DOOOM ORCHESTRA: INCESSANTE MUTEVOLE GOLEM
Letteralmente, doom è il fato avverso, la sventura, il destino ineluttabile. In lingua inglese, Doomsday è il Giorno del Giudizio. Ma noi non parleremo di morte e distruzione con la Doom Orchestra perché il nostro interlocutore è la DOOOM Orchestra. Una O in più rende il suono decisamente meno sinistro e più simile ad un’onomatopea, esattamente come VROOM, termine che sempre nella lingua inglese descrive il rombo di un veicolo (e che incidentalmente è anche il titolo di una traccia crimsoniana). Non citiamo i King Crimson a caso: pur con tutti i distinguo esiste un sottile filo rosso che lega le due formazioni.
In sintesi, il suono di un'orchestra che improvvisa è un’estensione dell’ascolto e affinché l’ascolto - e di conseguenza il suono - siano a fuoco c’è bisogno di tempo, di una predisposizione d’animo condivisa, c’è bisogno di molti errori e anche di parlare insieme di questi errori. L’enigma non si risolve, ma quanto meno nella DOOOM c’è il faticoso tentativo di concepire l’improvvisazione come un percorso di crescita condiviso.
Un altro paragone abbastanza calzante riguarda la conversazione in una lingua straniera: si studiano i vocaboli, la sintassi e le frasi tipiche, lasciando che poi questi diventino strumenti per esprimere un proprio pensiero e reagire a ciò che gli altri dicono. Tutto ciò è vero anche in questo caso, con la differenza che non si parte da un “terreno comune” prestabilito (come la struttura di uno standard nel jazz o un argomento di discussione in una conversazione) ma questo viene creato di volta in volta basandosi sulla fiducia nella sensibilità reciproca dei musicisti.
Dunque, per la mia personale esperienza, in questo tipo di musica l’istinto gioca un ruolo fondamentale durante l’atto improvvisativo mentre il pensiero analitico giunge in un secondo momento, come riflessione in merito a ciò che si è appena fatto, permettendo quindi di valutarne le caratteristiche, i punti di forza e i punti deboli e - in ultima analisi – di individuare i possibili margini di miglioramento.
AGNESE AMICO: Sì, penso sia qualcosa del genere, ma alla fine istinto/ragione, regola/intuizione vale per tutta la musica, no? Alla fine in una compagine grande quel che serve di più è avere Grandi Orecchie.
FRANCESCO SALMASO: A musica improvvisata personalmente preferisco musica creativa o del presente. Credo che in questo tipo di espressione artistica non ci siano confini e anche per questo è una musica così attuale. Siamo delle spugne che assorbono continuamente ogni tipo di influenza e all’interno della DOOOM abbiamo la possibilità di portare le nostre identità senza un controllo se non quello di avere un grande rispetto per le persone con cui stiamo suonando.
Se vogliamo, l’unica regola è proprio quella di essere estremamente presenti a sé stessi per avere la possibilità di suonare solo quando la musica lo richiede; è un concetto molto soggettivo ma non mi vengono in mente altre parole.
FRANCESCO CIGANA: È sulla presenza di quella lettera in più o in meno che si gioca la partita e per partita intendo sia dal punto di vista sonoro che da quello di esistenza/resistenza del gruppo in sé. In entrambi i casi trovo che un equilibrio tra la certezza del suonare e agire come se “non ci fosse un domani” e della sana autoironia (ricordo che DOOOM è anche un acronimo per De-licius Orchestra Of Original Music, dove De-licius può venir letto come “del liscio”) sia l’unico modo per gruppi di questo tipo di andare avanti. Se si osserva poi che gruppi di questo tipo sono estremamente rari, è ancora più facile intuire la fragilità del progetto e al tempo stesso la sua forza e cocciuta resistenza.
Togliere una O vorrebbe dire abbandonarsi ad un destino senza speranza; non aggiungerla sarebbe rinchiudersi ed isolarsi nella torre d’avorio della nicchia musicale in cui si lavora.
