Laverna e Falerna, alterna al giornalismo musicale una prolifica attività di scrittore, partecipando anche a numerosi progetti interdisciplinari.

https://www.facebook.com/mirco.salvadori

 

Peppe Trotta: architetto, appassionato di fotografia e ascoltatore compulsivo. Dal 2014 collabora con la webzine Triste© – Indie Sunset in Rome. Nel 2015 apre il blog personale SoWhat, dedicato principalmente alle produzioni di ricerca e sperimentazione. Nel 2020 inizia a collaborare con Ondarock (di cui è redattore e responsabile della sezione altrisuoni) e dal 2021 con The New Noise.

https://www.ondarock.it/staff/peppetrotta.htm

https://sowhatmusica.wordpress.com/

 

Vasco Viviani: ascolta e scrive. Ha difficoltà a vivere senza suoni, siano essi musica o rumore. Ogni attimo di silenzio è un concerto di David Tudor.

https://www.sodapop.it

https://hvsr.net/

https://www.laregione.ch/

 https://www.thenewnoise.it/

 

Vittore Baroni: Da quarant'anni uno dei più attivi operatori nel circuito planetario della Mail Art. Dal 1978 promuove mostre, incontri e progetti collettivi sulla Networking Art e le culture di rete che hanno anticipato internet. Co-fondatore del mensile Rumore, ha collaborato a numerose riviste non solo musicali e scritto o curato volumi su aspetti della musica elettronica e dell'arte contemporanea. Dal 1991 fa parte del gruppo musicale Le Forbici di Manitù.

https://www.facebook.com/vittore.baroni





































































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