NINA BAIETTA: Non lo possiamo sapere. Una “o” di troppo ha dirottato tutto il resto fino a qui. Questo è uno dei meccanismi che preferisco dell’improvvisazione: come un errore, un elemento estraneo, volontario o involontario, possa cambiare le sorti di un pezzo, un disco, un gruppo.
FRANCESCO SALMASO: Durante i concerti o la recente registrazione abbiamo avuto dei momenti in cui ci sono state ambientazioni molto tragiche; quindi, mi viene da dire che c’è stato già un assaggio della DOOOM senza una O. Forse il rischio sarebbe che inizieremmo a suonare come se stesse arrivando l’imminente fine del mondo. Interessante ma probabilmente un po’ pesante.
MARCO VALERIO: Ricadrebbe in un genere musicale già definito, quindi morirebbe subito!
ANDREA DAVÌ: Saremmo su MTV.
AGNESE AMICO: Malissimo, senza la 'o' dello stupore.
LG: L'estetica giocosa e surreale dei titoli: eredità zappiana o esercizio di sopravvivenza artistica?
FRANCESCO CIGANA: È una mia malformazione poetica di derivazione ermetica/esoterica che da un lato ben si accosta proprio all’estetica zappiana (dove si intuisce che dietro il nome di un brano c’è un momento, un episodio e un motivo) ma che forse si discosta un po’ per i diversi piani di lettura e interpretazione che ogni nome deve avere per me per essere valido, come per il nome dell’ensemble. Non sopravvivenza quindi ma esistenza, seguendo forse un miraggio filosofico che probabilmente non mi posso permettere ma che ugualmente prendo in prestito con onestà e forse un pizzico di vanità, ben conscio del rischio dell’incomprensione.
Ho sempre amato l’opportunità di poter approfondire e di dare modo di soddisfare una curiosità: fare e farsi domande è l’unico modo per conoscere qualcosa in fondo, ma ahimè spesso le domande non trovano nemmeno motivo d’essere nella piatta e obbligatoriamente monolitica realtà che ci viene propinata. Preferisco essere non capito che non poter soddisfare una curiosità.
ANDREA DAVÌ: Non sono farina del mio sacco. Ma sono perfetti.
AGNESE AMICO: La sopravvivenza è riuscire a fare e i titoli sono una piacevolezza di una cosa incredibilmente compiuta - un album - di un progetto complesso. Sono titoli che spesso rimandano a giochi di parole scherzosi creati nel tempo durante le prove dell'ensemble. Sicilian Magia, ad esempio, si rifà ad una melodia trascritta dalle bande siciliane, eseguita durante le processioni religiose che spesso incrociano magie popolari e riti cristiani. Take the SteroidZ si prende gioco della flemma mattiniera spesso discutibile del nostro meraviglioso pianista.
LG: DOOOM, se fosse un continente da esplorare.
SIRIO NAGRO: Se fosse un continente da esplorare DOOOM potrebbe ricordare la varietà culturale europea: musicisti provenienti da differenti realtà e percorsi, dalla classica al jazz tradizionale e free, dal rock psichedelico tribale al metal, folk, elettronica e sperimentazione. Sonorità, approcci e stili che si intersecano, una multipla conversazione tra le fazioni che trova i suoi punti in accordo e che alle volte invece si scontra non perdendo di vista la risoluzione dei conflitti.
Costante è interlocuzione autoregolamentata dove l’ascolto diviene fulcro imprescindibile per l’interscambio e l’interconnessione della molteplicità, strumento di aggregazione attraverso la quale il divenire prende forme via via sempre differenti. Insomma, continente che è crogiolo alchemico dei bagagli musicali dei singoli, sorretto da principi e direttive emanate dal nucleo edificante del progetto, ovvero il suo ideatore che con saggezza, pazienza e volontà tiene strette le redini di questa complessa società, mediando e indirizzando l’avvenire.
ANDREA DAVÌ: Non servirebbe il passaporto.
JACOPO GIACOMONI: Sarebbe il continente più vicino e più banale e quotidiano che ci sia. Perché non sono la landa inesplorata, l’oceano senza confini, la foresta ignota o il paesaggio esotico i luoghi da indagare. Uno strumento e il suo suono sono sempre con te. È il viaggio dentro questa permanenza che si deve intraprendere ogni volta che si improvvisa di nuovo. È dentro i propri tic, i propri stilemi, nelle frasi rassicuranti, nelle trovate già consolidate che ci si inoltra quando si suona insieme. Il mare da solcare è dentro di noi, “the sea lies within”.
AGNESE AMICO: Un incrocio tra avventure in Amazzonia, traffico fermo in autostrada sotto il sole e un lago fresco.
FRANCESCO SALMASO: L’America del Sud. Sono sempre stato affascinato dal realismo magico di quel continente e penso che spesso la DOOOM si faccio portatrice di quel mondo. A volte, durante le prove ci sono stati degli atti di psicomagia.
LG: Ogni singola traccia di questo disco sembra essere a sua volta un album in miniatura.
NINA BAIETTA: L’attenzione alla forma, elemento fondamentale per questo gruppo, porta a costruire collettivamente piccoli universi sonori, sempre mantenendo l’attenzione all’impianto generale del concerto o della registrazione. Facciamo delle matriosche formali.
FRANCESCO SALMASO: Credo che sia una delle caratteristiche più belle di questo collettivo. Riuscire a condensare un album in qualche minuto.
FRANCESCO CIGANA: Fortunatamente è proprio così e il disco è l’universo in cui questi mondi convivono e dialogano. Qualcuno potrebbe dire “il mare” in cui questi mondi vivono e avrebbe facilmente ragione, visto il titolo del disco.
Credo di avere un atteggiamento di derivazione plastica (intesa come pratica artistica) rispetto a cosa rappresenti un brano di musica improvvisata, laddove la scultura è appunto l’arte di dare una forma. Il medium scultoreo in questo caso è ovviamente più simile al marmo, dove non si può aggiungere e ripensare un pezzo tolto. Ogni brano va quindi scolpito fino a dargli una sua autonomia artistica e lì il brano/scultura inizia ad esistere, perché sorretto da una struttura funzionale, comunica perché il materiale o i materiali sono utilizzati con un obiettivo comune ed infine prende vita perché è compiuto.
FRANCESCA BALDO: ogni singola traccia di questo album è un abitante del continente DOOOM.
SIRIO NAGRO: Ogni singola traccia sembra un album in miniatura. Quando si tratta di musica sperimentale ed esplorativa è facile che il risultato ottenuto in una traccia contenga la stessa varietà che si può riscontrare in più brani di un qualsivoglia album.
Quando la musica è fatta sull’istante il potenziale e le variabili sono pressoché infinite: in qualsiasi momento può accadere l’imprevisto, il prevalere dell’irrazionale, dell’istinto. Quel momento in cui l’ascolto è alto e l'immersione è profonda può accadere che il flusso prenda direzioni inaspettate, scaturite da un singolo musicista che ha l’immenso potere di distruggere il vecchio, portare nuove idee o arricchire ciò che già era in atto; un singolo contro tutti o una nuova idea che viene accolta e seguita, una nuova voce che mostra nuove direzioni e che si fa da coraggiosa esploratrice dell’ignoto.
Ecco, credo sia per questo che alle volte all’interno di una singola traccia si possa trovare tanto materiale, suoni, timbri, idee, atmosfere e narrazioni.
Un caleidoscopio eclettico incessante e mutevole così come la natura delle cose.
ANDREA DAVÌ: Un pezzo musicale può essere come una vita intera.
JACOPO GIACOMONI: Ogni silenzio da cui si parte per improvvisare con la DOOOM è il primo silenzio. Soprattutto in una sessione di registrazione così lunga e totalizzante è difficile avere percezione di un prima e di un dopo. Potenzialmente ogni percorso che si intraprende dopo il silenzio può essere il disco, ma soprattutto può essere lunghissimo, durare mezz’ora, o magari esaurirsi in un solo di pochi minuti.
Questa indeterminatezza produce microcosmi. Le improvvisazioni diventano universi dotati di una coerenza interna, che possono collassare su sé stessi, perdersi nell’impalpabilità, oppure, nel migliore dei casi, farsi album in miniature, che non vuol dire altro che diventare una dimensione a sé.
Un tempo in cui gli strumenti parlano lo stesso linguaggio, in cui ritmo e rumore interni non hanno bisogno di mostrarsi perché la loro presenza non richiede giustificazioni.
ANDREA ZERBETTO: Questo tipo di musica lavora su un piano più astratto, più aperto e meno definito secondo schemi generalmente accettati nell’ambito di ritmo, armonia, melodia, et cetera. Il materiale musicale viene infatti privato degli elementi caratteristici più convenzionali (ad esempio, la consonanza nel caso di accordi, cadenze di dominante-tonica e dunque tensione-rilascio) per individuare gli elementi chiave che possano definire una singola idea musicale.
Su decostruzione e successiva ricostruzione si basa questa modalità di fare musica. All’ascolto, infatti, si potrà notare una forte coerenza dell’ensemble musicale, derivante da questa attenzione per la creazione di idee musicali forti (ovvero con caratteristiche chiare e ben definite) che possano dialogare con quelle proposte dagli altri musicisti. Il focus su questo elemento porta con sé, a un livello più ampio, anche l’attenzione a mantenere una forte coerenza strutturale, con episodi musicali ben definiti che possano svilupparsi organicamente.
La conseguenza ultima è dunque la creazione di “paesaggi sonori” ben caratterizzati e definiti, in un certo senso autosufficienti, che possono richiamare l’idea di mini-brani all’interno di una più ampia improvvisazione.
AGNESE AMICO: Ogni traccia è uno sforzo, anche solo tra suonare e non suonare.
MARCO VALERIO: Assolutamente vero, esattamente come il macroscopico si rispecchia sempre nel microscopico, spesso le nostre "composizioni istantanee" si sviluppano in un susseguirsi di idee musicali collegate da un filo, da una storia, come tanti "brani nel brano" che si interlacciano e si sormontano dialogando fra loro.
FRANCESCO CIGANA: “The only thing worse than being talked about is not being talked about”. Per gli sforzi fatti finora e per quelli futuri, per la difficoltà superate, l’impegno che io e i miei compagni di viaggio ci mettiamo in questo progetto e per la fase in cui la DOOOM Orchestra si trova al momento credo che la cosa più importante sia semplicemente spargere la voce.
Non mi curo troppo di come si possa classificare, non è un processo mentale che attivo quando suoniamo insieme. Ma ti sono di sicuro grato perché ci aiuti a dare voce a questo disco e se questo accadrà nel nome del “post jazz mutante”, beh spero che questa creatura radioattiva vada il più lontano possibile, sconfinando informemente territori e generi senza fare prigionieri, disturbando più orecchie possibili (e ridendosela un po’).
ENRICO MILANI: Qualsiasi cosa sia il jazz è qualcosa che ognuno di noi si porta dietro, probabilmente sempre a fianco ad altro. In un'epoca in cui i generi sono fluidi, equamente e universalmente fruibili, non avrebbe nessun senso non essere "post", non essere "mutanti". Cioè, non avrebbe nessun senso accanirsi a definirsi in un'identità stabile di genere.
Le storie della musica ci hanno ampiamente dimostrato che le forme nascono meticce, che gli stili si ibridano. Se risulta che in qualche modo lo abbiamo fatto anche noi, ciò non può che lusingarci.
ANDREA DAVÌ: Io non ci sento alcun elemento di jazz. Mutazione ne sento parecchia.
MARCO VALERIO: “Post Jazz Mutante” mi piace anche se “Jazz” identifica un modo di improvvisare molto diverso dal nostro. “Mutante” descrive meglio il Golem musicale a cui dà vita la DOOOM Orchestra.
Francesco Cigana - Nina Baietta - Jacopo Giacomoni - Francesco Salmaso - Agnese Amico - Francesca Baldo - Enrico Milani - Sirio Nagro - Andrea Zerbetto - Marco Valerio - Riccardo Matetich - Andrea Davì
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